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Notizie brevi 16/03/2005

TRAGEDIA DEL MONTE BIANCO.
UN PROCESSO MEDIATICO, MA SOLO PER LA FRANCIA..
Trentanove morti di cui si parla troppo poco

TRAGEDIA DEL MONTE BIANCO.
UN PROCESSO MEDIATICO, MA SOLO
PER LA FRANCIA..
Trentanove morti di cui si parla troppo poco

di Maria Teresa Zonca

foto:Geie

(BONNEVILLE) Un processo mediatico, ma soltanto per la Francia. Perché in Italia quel rogo in cui morirono 39 persone, il 24 marzo del 1999, nel cuore della vetta più alta d’Europa, sta passando inosservato. Sembra destino. Il giorno della tragedia, cominciavano i bombardamenti in Kosovo. Il giorno in cui è cominciato il processo, il 31 gennaio, l’attenzione dei media è stata catapultata su un altro caso giudiziario: quello di Michael Jackson. Poi c’è stato il rapimento di Giuliana Sgrena, poi la salute del Papa. Insomma: di quelle 39 morti si parla, per una ragione o per l’altra, sempre troppo poco. Sei anni ci ha messo la procura di Bonneville tra indagini e preparazione di un processo che non sta tralasciando nemmeno il più piccolo dettaglio.

Quattro milioni di euro: a tanto ammonta l’investimento del Ministero della Giustizia francese per arrivare alla verità. Denaro speso in perizie, indagini, consulenze, e per allestire l’Agorà di Bonneville, auditorium dotato di maxischermi, traduzioni in contemporanea, sale stampa, tutto ciò che serve, insomma, per consentire ai sedici imputati (dodici persone fisiche e quattro giuridiche), alle duecento parti civili, ai 190 testimoni e alle 90 testate giornalistiche europee accreditate di non perdere nemmeno una battuta di quanto viene discusso nella ricerca di eventuali responsabilità. Un processo innanzitutto tecnico, durante il quale si sta analizzando la struttura Traforo, così com’era all’epoca del rogo, ma anche l’apparato sicurezza, nonché ogni pezzo di quel Tir Volvo, carico di farina e margarina, da cui partì l’incendio.


Il clima che si respira all’Agorà è, per chi è abituato ai processi italiani, senza precedenti. Il processo è cominciato il 31 gennaio e sta seguendo giorno per giorno, il calendario delle testimonianze da ascoltare, suddivise per argomenti. La conclusione è prevista per il 29 aprile, poi i giudici si prenderanno il loro tempo per tirare le somme, e condannare od assolvere gli imputati. Di come stanno procedendo i lavori sono soddisfatti i parenti delle vittime, che già da anni si sono costituiti in associazione, assistita in aula da legali italiani e francesi. “Omicide involontarie” è l’accusa per gli imputati. Equivale al nostro “omicidio colposo”, che prevede condanne non particolarmente severe, nonostante la recente riforma che porta la pena minima a due anni di reclusione.

In ballo, però, ci sono interessi fortissimi. Non soltanto il risarcimento danni alle parti civili, ma anche tutti quei milioni di euro persi con i tre anni di chiusura del traforo, e gli altri soldi spesi per ristrutturarlo e renderlo più sicuro. Centinaia di milioni. Per questo ogni imputato cerca, in qualche modo, di scaricare la responsabilità su altri. Si è parlato di un guasto del camion, ma la società che lo produce nega e parla di una fuga accidentale di olio, oltre alla presunta mancanza di liquido di raffreddamento. Punta, così, il dito contro l’autista, che si giustifica dicendo che aveva fatto tutti i controlli e che il camion era a posto: mai spie accese, mai cali di potenza, mai nessun rumore sospetto.

Si è parlato di piazzole di sicurezza troppo strette per parcheggiare il Tir in panne, ma le società di gestione hanno filmato un Tir Volvo che vi entrava con una sola manovra. Si è discusso di norme inesistenti, di presa di coscienza postuma di quanto ve ne fosse bisogno, e persino di mozziconi di sigaretta, probabile, ma non dimostrato, fattore scatenante del rogo. Sul banco degli imputati, Gilbert Degrave, il belga che guidava il Tir, la Volvo, le società di gestione italiana e francese del Tunnel, addetti alla sicurezza, funzionari, e persino il sindaco di Chamonix, Michel Chalet. L’imputazione, per lui, è un paradosso.

Da anni, ben prima del rogo nel tunnel, si batte con gli ambientalisti contro il trasporto su gomma attraverso le Alpi. Una lotta nota a tutti nella Vallée de l’Arve, ma non sufficiente ad evitargli l’imputazione perché non avrebbe fatto abbastanza per la prevenzione degli incendi nel traforo. Il giorno dell’avvio del processo, fuori dall’Agorà c’erano le tute bianche a sostenere Chalet, e, con loro, tutti i sindaci della Valle francese in cui transitano i camion da e per l’Italia attraverso il Traforo del Monte Bianco. Grande assente al processo, il Ministro per le Infrastrutture e Trasporti Pietro Lunardi.

Fu lui, insieme al prefetto Leonardo Corbo, a stilare una prima analisi sull’accaduto, in quanto esperto in gallerie. La sua inchiesta è agli atti, e il suo nome figura nell’elenco dei testimoni della difesa della gestione italiana del tunnel. Ma, al momento, il tribunale di Bonneville non ha ancora citato l’esperto, diventato nel frattempo ministro. Gran sostenitore del raddoppio, Lunardi ha sempre ritenuto che “ristrutturare il traforo sarebbe stato come mettere il trucco a una nonnina di 80 anni”.

 



di Maria Teresa Zonca

Monte Bianco
Mercoledì, 16 Marzo 2005
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