L’introduzione
della patente a punti aveva causato, come primo e immediato effetto,
una consistente diminuzione di incidenti stradali, soprattutto in
termini di persone decedute o ferite. Le ultime notizie fanno invece
pensare che la prima fase di effetto stia diminuendo e che invece
possa nuovamente innalzarsi il prezzo di vite umane pagato ogni
giorno sulle nostre strade.
Senza entrare nel merito della funzione deterrente delle nuove norme
e senza nemmeno tentare, in questa sede, una analisi sul significato
psicologico della guida, soprattutto attuata con imprudenza e/o
imperizia, va sottolineato che il maggior tributo di sangue viene
pagato da cittadine e cittadini di una fascia di età compresa
tra i 18 e i 50 anni. Dato prevedibile, considerato che di certo,
in quella larga fascia di età, sono compresi la maggior parte
dei guidatori di ambo i sessi.
Esiste comunque un aspetto sul quale finora non sono state concentrate
molte analisi: tanto che non esistono dati precisi al proposito.
Tra coloro che rimangono feriti sulle nostre strade o tra quelli
che vengono coinvolti in incidenti stradali senza danni fisici ma
a volte assistendo al ferimento o alla morte di parenti, amici o
conoscenti, un numero senza dubbio significativo di vittime subisce
quello che in psico-patologia viene definita "reazione da stress".
Evento molto più che probabile, considerando che essere coinvolti
in un incidente stradale costringe a confrontarsi con la sensazione
di morte, con la minaccia di morte, con gravi lesioni o con la minaccia
all’integrità propria o di altri.
Definizioni, queste, che con caratteristiche molto diverse appartengono
a due categorie diagnostiche ben precise, definite "disturbo
acuto da stress" e soprattutto il più noto "disturbo
post-traumatico da stress".
Al di là della classificazione clinica, di parziale interesse,
resta la sensazione che nel caso della traumatologia stradale o
con eventi connessi a fatti che accadono sulle nostre strade, un
numero importante di persone potrebbe essere coinvonta, direttamente
o indirettamente, in disturbi della sfera psicologica proprio determinati
dall’evento nei quali sono stati coinvolti.
E’ un problema ad ampio spettro: che riguarda le vittime ma
anche, in forma sostanziale, i soccorritori. Nei confronti di questi
ultimi vi è sovente un impegno da parte delle amministrazioni
di appartenenza ad organizzare corsi di formazione o interventi
clinici di supporto soprattutto nei casi dove personale delle forze
dell’ordine o dei servizi sanitari di emergenza deve comunque
fare i conti con gli effetti traumatici dell’evento al quale
hanno assistito o si sono confrontati.
Certamente, il nostro Paese non è ancora allineato alle nazioni
che più di altre si occupano del problema. Possiamo ritenere
che, a fronte di amministrazioni che tengono in debito conto il
processo di assistenza ai disagi psicologici degli operatori di
soccorso, ve ne sono altre che, forse, ritengono il tutto di secondaria
importanza, considerato che l’alto livello delle forze dell’ordine
o la specifica professionalità degli operatori sanitari impegnati
nei soccorsi siano caratteristiche sufficienti ad evitare riflessi
personali negativi di tipo psicologico.
Però, ciò non è corretto. Sicuramente, un alto
livello di addestramento consente di agire al meglio, ma non necessariamente
permette di "vivere meglio" dopo essersi confrontati con
eventi sicuramente drammatici.
Esistono nel nostro Paese strutture di tutto rilievo: basti pensare
che, anche nelle ASL, sono disponibili psicologi esperti in grado
di intervenire sul territorio di competenza. Ma va anche considerato
che sovente tali professionisti, straordinari nel loro operare,
non possiedono però le caratteristiche specifiche di competenza
per agire secondo i più moderni protocolli.
Nel rinviare ad altra occasione una discussione più articolata
sul tema dal punto di vista degli operatori, in questa sede ci si
intende soffermare sugli effetti psicologici del trauma dal punto
di vista delle vittime.
E’ pur vero che gli effetti degli incidenti stradali richiamano
sovente emergenze sanitarie legate alla sfera fisica, spesso necessarie
per la stessa sopravvivenza delle vittime.
Ma, subito dopo, sarebbe necessario occuparsi anche degli effetti
psicologici del trauma subìto, senza lasciare le vittime
o i loro familiari in balìa di problemi di equilibrio psicologico
a volte del tutto trascurabili, ma sovente decisamente invalidanti.
Sarebbe necessario un miglioramento delle polizze assicurative,
che comprendano anche percorsi terapeutici, nel caso di gravi o
devastanti effetti psichici. Gioverebbe avere servizi sanitari che
prevedano, in caso di emergenze stradali, anche la presenza, tra
le unità di pronto intervento, di psicologi appositamente
addestrati al compito. Sarebbe opportuna una sorta di formazione
permanente per il personale delle forze dell’ordine e per medici
e infermieri delle unità di soccorso sanitario. Tutti aspetti
che, in qualche caso perseguiti, in molti altri passano in secondo
ordine, pensando che la guarigione fisica contempli, di per sé,
anche il mantenimento di un adeguato equilibrio psicologico.
*Unità
Operativa di Psicologia
Centro Medico AlassioSalute
Alassio (SV).
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