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Notizie brevi 16/03/2005

GILBERT DEGRAVE:
IL PESO DI UNA TRAGEDIA CON 39 MORTI. QUELLA DEL MONTE BIANCO DEL 1999.

GILBERT DEGRAVE:
IL PESO DI UNA TRAGEDIA CON 39 MORTI. QUELLA DEL MONTE BIANCO DEL 1999.

di Maria Teresa Zonca

foto: Geie

“Il momento più duro è stata la lettura, uno ad uno, dei 39 nomi dei morti”. Ha gli occhi rossi, iniettati di dolore e sgomento, all’uscita dal primo giorno di udienza. Fissa i cronisti in modo diretto, sconcertante, e nello stesso tempo cammina come ricurvo su se stesso, schiacciato da un’accusa che porta come un macigno su quel corpo trasformato dagli anni, appesantito e palesemente stanco. Se avessi incontrato Gilbert Degrave per strada, senza sapere che fosse lui, non lo avrei riconosciuto.

Il 24 marzo del ’99, lo aveva intervistato per il Tg della Valle d’Aosta il collega Giuliano Curti. Lo aveva individuato fuori dal Tunnel, versante italiano, mentre dentro scoppiava l’inferno. Quelle immagini avevano fatto il giro d’Europa. Adesso, Degrave porta gli occhiali, ha i capelli più grigi, qualche chilo di troppo. E’ “parvenu” (imputato ndr) per omicidio colposo, per aver lasciato il Tir in fiamme in mezzo al Traforo, nella normale corsia di marcia, anziché parcheggiarlo in un’area di sosta. Per la procura francese, questa scelta ha fatto si che le auto ed i camion che viaggiavano dietro di lui non potessero uscire. Bloccati, in una nube di fumo dalla temperatura che in pochi minuti ha raggiunto i cinquecento gradi. Con 39 persone soffocate dai cianuri.

foto: Geie


Si difende, Degrave. Dice che non aveva scelta, che in quell’emergenza parcheggiare in una piazzola di sosta era impresa impossibile. I suoi ricordi scorrono a volte precisi, altre confuse, in quell’aula gigantesca, in cui, se possibile, l’autista belga sembra ancora più piccolo. E’ difeso da una donna, bionda e minuta, che si chiama Corinne Perini.

Sembra temere i cronisti, ma quando si accorge che qualcuno ha notato il malessere di quest’uomo, che da sei anni non chiude occhio, diventa dolcissima. Racconta di come Degrave, da quel giorno, sia invalido al 40 per cento. Perché nel Traforo c’è stata una forte esplosione, e fiamme fino alla volta, e un fumo che non permetteva nemmeno di vedere il rimorchio del camion.

foto: Geie


E di una vita distrutta, con il datore di lavoro, nonché proprietario del Tir, sparito da allora in un paradiso tropicale, da cui probabilmente non tornerà mai più. Il racconto di Gilbert Degrave di quel terribile 24 marzo parte da Le Fayet, area di sosta in cui ha fumato la sua ultima sigaretta mentre i gendarmi controllavano il Tir. E va su, verso il Traforo, sulla rampa, dove dice di aver sorpassato un’autocisterna: “Il camion andava bene”. E poi dentro, nel tunnel.

E’ più o meno a metà quando racconta di aver incrociato tre Tir, uno dopo l’altro, che gli lampeggiavano con i fari. E che è per questo che ha guardato dallo specchietto retrovisore destro ed ha visto del fumo. “Pensavo fosse il motore del frigo: sul cruscotto non c’era nessuna spia accesa, non c’erano rumori sospetti e non avevo notato nessun calo di potenza” dice. E poi “Volevo portare fuori il Tir, sul versante italiano, ma non ce l’ho fatta”. Una volta fermato, ha visto che il fumo era ancora più intenso. Poi l’esplosione e la fuga, correndo prima e sull’auto di un addetto alla sicurezza poi, verso l’uscita. Questa, almeno, la sua verità. In parte contestata dai giudici. Gilbert Degrave è stato, tuttavia, “assolto” almeno in parte dai parenti delle vittime.


Dicono che sì, forse qualche sbaglio lo ha anche commesso e che sì, forse alcune sue versioni sono contraddittorie. “Ma non è sua la responsabilità di queste 39 morti – dice Xavier Chantelot (legale e parente di una vittima) – Non è lui che deve portare il peso di queste vite spezzate”, lasciando intendere, in modo nemmeno troppo velato, che c’è stato un insieme di fattori concomitanti, alcuni consapevoli, altri no, a rendere il rogo una vera e propria catastrofe.



di Maria Teresa Zonca

Mercoledì, 16 Marzo 2005
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