(Foto Coraggio)
Quando
si parla di trasporto pubblico si pensa sempre agli autobus, ai
treni e più in generale a tutti quei mezzi di trasporto collettivo
gestiti dalle amministrazioni pubbliche. Ma non è sempre
così.
Anche i taxi, infatti, sono considerati a pieno titolo mezzi alternativi
di trasporto e di valenza sia pubblica che collettiva (anche se
ovviamente con minori possibilità dato il numero ristretto
di persone trasportabili).
Eppure, sono molti coloro che hanno timore ad avvicinarsi ad una
di queste automobili “bianche” (colore definito per legge),
perlopiù a causa dei prezzi che la massa tende a generalizzare
ed a considerare eccessivi. Ma quanto c’è di vero in
questo e quali sono i servizi realmente offerti dal tassista? Un’inchiesta
de “Il Centauro” mette a nudo ogni aspetto e le infinite
problematiche di questo particolare settore, che ogni anno si stima
che fatturi nel nostro Paese oltre un milione di euro. Partiamo
dall’idea maggiormente diffusa tra la gente, cioè che
il servizio offerto dal taxi è a caro prezzo: la convinzione
non è del tutto sbagliata, ma certamente nemmeno così
allarmante se consideriamo i risultati di una recente indagine (compiuta
da Ubs), che ha messo in evidenza la tariffa media di una corsa
urbana di 5 chilometri in alcune importanti città del mondo.
Bruxelles è infatti risultata la più cara con un costo
medio di 13,25 euro, di poco seguita da Copenhagen (13,18 euro)
ed Amsterdam (13,16). Pur vero che in quelle città e più
in generale nei cosiddetti Paesi Bassi, è maggiormente diffuso
l’utilizzo del taxi anche per le evidenti e diverse caratteristiche
degli agglomerati e degli spazi utilizzabili. Tuttavia, nemmeno
a Londra si scherza, se si pensa che per 5 chilometri di tariffa
urbana vengono mediamente richiesti 11 euro; cinquanta centesimi
in meno, invece, a Stoccolma ed un euro in meno a Berlino.
La prima città italiana, Milano, si trova dunque al settimo
posto e la tariffa media si aggira sugli 8,75 euro. Sono invece
7,75 quelli richiesti a Parigi e 7,50 gli euro da dare ad un tassista
di Barcellona. In decima posizione è Roma con 7,36 euro,
seguita da New York con 6,76 (nella città statunitense, l’uso
del taxi è paragonabile a quello dell’autobus in Italia)
ed a seguire sono poi Atene (6,57), Praga (6), Auckland (5,81),
Dublino (5,50) e Lisbona (4,74).
Fino a qui, dunque, i prezzi dei taxi italiani sono in linea con
l’andamento generale europeo e possono comunque variare sensibilmente
da città in città, a seconda di alcune prerogative
delle amministrazioni comunali o delle intese con le associazioni
di categoria.
Meno bene, invece, è il dato statistico che riguarda la disponibilità
e il numero complessivo dei taxi circolanti. Secondo il sito internet
www.lavoce.info, la situazione italiana è fra le peggiori
in assoluto.
Rapportando il numero di taxi ogni mille abitanti, questi sono i
risultati: a Washington ne circolano 12, a Barcellona quasi 10,
a Londra 8,3, a New York 8, a Dublino 5,2, a Stoccolma 4, mentre
per arrivare alla prima città italiana bisogna attendere
la dodicesima posizione, dove Roma ne “concede” soltanto
2. Fanalino di cosa è Milano con 1,6.
In questo contesto, tuttavia, pare che il nodo da sciogliere sia
legato alle particolari difficoltà che debbono essere superate
per ottenere la licenza, tanto che le associazioni di categoria
hanno già aperto un lungo confronto con gli apparti centrali
dello Stato.
Nel frattempo, qualche timido passo si sta facendo, se si considera
che a Milano dovrebbero essere in arrivo entro i prossimi mesi altre
270 autorizzazioni e più di 300 a Roma entro fine anno. Ma
sulle difficoltà che la categoria deve sopportare è
intervenuto di recente anche l’Antitrust per la concorrenza,
che il trascorso anno ha inviato una nota ufficiale al Parlamento
italiano.
Secondo il Garante, infatti, il servizio offerto all’utenza
“si caratterizza da una insufficiente apertura alla concorrenza,
che si manifesta con una domanda dei consumatori non pienamente
soddisfatta dall’offerta”.
Sempre secondo l’Autority, il principale ostacolo deriva da
“una inadeguata densità di taxi in relazione alla popolazione
residente e questo si traduce in lunghi tempi d’attesa nella
stragrande maggioranza dei Comuni italiani.”
Insomma, un vero e proprio atto d’accusa più che una
segnalazione, ma che contiene un’altra importante verità:
in Italia, oltre a trovare pochi taxi immediatamente disponibili,
occorre attendere parecchio prima di poterne fare uso. A Roma, secondo
un monitoraggio svolto dall’amministrazione comunale, ogni
giorno 20 potenziali clienti su 100 non riescono a trovare un taxi,
una percentuale che sale a 40 nelle ore di punta. I tempi di attesa
sono poi ancora più preoccupanti: chi ha la fortuna di riuscire
a parlare con gli operatori dei radiotaxi attende da un minimo di
5 ad un massimo di 10 minuti, ma chi deve cercare un taxi nelle
piazzole di sosta riservate (nei pressi di ospedali, stazioni o
monumenti) può arrivare ad attendere fino a 45 minuti ed
anche più.
