Nessuna forca, ma solo Giustizia
Omicidio stradale è questo: civile legalità
Chi scrive questo commento, pronunciò la locuzione “omicidio stradale” più o meno nel 2001, all’inizio dei suoi studi sulla sicurezza stradale per conto dell’Asaps, quando capì che all’estero c’erano una coscienza e un approccio diversi al fenomeno infortunistico. Chi scrive ricorda bene l’espressione di Giordano Biserni, quando gli propose l’articolo nel quale usava tale locuzione. E ricorda bene anche la luce negli occhi di Stefano e Stefania Guarnieri, una sera di settembre 2010, quando tutto cominciò. Purtroppo sulla pelle del loro Lorenzo, ucciso qualche settimana prima, il 2 giugno.
(ASAPS) Noi non siamo giustizialisti, né siamo un branco di sprovveduti speranzosi di attenzione mediatica. Noi siamo l’anima di una Legge, forse una delle poche insieme a quella che ha riconosciuto il delitto di stalking, che è stata promulgata per un’effettiva esigenza di Giustizia. E questo è un fatto.
Riconosce, a chi viene ammazzato sulla strada, la dignità di una vittima vera, soppressa prima di oggi almeno due volte: la prima, sulla strada, nell’indistinto rumore di fondo del traffico; la seconda nell’assordante silenzio investigativo e processuale, archiviata nel giudicato penale come persona offesa di un incidente e in quello civile come una bega da risolvere tra avvocati e periti.
Cambia tutto, dunque. In attesa della pubblicazione sulla gazzetta ufficiale della nuova legge, è dunque richiesto al cittadino di prendere contezza della norma e di prepararsi: ad andare piano, a distrarsi di meno, a non bere e non drogarsi.
A pensare di non essere al centro del mondo quando si trova al volante, ad aprire gli occhi e star bene attento a ciò che fa, perché uccidere qualcuno guidando o anche solo fargli male, comporterà conseguenze anche sulla propria pelle, oltre che su quella degli altri.
È richiesto, insomma, un cambio di mentalità, lo stesso che in qualche modo, dall’entrata in vigore della patente a punti ed alla diffusione dell’efficacissimo Tutor autostradale, ha cominciato ad abbassare l’asticella della mortalità (ora purtroppo in rialzo), portando il nostro Paese più vicino, ma ancora lontano, al livello dei paesi più moderni.
Chi legge gli studi dell’Asaps, chi ci segue da vicino, sa benissimo che da circa vent’anni è maturata in noi, studiosi delle dinamiche della strada, la ferma convinzione che alcune fattispecie di reati – che oggi possiamo definire stradali – non potevano essere giudicate come semplici incidenti della circolazione.
Del resto, l’etimologia della parola, “incidente”, da sola basterebbe a qualificare il fatto: i latini la usavano per definire qualcosa che accade all’improvviso, non preventivabile. E anche l’uso che si fa dell’altra ben nota parola, “sinistro”, servirebbe a indicare una sciagura legata alla sfortuna, alla scalogna.
E non c’è dubbio che molti incidenti accadano per caso, non voluti, ma la sfortuna, la malasorte, riguarda solo chi si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato: la vittima incolpevole. La sfortuna è solo sua: chi l’ha ucciso, invece, ha quasi sempre una precisa responsabilità, fino ad oggi inquadrata – salvo pochi illuminati esempi – nella sfera della colpa.
Chi, in preda dell’isteria, grida oggi allo scandalo perché d’ora in poi nessuno sarà più al sicuro, riferendosi certamente al fatto che ciascuno di noi potrà trovarsi nelle patrie galere per aver ucciso qualcuno mentre guidava una macchina, in realtà fa il nostro gioco.
Aumenta cioè il senso di responsabilità che dovrebbe già contraddistinguerci quando ci troviamo al volante e porterà tutti a riflettere: e se capita a me?
Se capita a me, se cioè bevo o mi drogo, se guido come un pazzo, se inverto la marcia in un viale, se passo col rosso o se scappo lasciando la mia vittima a morire in mezzo alla strada, andrò in prigione e ci resterò un bel pezzo. Condividerò la cella con chi ha ucciso tirando un grilletto o affondando una lama nella carne di un altro essere umano, con chi traffica la droga che ho comprato, con chi ruba e stupra.
Del resto, cosa fanno i pirati? Ma soprattutto: non ho forse fatto lo stesso?
Il cambio di mentalità, però, lo dovranno fare anche la polizia e la magistratura: quando arriveremo sulla scena di un incidente, saremo sulla scena di un crimine e dovremo scordarci gli automatismi della compilazione di un modellino prestampato.
Dovremo abituarci a “fettucciare” le strade, a fare fotografie perfette e raccogliere tutti gli elementi che, come vuole il codice di procedura penale, serviranno poi al Pubblico Ministero ad esercitare l’azione penale.
Serviranno ad accusare ma anche a scagionare. Che poi la norma vada rivista e migliorata, tutti d’accordo, ma l’idea che una locuzione da noi inventata sia divenuta un articolo del codice penale, ci rende sicuramente fieri.
Non certamente contenti, ma fieri sì. E se tra un anno, potremo commentare dati in discesa, se al dolore immenso avremo sottratto almeno la frustrazione di chi resta, allora lo scopo sociale dell’Asaps è raggiunto. (ASAPS)
Una riflessione ricca di contenuti del nostro Lorenzo Borselli che nei primi anni del nuovo millennio adottò per primo la locuzione “Omicidio stradale” in un articolo sulla nostra rivista il Centauro.
“Chi scrive questo commento, pronunciò la locuzione “omicidio stradale” più o meno nel 2001, all’inizio dei suoi studi sulla sicurezza stradale per conto dell’ASAPS, quando capì che all’estero c’erano una coscienza e un approccio diversi al fenomeno infortunistico. Chi scrive ricorda bene l’espressione di Giordano Biserni, quando gli propose l’articolo nel quale usava tale locuzione. E ricorda bene anche la luce negli occhi di Stefano e Stefania Guarnieri, una sera di settembre 2010, quando tutto cominciò. Purtroppo sulla pelle del loro Lorenzo, ucciso qualche settimana prima, il 2 giugno”