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Articoli 29/03/2016

Paura del “terrore”. Difendiamoci dentro.

Di Lorenzo Borselli

(ASAPS) – Mentre l’Europa e l’intero mondo occidentale seguono con apprensione la caccia all’uomo vestito di bianco che ha accompagnato i due kamikaze all’aeroporto di Bruxelles, tutti stiamo ormai prendendo coscienza che pur non essendoci stato un proclama ufficiale (la cara e vecchia dichiarazione di guerra), le ostilità ci sono eccome.
Forse ci eravamo illusi, anche dopo i tanti 11 settembre che si sono succeduti uno dopo l’altro dal tremendo attacco all’America del 2001, che in fondo il campo di battaglia non fossero le nostre strade, le nostre piazze, i nostri luoghi di ritrovo, di lavoro o di turismo. Perché in fondo la guerra dei droni si combatte da una sala di controllo lontana, perché le incursioni chirurgiche sono portate a compimento dai Rambo che ogni Paese si vanta di addestrare meglio degli altri, perché alla fine se anche Osama Bin Laden è stato individuato e soppresso, allora siamo al sicuro.
Invece no.

Così, mentre i tanti TG mandano in onda h24 le stesse immagini a ripetizione, intervallandole da dotte analisi, da lacrime di commozione, dai consueti sepolcri virtuali ove appiccicare migliaia di post-it recanti messaggi di cordoglio, foto di vittime innocenti e dove accendere milioni di lumini, un tarlo si insinua nella nostra psiche occidentale: c’è la guerra.
E nella guerra, nonostante le impossibili e tronfie convenzioni che gli Stati si sono dati  per il trattamento umano dei prigionieri e per le regole d’ingaggio e nonostante un’assurda certezza che tutto possa risolversi in un accordo o in una guerra lampo, tutti ci facciamo male. Nell’era dei social, in cui ciascuno esibisce agli altri la propria verità, in cui tutti credono a tutto (anche all’assurdo), non avremo probabilmente nemmeno più un vinto e un vincitore, anche perché non c’è più un fronte al quale confinare il fuoco di cannoni.

Il fronte non c’è e questo rende questa guerra, che abbiamo realizzato essere ormai scoppiata, il primo vero conflitto mondiale della storia. Perché dopo il ‘15/’18, dopo il ’40-’45, dopo l’era della guerra fredda e dei tanti scacchieri più o meno virtuali, oggi anche sotto casa potrebbe arrivare il nemico e farci fuori.
A mani nude, coi Kalashnikov, con le bombe fai da te piene di chiodi o con un’auto lanciata su una fermata.
Confessiamolo: siamo confusi, oltre che impauriti.
Non capiamo più se abbia ragione chi dice che il nemico è semplicemente il diverso, che dobbiamo respingere al largo e farlo affogare, o chi dice che proprio ora dobbiamo combattere con le armi democratiche della cultura e della tolleranza.
Contro un nemico, però, che la prima vera battaglia l’ha già vinta: quella della paura. Anzi, del terrore.

La non convenzionalità della cosa ci smarrisce e a questo si deve aggiungere l’inconcepibilità (per noi) delle pretese del nemico, che consistono più o meno nel distruggere tutto ciò che in millenni di progresso ci siamo faticosamente conquistati, a partire dal “cogito, ergo sum”; vogliono che non pensiamo, che “non siamo”. Vogliono metterci tutti in ginocchio con barba e velo a pregare un dio che non è il nostro, anche se lo chiamano come quello che potrebbe anche essere il nostro.
Perché nonostante una lettura al Corano molti di noi l’abbiano data, vogliamo ancora pensare che l’Islam non sia questo.
Quindi?
Quindi, in nome di questa nostra più evoluta concezione della vita – intesa proprio come essere qui, oggi, all’occidentale maniera – dobbiamo secondo noi cominciare a pensare diversamente. Alla svelta però, senza dimenticare di ponderare ogni singolo passo, serrando i ranghi ed evitando di commettere gli errori del passato con la lucida consapevolezza che niente sarà mai più come prima. Quindi, primi nemici da abbattere sono la demagogia (nell’era dei social sarà ancora più difficile) e l’ipocrisia.

