Sono
automobilisti, istruttori di guida, piloti di potenti barche a
motore e skipper di scafi a vela. Ma non hanno mai sostenuto sul
serio gli esami. Invece di studiare norme e segnaletica, hanno
comprato la patente: c’era un’organizzazione rapida,
efficiente e sicura che pensava a tutto. Anche se la scorciatoia
era un po’ costosa. Sono 170 gli indagati nell’inchesta
sui permessi di guida fasulli: conducenti di Roma e di altre città
accusati di corruzione e falso. Lo scandalo era esploso a settembre,
quando la procura di Torino aveva spedito in carcere 12 dirigenti
del Dipartimento trasporti terrestri (ex Motorizzazione), un funzionario
della Provincia di Roma, 15 procacciatori, responsabili e dipendenti
di autoscuole. Intanto era scattata la caccia ai clienti, diventati
assi del volante per aver superato i test pagando tangenti fra
i 400 e i duemila euro: nella maggior parte dei casi, 1.500.
Il traffico delle licenze facili è emerso per caso nell’ambito
di un’inchiesta sul riciclaggio di vetture di lusso. Il 21
ottobre 2003 gli agenti della polstrada di Torino captano una
conversazione in cui un indagato, Sandro Lafleur, dice che «non
ha ancora chiamato quello della patente». Qualche giorno
dopo, in un altro colloquio, Lafleur chiede all’interlocutore
«600 euro che gli servono per andare a Roma a prendere»
il permesso di guida. Il viaggio lo farà in aereo, ma gli
occorrono «pure 1.500 euro per la patente». «E
siamo a posto», conclude Lafleur rivolgendosi all’altro,
che è suo debitore.
Da pochi giorni però l’inchiesta non è più
nelle mani della magistratura piemontese: alcuni avvocati hanno
sostenuto che la competenza è della procura di Roma e la
Cassazione ha condiviso questa tesi. Il fascicolo è stato
trasmesso a piazzale Clodio ed è stato affidato al sostituto
Carlo Lasperanza, che dovrà proseguire gli accertamenti.
Prima di rivolgersi alla Suprema Corte, i legali avevano tentato
di far spostare l’inchiesta nella capitale con un’istanza
al pm Antonio Rinaudo, titolare dell’indagine. Ma il magistrato
l’aveva respinta, sottolineando che il pactum sceleris ,
cioè l’accordo per comprare la patente, era stato
concluso a Torino. Almeno nel primo caso scoperto. Anche quella
mazzetta però, come le successive, sarebbe stata pagata
a Roma, poichè al centro del giro di tangenti ci sarebbe
stata un’autoscuola di Santa Marinella, la «Universal».
Sarebbero stati i suoi titolari a pagare i funzionari compiacenti
per conto dei clienti reperiti dai procacciatori. Una circostanza
che ha convinto i giudici di piazza Cavour a dare ragione ai difensori.
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