Danno da fermo tecnico: non basta la mera indisponibilità del veicolo. Va dimostrata la necessità di servirsi del mezzo
da studiocataldi.it
Il danno da fermo tecnico non è in re ipsa poiché l'indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni è un danno che deve essere allegato e dimostrato. La prova del danno non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve consistere nella dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero nella dimostrazione della perdita subita per avere dovuto rinunciare i proventi ricavati dall'uso del mezzo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza n. 20620/2015 (qui sotto allegata) sul ricorso proposto da una donna a seguito di un incidente stradale che provocò danni solo a cose.
La ricorrente chiese ai giudici di merito il risarcimento del danno, ma il Giudice di pace di Roma rigettò la domanda ritenendo l'obbligazione estinta per avvenuto pagamento da parte dell'assicuratore del responsabile.
Diverse le censure proposte dalla donna, tutte rigettate da Piazza Cavour.
Tra queste rileva la doglianza circa il c.d. "danno fermo tecnico" che, secondo la donna, sussisteva e doveva essere risarcito per il solo fatto che il veicolo venne danneggiato e che quindi doveva essere riparato.
Gli Ermellini chiariscono che il danno in esame non è in re ipsa e non può essere ritenuto sussistente per il solo fatto che un veicolo non abbia circolato perché in riparazione.
Un primo e risalente orientamento ha ritenuto il danno da fermo tecnico liquidabile anche in assenza di prova specifica, rilevando la sola privazione del veicolo per un certo tempo, prescindendo anche dall'uso a cui esso era destinato.
La Corte non ritiene condivisibile una simile tesi, considerando in primo luogo che nel nostro ordinamento non esistono danni in rebus ipsis e nessun risarcimento è mai esigibile in assenza di un concreto pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale.
Neppure è giusto che che un danno obiettivamente incerto venga liquidato in via equitativa una vola dimostrata la sola inutilizzabilità del veicolo per un certo numero di giorni.
Ancorare la sosta forzosa ad un danno pari alla spesa sostenuta per la c.d. tassa di circolazione è altrettanto sbagliato, in quanto questa è dovuta per il solo fatto dell'iscrizione del veicolo nel P.R.A., a prescindere dalla sua circolazione.
Lo stesso vale in relazione al premio assicurativo "pagato invano", poiché il rischio che il veicolo possa causare danni a terzi non viene meno durante il periodo della riparazione ed il proprietario potrebbe anche chiedere la sospensione dell'efficacia della polizza.
Neppure può lamentarsi il deprezzamento del veicolo, in quanto esso è causato dalla necessità della riparazione, non dalla durata di questa, trattandosi, inoltre, di un danno eventuale da accertare caso per caso e non di una conseguenza necessaria del fermo tecnico.
Addirittura la riparazione di un veicolo obsoleto e malandato potrebbe far aumentare il suo valore rispetto a quello assunto prima del sinistro.
Infine, ritenere che l'indisponibilità dei veicolo costituisca un danno patrimoniale a prescindere dall'uso a cui è destinato è inaccettabilmente erroneo perché non potere utilizzare un veicolo per svago o diporto costituisce un pregiudizio d'affezione e non una perdita patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c.
Da condividere, secondo i giudici, un diverso e più recente orientamento che non considera sussistente il danno da fermo tecnico in re ipsa, quale conseguenza automatica dell'incidente e che sottopone il risarcimento ad una "esplicita prova" non solo del fatto che il mezzo non potesse essere utilizzato, ma anche dal fatto che il proprietario avesse davvero necessità di servirsene e sia però dovuto ricorrere a mezzi sostitutivi, ovvero abbia perso l'utilità economica che ritraeva dall'uso del mezzo (cfr. Cass. n. 970/1996; n. 12820/1999; n. 15089/2015).
di Lucia Izzo
da studiocataldi.it