Videosorveglianza senza registrazione? Le immagini sono comunque dati personali
da Altalex
L’attività di videosorveglianza, pure nell’ipotesi in cui sia svolta in assenza di registrazione, comporta la raccolta ed il trattamento dell’immagine di una persona, che ricade sotto la definizione di “dato personale”. Pertanto, sui negozianti che intendano usufruire di sistemi di videosorveglianza, ricade l’onere di rispettare le norme, prescritte dal codice sulla privacy, sull’informativa al cliente.
Questo il dictum della II Sezione Civile della Cassazione, pronunciato nella sentenza, n. 17440 del 2 settembre 2015, che accoglie il ricorso, formulato del Garante della privacy, contro la decisione del giudice di merito che aveva annullato la sanzione amministrativa comminata, dalla medesima autorità, nei confronti di un commerciante. Questi aveva omesso di esporre il cartello informativo previsto, per l’attività di videosorveglianza, dall’art. 13 del D.lgs. 196/2003, con conseguente contestazione dell’illecito amministrativo di cui all’art. 161 della medesima disciplina.
La vicenda giudiziaria trova il suo esordio in sede di opposizione alla sanzione, dove il negoziante asserisce di non aver trattato dati personali: il proprio operato non si era concretizzato nella registrazione delle immagini, bensì si era limitato alle riprese senza poter identificare le persone. All’interno del negozio, infatti, era collocata una telecamera allacciata ad un monitor ubicato sul soppalco dell’esercizio stesso, che veniva utilizzata dal titolare per sorvegliare l’accesso degli avventori nel proprio locale, quando si recava al piano superiore. Ciò in conformità al consolidato orientamento della Suprema Corte, in virtù del quale l’immagine non veniva considerata, di per sé, un dato personale, se non fosse stata corredata da una didascalia o da un sonoro che individuasse la persona.
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza del 5 giugno 2009, n. 12997, aveva infatti chiarito che l’immagine di una persona, pur possedendo capacità identificativa del soggetto, quando viene trattata, non integra in automatico la nozione di “dato personale” di cui al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, bensì lo diviene qualora chi esegue il trattamento la correli in modo espresso ad una persona mediante didascalia, od altra modalità, quale un’enunciazione orale, da cui sia possibile identificarla, restando invece irrilevante, in mancanza di tali indicazioni, la circostanza che chi percepisce l’immagine sia in grado, per le sue conoscenze personali, di riconoscere l’individuo ritratto.
Il Garante, ritenendo che l’attività di videosorveglianza posta in essere dall’uomo potesse comunque avere una portata informativa, adottava un’ordinanza ingiunzione. Il negoziante ricorre quindi al Tribunale di Palmi che, dichiarando l’annullamento della sanzione, dimostra di condividere l’orientamento giuridico espresso negli scritti difensivi del ricorrente: l’immagine di una persona non può essere definita dato personale in assenza di elementi oggettivi che ne consentano una potenziale identificazione. Nel dettaglio, il giudice di merito rilevava che, pur dovendo escludersi che l’apparecchio utilizzato dal commerciante potesse essere considerato un videocitofono, le modalità di raccolta dei dati personali non configuravano una violazione delle garanzie di protezione previste dal D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto limitate nel tempo e specifiche nella loro finalità.
La vicenda, su impulso del Ministero dell’Interno e dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, approda in piazza Cavour dove i giudici ermellini, cassando la sentenza e decidendo nel merito, adottano un differente orientamento in materia: in riforma della sentenza di primo grado, viene chiarito che l’immagine rappresenta un dato immediatamente idoneo a identificare la persona, a prescindere dalla sua notorietà.
Con riferimento all’attività di videosorveglianza senza registrazione, la Corte evidenzia che il trattamento risulta legittimo, in conformità alle prescrizioni dettate dal garante: “nei casi in cui le immagini sono unicamente visionate in tempo reale, oppure conservate solo per poche ore mediante impianti a circuito chiuso (Cctv), possono essere tutelati legittimi interessi rispetto a concrete ed effettive situazioni di pericolo per la sicurezza di persone e beni, anche quando si tratta di esercizi commerciali esposti ai rischi di attività criminali in ragione della detenzione di denaro, valori o altri beni (ad esempio gioiellerie, supermercati, filiali di banche, uffici postali)”. Da tali considerazioni il giudice di legittimità ne fa discendere l’obbligo dell’informativa, la cui violazione comporta la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’articolo 161 del codice della privacy. L’esercente, secondo il nuovo principio espresso dalla Suprema Corte, nella pronuncia in commento, poteva quindi procedere alla videosorveglianza del piano terra del proprio locale, tenendo conto che siffatta attività integra un trattamento di dati personali, in conformità dell’art. 4, lett. a) e b), del D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto la “raccolta” concerne l’”immagine” delle persone. Secondo quanto esposto dal giudice di legittimità, detta attività avrebbe dovuto formare oggetto di informativa rivolta agli avventori del locale ove era installata la videocamera, con le forme di cui alla citata disciplina.
(Nota di Laura Biarella)
Sentenza 25 settembre 2014 - 2 settembre 2015, n. 17440