Se tutto ha un inizio e una fine, beh… allora prendiamo consapevolezza che tutto questo sangue inizia a scorrere con la questione Palestinese, a meno che non si voglia tornare ai tempi delle Crociate. Chi ha già qualche anno sulle spalle, ricorderà perfettamente i dirottamenti di aerei e di navi, i falliti blitz di liberazione e quelli riusciti, gli attentati, le tensioni, i missili che abbattevano aerei civili e i raid di ritorsione, tutti atti ai quali seguono – da allora – proclami di reciproca vittoria. Vittoria di Pirro.

Ecco: partiamo da qua e forse la soluzione possiamo trovarla. Quando i lanci dei razzi Qassam e gli attentati di Tel Aviv sono finiti, ciò è avvenuto perché Israele ha tirato su un gigantesco muro, isolandosi dal nemico. Possono Europa e mondo occidentale fare altrettanto? La risposta è semplice: no. Né è possibile prescindere che oggi tutti i terrorismi da cui dobbiamo difenderci sono certamente ben connotabili dalla matrice di una sola religione, ma se dovessimo tirar su il muro di protezione dovremmo rispedire ai paesi d’origine tutti gli immigrati che contribuiscono al nostro benessere, che in parte condividono, e dovremmo rinchiudere in campi di concentramento tutti coloro che dovessero dichiarare di professare quella religione. E questo, oltre che essere impossibile, non farebbe altro che – riteniamo di poterlo affermare con oggettività – acuire il contrasto, oltre che abdicare al nostro “essere qui, oggi” e tornare a nostra volta al medioevo.

 

L’attacco alle Olimpiadi di Monaco del 1972
1985 -  La nave da crociera Achille Lauro venne dirottata da un gruppo di terroristi palestinesi


Quindi? Bisogna investire. Bisogna, a nostro modesto avviso, deciderci a farla, questa benedetta Unione Europea. Facciamo una polizia unica (altro che inglobare la Forestale nei Carabinieri e chiamarla spending-review) e che possa parlare una sola lingua. Facciamo una sola legge penale e di prevenzione che valga in tutti gli Stati di un Unione che di fatto non lo è e che ancora si litiga i terroristi degli anni ’70, in nome di un’ipocrita rivendicazione di democrazia, uguaglianza e di libertà che sulle monete fa bella mostra di sé, ma che dopo l’esportazione di intere razze dalle colonie ha prodotto banlieux così ermeticamente esplosive dal non poter semplicemente essere più controllate.
Poi, per piacere, si abbandoni la convinzione che si possa anche non reagire. No.

È troppo tardi: bisognava pensarci prima di invadere terre lontane e di abbattere dittatori sanguinari, scelte evidentemente illogiche e ipocrite a loro volta. Altrimenti, perché non andare in Corea del Nord ad abbattere il regime di Kim Jong-un, visto che oltre che opprimere il proprio popolo si diverte a spaventarci con la minaccia, forse nemmeno troppo balorda, di lanciarci contro una rudimentale bomba nucleare?
Direte voi: ecco che anche l’ASAPS si diletta in politica estera ed analisi di sicurezza… Sì, perché, non dimenticatelo, siamo della partita con migliaia di operatori di polizia, molti dei quali esperti in investigazione e (anche) analisi. Polizia spesso inascoltata, che invece pretende di lavorare con gli strumenti che lo Stato dovrebbe conferirle, prima tra tutte una maggior armonia con una delle funzioni fondamentali dello Stato, quella Giudiziaria.

Che propone un controllo del territorio fisico, che consenta una penetrazione d’intelligence nel tessuto della società che è chiamata a difendere e che in questo momento sembra persa (almeno noi ne siamo convinti) in una sorta di relativismo culturale consistente nel non voler reagire, soccombente per questo in partenza. Chi viene in Europa, chi viene nel mondo occidentale, dovrebbe sapere che il suo comportamento sarà oggetto di controllo e anche di censura; dovrebbe sapere che deve accettare il nostro stile di vita. Invece, persi come siamo a decantare la nostra non più difendibile democrazia, stiamo fornendo al nemico l'arma per ucciderci: noi stessi. (ASAPS)
 

Martedì, 29 Marzo 2016
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