Genitori sul lastrico per non aver «educato» il figlio
Una madre e un padre condannati a pagare 300 mila euro per non aver educato il proprio figlio. Claudio e Angela Pedrazzoli, genitori milanesi, sono stati ritenuti colpevoli dalla Corte di Cassazione della cosiddetta culpa in educando . Ovvero, non avrebbero impartito al loro figlio Daniel, che oggi ha 26 anni, «un’educazione adeguata a prevenirne comportamenti illeciti». Daniel, invece, quando aveva 12 anni commise, involontariamente, un grave reato. E i suoi genitori, anche se in quel momento non erano presenti, ne sono stati giudicati colpevoli.
Era l’estate del 2002. Daniel frequentava l’oratorio feriale della parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice di via della Ferrera, a Milano. Il 26 giugno, don Giovanni Fumagalli, responsabile dell’oratorio, decise di portare quindici ragazzi a fare una gita in bicicletta sulla pista ciclabile del Naviglio Grande, fino a Magenta. Verso le 15, sulla via del ritorno, a Robecco sul Naviglio, la comitiva incrociò una pensionata, Miranda Gurgo, 71 anni, che procedeva in bicicletta in senso opposto. La sua bici e quella di Daniel si urtarono. Due testimoni dissero che il giovane aveva cercato di sorpassare un amico, disubbidendo alle raccomandazioni del sacerdote. Un testimone, poi, ritrattò. A causa dell’urto, la donna cadde nel canale, perché in quel punto la ciclabile è tuttora priva di protezioni. Ripescata dai soccorritori, era ormai in coma irreversibile e spirò dopo un anno e mezzo di agonia.
La sua famiglia citò in tribunale il Parco del Ticino, ente gestore della ciclabile, e la famiglia di Daniel. Il Tribunale in primo grado li condannò in solido a versare 500 mila euro, ritenendo responsabile il Parco per la pericolosità del luogo e il ragazzo per l’imprudenza. La famiglia Pedrazzoli avrebbe dovuto versarne 198 mila. La sentenza di appello, nel 2012, ribadì la culpa in educando e il risarcimento venne elevato di 73 mila euro, sempre in solido. A quel punto, l’assicurazione Unipol del Parco del Ticino versò l’intero risarcimento alla famiglia della pensionata, compresa la parte dei Pedrazzoli, ma poi citò la famiglia di Daniel per avere un rimborso pari a 276 mila euro. La sentenza di Cassazione, depositata nei giorni scorsi, conferma la condanna, ritenendo le altre sentenze frutto di «argomentazioni logiche e congrue». Considerando le spese legali e gli interessi, si arriva a circa 300 mila.
E ora? «Finiremo sul lastrico, perché non abbiamo tutti quei soldi. Io lavoro in una ditta di soccorso stradale, mia moglie fa un part-time in una ditta di pulizie e i miei figli (oltre Daniel c’è Luca, 21 anni, ndr ) hanno lavori precari», accusa Claudio. «Quel giorno avevamo affidato nostro figlio all’oratorio: erano loro che dovevano vigilare. La testimonianza di Daniel non è stata mai ascoltata e anche noi siamo stati giudicati incapaci di educare, senza mai essere stati sottoposti a perizie». L’ultima speranza è un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. «Chiediamo aiuto a chiunque voglia darcelo. Finora abbiamo ricevuto solo false promesse». La famiglia ha scritto al Presidente della Repubblica, al Consiglio Pontificio e a altre autorità. «Tutti spariti». Claudio e Angela hanno venduto la casa di Milano e ora abitano a Buccinasco, in affitto.«È da tredici anni che viviamo nel terrore di finire per strada. Daniel è tuttora in terapia psicologica. Vogliamo giustizia. Ci sarà pure un giudice che vorrà riguardare le carte e ascoltare le nostre ragioni».
di Giovanna Maria Fagnani
da corriere.it
La strada racconta storie incredibili come questa, ma vere! E non si tratta di un figlio che aveva bevuto e poi ucciso mentre era al volante, ma all’epoca il figlio era solo un ragazzino di 12 anni in bici che ha fatto cadere una anziana signora anche lei in bicicletta, la donna dopo una lungo periodo di coma è deceduta. (ASAPS)