LA TRATTA DEGLI EXTRACOMUNITARI: ARRESTATE DALLA POLIZIA 90 PERSONE. FACEVANO VIAGGIARE GLI IMMIGRATI NEI TIR, COME ANIMALI. OPERAZIONE ESEMPLARE
LA TRATTA DEGLI EXTRACOMUNITARI: ARRESTATE DALLA POLIZIA 90 PERSONE.
FACEVANO VIAGGIARE GLI IMMIGRATI NEI TIR, COME ANIMALI. OPERAZIONE ESEMPLARE
di Lorenzo Borselli
(ASAPS)
ROMA – Una volta, i neri d’Africa dovevano attraversare
l’oceano nelle stive puzzolenti di vecchi galeoni. Oggi, gli
immigrati in fuga dal terzo mondo, vengono fatti salire su imbarcazioni
che a malapena reggono il mare, e quando toccano la costa dell’agognato
eden, scoprono di trovarsi ancora una volta all’inferno. Stipati
nei tir, come animali. Molti di loro non ce la fanno e soccombono
proprio sulla terra che tanto hanno desiderato raggiungere. Ma un
durissimo colpo è stato inferto ai trafficanti umani dalla
Polizia, appena pochi giorni dopo una brillante operazione dei Carabinieri.
La rotta intercettata dagli investigatori è quella che aveva
l’Italia non come meta definitiva ma come una sorta di smistamento
per gli altri paesi europei, in larga parte Francia e Inghilterra.
I carnefici, con un codice che speravano tenesse alla larga orecchie
indiscrete, parlavano di “vitelli” o “pecore”,
riferendosi ovviamente alla mercanzia che passava loro tra le mani.
Esattamente come bestie, li facevano arrivare in vario modo in Italia,
ma da qui venivano nuovamente caricati su tir e container senza nemmeno
una scorta minima di acqua, e qui erano costretti a restare chiusi
per lunghe tratte. Per questo biglietto verso una nuova vita- che
per alcuni è divenuta la propria fine – erano pronti a
pagare gli scafisti d’asfalto fino a 15mila euro. Cifre astronomiche,
per loro. Per molto tempo l’hanno fatta franca, contando sull’omertà
dei clienti e su un organigramma quasi militare, che garantiva anonimato
tra un livello e l’altro. Poi, però, un imprevisto: nel
2002 quattro iracheni vennero trovati dalla Polizia di Frontiera a
bordo di un container. In due erano sopravvissuti ad un viaggio allucinante,
arsi vivi dalla canicola, disidratati, affamati, mentre per i loro
compagni non c’era ormai più niente da fare. Erano morti
da ore. Nacque così l’operazione “Tazir”, che
in arabo vuol dire “esodo”, che ha visto la Polizia costituire
– in seno alla Direzione Centrale Anticrimine (DAC) diretta dal
prefetto Nicola Cavaliere – un pool di investigatori coordinato
dal Servizio Centrale Operativo (SCO). Tre anni di intercettazioni,
di intelligence internazionale, con la collaborazione della polizia
francese e di quella inglese, conclusesi con l’emissione di 90
custodie cautelari nei confronti di altrettante persone ritenute componenti
di un’associazione di tipo mafioso, molte delle quali residenti
in stati esteri. Tutti facevano capo ad un direttorio che aveva stabilito
il proprio quartier generale a Roma, nel centralissimo largo Brancaccio,
nella sede di un call-center che funzionava da copertura. La ricostruzione
meticolosa di quella scellerata spedizione consentì un primo
attacco, culminante con l’arresto di 20 persone nell’ambito
dell’operazione “Water Melon”, ma le tecniche degli
investigatori si erano nel frattempo affinate: nomi ricorrenti, codici
cifrati e numeri di telefono ascoltati,avevano svelato uno scenario
inaspettato con una vera e propria cupola che si incaricava di coordinare
e pianificare un’attività incredibile, anche sul piano
dei numeri prodotti e sulla perfezione della propria struttura. La
holding viene più volte decapitata dei suoi uomini di punta,
con decine di altre operazioni di polizia satellite, ma alla fine
sul tavolo del Pubblico Ministero il mosaico ricostruito dai poliziotti
è divenuto completo. Tutti i vertici dell’organizzazione
sono di etnia curdo-irachena e anche la gerarchia interna è
stata smascherata, seguendo le gesta di uno dei capi che all’inizio
delle indagini era un soldato semplice: si tratta di Alì Ako,
noto come “Arsalan”, che nel 2002 era un semplice
“scafista d’asfalto”, che alla guida del proprio camion
trasportava “vitelli” e “pecore” in tutta Europa.
Fa carriera, Arsalan, e scala rapidamente le posizioni dell’organizzazione,
fino a quando non arriva al direttorio, stabilitosi nel frattempo
nel suo call-center di Largo Brancaccio. Qui viene messo sotto stretta
osservazione dalla Mobile, e i risultati non si fanno attendere: il
suo visto per motivi umanitari è solo un alibi. È lui
a decidere chi passa la frontiera, quando e quanto costa il biglietto,
pagato fino a 15mila euro che riscuote tranquillamente attraverso
le strutture legali dei money transfer. Qualcuno ottiene anche credito,
ma alla prima scadenza mancata gli uomini di questo crudele Rais erano
pronti ad andare a trovare – in Irak – le famiglie degli
immigrati. E qui gli investigatori sottopongono al Procuratore
della Repubblica un quesito: vi è una struttura gerarchica,
vi è padronanza del territorio, vi sono intimidazioni e omertà.
Come dire, mafia. L’Autorità Giudiziaria è d’accordo
fino al Gip che ha emesso ordinanze di custodia cautelare assai simili
a quelle ormai comuni per mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra
corona unita, ma per la prima volta ad un’organizzazione transnazionale,
ottenendo il consenso anche della Procura Nazionale Antimafia. Resta
ora da scoprire dove sia finito tutto il denaro raccolto negli anni,
che pare sia parecchio. In casa di uno degli aderenti arrestato in
Inghilterra, gli agenti britannici hanno trovato 400mila euro in contanti,
facendo rabbrividire all’ipotesi avanzata da qualcuno che si
trattasse di una ricca fonte di guadagno anche per Bin Laden &
company. A tutti, comunque, i nostri complimenti. (ASAPS).