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Notizie brevi 01/03/2005

A/3 Salerno-Reggio Calabria - CRONACA DI UN INTERVENTO DA ALPINISTI PER UN CAMION PRECIPITATO DA UN VIADOTTO IN PIENA NOTTE

di Lorenzo Borselli

A/3 SALERNO – REGGIO CALABRIA –
CRONACA DI UN INTERVENTO DA ALPINISTI PER UN CAMION PRECIPITATO DA UN VIADOTTO IN PIENA NOTTE.


di Lorenzo Borselli

Definirla notte da lupi, quella dell’8 dicembre, sarebbe un eufemismo. Il vento sferzava i viadotti della Salerno-Reggio Calabria, dalle parti di Lamezia Terme, mentre la foschia e una pioggia da diluvio universale giocavano nell’aria gelida che piegava i fusti e le chiome degli alberi fino a terra e poi di nuovo verso il cielo, rotto dai lampi e dai boati tondi del temporale. I pochi avventurosi che ancora si attardavano in quella notte da tregenda concentravano lo sguardo su quella piccola porzione di strada che i fari riuscivano ad illuminare, dietro occhi affaticati dai riflessi della nebbia e dei vetri appannati, su cui insistevano, testardi, i tergicristalli. C’è una pattuglia, nel sentiero della tempesta, che percorre l’autostrada solitaria, come una motovedetta nella mareggiata. A bordo ci sono due veterani, ragazzi che ne hanno viste di cotte e di crude: Erberto Lomongiello e Giovanni Borreca. A bordo dell’auto di servizio regna un silenzio irreale, e l’attenzione è tutta in avanti, al di fuori del parabrezza, con gli stivali puntellati in avanti e le mani salde su un appiglio sicuro. Era come se i due uomini della Stradale se lo sentissero, che qualcosa stava per accadere, e cercavano di godersi il microclima confortevole dell’abitacolo istante per istante, come se sapessero che quello poteva essere l’ultimo.
Sarà il sesto senso, sarà veggenza pura o tanta esperienza, ma accade sempre.
La Marea esce dalla galleria e la folata di vento la investe come una bordata partita da una corrazzata. Sbanda solo per un attimo, prima che le mani salde dell’autista giochino con lo sterzo e correggano la rotta. Ma la deviazione illumina il guardrail, che appare sfondato. Ci siamo.
L’auto si ferma all’istante, lampeggianti accesi, luci di emergenza tutte azionate. Gli agenti scendono dall’auto e si avvicinano al bordo slabbrato della barriera, sospesi nel vuoto a 130 e passa metri d’altezza. Troppo buio, troppo vento.
Il fascio della pur potente torcia muore dopo pochi metri, come se dal buio del profondo qualcosa ricacciasse verso l’alto la luce della Maglite.
Per un attimo, il raggio sembra vincere gli elementi e scende fino agli alberi, fino a centrare per un attimo qualcosa che riflette una luce rossa. Un diottro, forse, o un faro.
Scatta l’allarme, perché chi ha sfondato l’acciaio non può essere rimasto in strada, e se è volato di sotto, è ancora laggiù, inghiottito dal nero pece di quel burrone.
Il COA annota l’orario della chiamata, le 2 in punto, mentre un’altra macchina della Stradale, con a bordo Alberto Lacalamita e Francesco Ruggiero, spinge il gas per dare manforte ai colleghi e mentre una squadra dei Vigili del Fuoco parte da Cosenza per raggiungere il luogo della chiamata.
Passano pochi minuti e arrivano. Le voci sembrano spegnersi ad ogni colpo di bufera, poi tre agenti salgono su un’auto e schizzano fuori dall’autostrada, per raggiungere la base del viadotto, presidiato da un solo poliziotto e illuminato a giorno coi fari della pattuglia.
Un faro, un punto di riferimento.
Così, mentre si cerca di capire cosa è successo, il terzetto di soccorritori in divisa cerca di aprirsi un varco nelle strade sterrate poderali, in quelle asfaltate e interrotte da una, due fino a tre frane.
Il rendezvous con i Vigili del Fuoco avviene in aperta campagna, dove è impossibile proseguire: tutti si caricano di corde, mototroncatrici, divaricatori, kit di soccorso sanitario.


In fila indiana, come soldati in una jungla infestata di nemici, gli eroi della notte di bufera, si inerpicano per tre chilometri sul costone di un fiume in piena. Poi la roccia sbarra loro il passo, e allora comincia una scalata, coi pompieri SAF che si avvantaggiano nella boscaglia, ripida e scivolosa di fango, piena di rovi e vegetazione crollata, e che stendono una corda per ritrovare la strada.
Sbagliano sentiero più volte, ma dopo il vicolo cieco tornano indietro, più volte, seguendo la luce della pattuglia ferma sul viadotto come farebbe un marinaio con la stella polare, fino a quando l’ultimo colpo di ascia taglia l’ultima barriera vegetale che li divide da un ammasso di lamiere. C’è puzza di gasolio ovunque, e quel che resta della cabina di un tir penzola pericolosamente sull’orlo di un altro burrone.
Forse gli albero ne hanno attutito lo schianto, perché un angolo di cabina è ancora integro. Alberto La Calamita si lega la corda in vita e si cala fino a entrare dentro la carcassa di quel Tir.
È un inferno di detriti, di vetri rotti, di acciaio piegato. Una persona è incastrata là dentro, immobile. L’occhio è di quelli esperti, e Alberto capisce subito.
Non è bastato, stavolta, quel colpo d’occhio vigile sul guardrail, non è stata sufficiente la testardaggine di chi, per professione, soccorre.
Troppi, quei 130 metri di volo, anche se per un attimo la Provvidenza pareva essere stata clemente, con un angolo di cabina scampata miracolosamente alla violenza dell’impatto.
Così, i quattro angeli, nella notte della tempesta, si sono prodigati per salvare una vita che ormai era fuggita. Hanno lavorato sodo, da veri eroi quali sono, insieme ai Vigili del Fuoco, spiegando con tristezza a Tommaso Azzarrito ed al loro comandante Francesco Manzo, ciò che doveva essere accaduto.
Siamo vicini, noi della redazione, ai colleghi di Lamezia, e ringraziamo il collega Azzarrito di averci raccontato questa tragica avventura e di averci ricordato di quanta generosità siano capaci i nostri ragazzi migliori.

 


Martedì, 01 Marzo 2005
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