Alcoltest: conducente che si rifiuta di sottoporsi alla prova
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 13682/2016, ha preso in esame la responsabilità dell’imputato epigrafato in ordine al reato di cui all’art. 186 comma 7 del C.d.S..
Orbene, il principio per il quale è scaturita la notizia di reato trova fondamento nel dettato del comma 7 del già citato articolo, che così prevede: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c).
La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione.
Con l'ordinanza con la quale è disposta la sospensione della patente, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni del comma 8. Se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato è sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI.”
Si considera che l’illecito in questione, costituito dal rifiuto di sottoporsi all’esame alcolemico da parte del conducente del veicolo, si risolve in una condotta di dissenso che è sempre uguale a se stessa e delinea un reato istantaneo; sicché sarebbe impossibile una graduazione dell’offensivista nel senso richiesto dall’art. 131bis del C.P..
Esso, è stato introdotto con l'art. 1, comma 2, d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28. e costituisce una innovazione di diritto penale sostanziale che disciplina l'esclusione della punibilità e che reca senza dubbio una disciplina più favorevole, rendendo così possibile l'applicazione retroattiva ai sensi dell'art. 2, quarto comma, C.P. e così detta:
“Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
1. Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
2. L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
3. Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
4. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69.
5. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.”
La questione sottoposta all’esame delle Sezioni Unite attiene al seguente quesito: “ se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131bis C.P., sia compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcoolemico, previsto dall’art. 186 comma 7 del C.d.S.”.
Nella sentenza si osserva che va considerata la valutazione sulla particolare tenuità del fatto richiedente l’analisi e la considerazione della condotta, delle conseguenze del reato e del grado di colpevolezza.
Interessante è la parte della sentenza in cui si afferma che è stata accolta in tutto o in parte la concezione gradualistica del reato già nitidamente scolpita nell’insegnamento: “nella ricerca sul grado si esamina un fatto nelle eccezzionali accidentalità del suo concreto modo di essere nella individualità criminosa nella quale si estrinseca”, nel rispetto della legge, tale giudizio non può che essere rimesso al magistrato “ perché l’uomo deve essere condannato secondo la verità e non secondo le presunzioni”.
Si tratta, d’altra parte, di approccio non solo tradizionale ma anche moderno, ripreso dagli studiosi che hanno analizzato i mutevoli pesi dell’esperienza giuridica proprio per cogliervi criteri di selezione di comportamenti per l’appunto minori, meritevoli di trattamento differenziato.
Per quanto riguarda l’illecito di cui all’art. 186 comma 7 del C.d.S., il quale sanziona il rifiuto di sottoporsi all’indagine alcoolemica, volta all’accertamento della guida in stato di ebrezza sanzionata dal secondo comma dello stresso articolo, la lettura della ratio e dallo sfondo di tutela che presiedono alla contravvenzione in esame sarebbe fallace ed astratta se non si confrontasse con l’intimo intreccio tra i due reati, enfatizzati dal fatto che uno è punito con le sanzioni perviste dall’altro.
Nella pratica il comma 7 non punisce una mera, astratta disobbedienza, ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose, il cui accertamento è disciplinato da procedure il cui sistema sanzionatorio costituisce la deliberata esclusione.
Pertanto, non è possibile non farsi a meno di esaminare la collaterale contravvenzione di cui al richiamato art. 186 comma 2 del C.d.S..
I giudici della Suprema Corte, così si sono espressi nella parte conclusiva della sentenza, enuciando il seguente principio di diritto: “La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131bis C.P., è compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcoolimetrico, previsto dall’art. 186 comma 7 C.d.S.“
Alla luce dei principi sin qui posti è infine possibile rispondere alla richiesta, posta dal ricorso, di applicazione del nuovo istituto.
Si tratta di prendere in esame i fatti e le valutazioni espresse nella pronunzia di merito e di verificare se possa ritenersi concretata la fattispecie legale di speciale tenuità.
Orbene, dalla sentenza emerge che l’imputato, fermato dai Carabinieri, mostrò immediatamente i sintomi di un grave stato di alterazione alcoolica: forte alito vinoso, difficoltà di espressione, eloquio sconnesso, difficoltà di coordinamento dei movimenti, stato confusionale, equilibrio precario, andatura barcollante. Egli venne sottoposto al test qualitativi preliminare che ebbe esito positivo e rifiutò do sottoporsi all’alcoltest.
Tali dati, valutati alla stregua dei criteri previsti dalla legge, consentono di escludere che sia ravvisabile un fatto specialmente tenue: il rifiuto è stato deliberato e motivato dall’esito dell’indagine preliminare; e d’altra parte lo stato d’alterazione era tanto marcato da consentire agevoli deduzioni sulla pericolosità della condotta di guida.
Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato.
* Comandante P.L. Unione dei Comuni Padova Nordovest – Piazzola sul Brenta