La situazione non migliora a Milano, dove alla stazione centrale
e nei momenti di arrivo di treni quali Intercity o Eurostar, le
code di persone intenzionate a prendere il taxi superano anche i
cento metri. Un vero record..!
Non è un caso se le associazioni di categoria, già
da parecchio tempo, abbiano aperto accesi confronti con le amministrazioni
locali e si parla con insistenza di “turni morti dove non si
raccoglie un solo euro a fronte di un servizio pubblico inesistente”.
Insomma, secondo questa versione una maggiore gestione di tutto
l’apparato del trasporto pubblico (sia privatistico che di
Stato), potrebbe dare maggiori risultati e soddisfare al meglio
l’utenza. Nel contempo, però, anche i benefici a suo
tempo promessi e che prevedevano incentivi per coloro che utilizzano
i taxi, sono rimasti nel dimenticatoio e la categoria lamenta la
scarsità di aiuti soprattutto nei periodi meno intensi dell’anno.
Ad aggravare la situazione, anche il fatto che sempre più
amministrazioni comunali suggeriscono agli automobilisti di usare
la propria auto in compagnia di colleghi per andare al lavoro e
diminuire così l’entità del traffico cittadino,
ma raramente stipulano convenzioni (pure queste previste ma mai
attuate) proprio con i tassisti. D’altro canto, un’eccessiva
liberalizzazione del mercato non trova nemmeno d’accordo i
tassisti, preoccupati di dover assottigliare i già magri
guadagni: un tassista che svolge servizio in una grossa città
riesce infatti a guadagnare attorno ai 2.000-2.200 euro al mese,
ma deve per questo lavorare almeno 12/14 ore al giorno, compresi
i festivi ed i turni di notte. Anche le associazioni fra tassisti
(cioè i cosiddetti radiotaxi) non hanno portato grossi vantaggi:
pur razionalizzando gli interventi e distribuendoli sugli associati
in maniera equa, gravano sul bilancio gli stipendi dei dipendenti
(cioè dei centralinisti che a volte sono sostituiti dagli
stessi tassisti) e le spese di ragioneria generalmente affidate
a studi commerciali. Così la categoria deve arrangiarsi in
mille modi ed ogni tassista cerca di fidelizzare i clienti, giungendo
a tariffe standard quando si tratti di lunghi percorsi o pur di
vedere salire un cliente dopo ore di attesa a vuoto.
Per lo stesso motivo, occorre augurarsi che d’ora in poi chi
dovrà utilizzare un taxi sia consapevole che il servizio
che dovrà pagare non è di certo la manna caduta dal
cielo per chi sta guidando, ma il frutto di un’attività
che comporta sacrifici, ore di lavoro ed una serie di problematiche
che riguardano anche altri aspetti quali il traffico caotico delle
grandi città e le turnazioni in giorni e luoghi che a fine
giornata concedono poche soddisfazioni. Economicamente e non solo.
Il
parere del “Tassinaro”
La figura tipica del “tassinaro” è stata ben rappresentata
dal notissimo film di Alberto Sordi, che ha messo in luce vizi e
virtù di una categoria che deve saper fare e soprattutto
deve saper parlare di tutto. Sul taxi salgono persone di ogni ceto
sociale e che svolgono i mestieri più disparati, così
bisogna essere in grado di “sopportare” il cliente eccessivamente
pignolo, troppo sospettoso o più semplicemente chiacchierone.
Ma cosa c’è di vero in tutto questo? Lo abbiamo chiesto
a tre tassisti che svolgono servizio in altrettante e diverse città
italiane. Mario ha 56 anni e da oltre venticinque svolge l’attività
a Roma.
Chissà quante ne ha viste in tutti questi anni?
“Se le dovessi raccontare tutto quello che mi è successo
non basterebbe una giornata. Il nostro è un mestiere che
ti costringe a stare in contattato con decine di persone al giorno
e di ogni genere e per questo motivo si vivono mille situazioni
diverse.”
Può raccontarci un episodio che le è rimasto particolarmente
impresso?
“Sono tanti, ma ne ricordo sempre uno con piacere. Salì
a bordo del mio taxi, posteggiato alla stazione Termini, un distinto
signore con accento siciliano. Prima di accompagnarlo, mi chiese
di portarlo a mangiare qualcosa visto che era già mezzogiorno
e poiché era solo volle che gli feci compagnia e mi offri
persino il pranzo. Al termine lo accompagnai in un albergo nei pressi
di palazzo Chigi. Pochi giorni dopo vidi la sua foto sul giornale
poiché era stato nominato ministro. Non vi nascondo la mia
grande sorpresa e insieme soddisfazione.”
Quali sono i problemi che più deve affrontare durante
la giornata?
“Essenzialmente due: il traffico di questa città che
paralizza anche noi e che rimane incurante delle corsie riservate
ai mezzi pubblici e le lungaggini burocratiche cui siamo esposti
per poter lavorare.”
E il rapporto con gli altri “colleghi”?
“Sereno con i più anziani, mentre con i giovani si fatica
talvolta a trovare un’intesa. Vogliono tutto e subito e questo
non sempre è possibile.”
Alberto, invece, di anni ne ha soli 30 e da un paio svolge servizio
a Milano.
Perché la scelta di fare il tassista?
“Non c’è un motivo particolare, si è presentata
l’occasione ed ho voluto provare e non mi pento della scelta
che ho fatto.”
Però, chissà quanti sacrifici…
“Molti per la verità, a cominciare dal costo della licenza
che qui a Milano è davvero esorbitante. Eppoi i turni di
notte e nei festivi, dove anche nelle città grandi come Milano
si crea un immenso deserto ed a fine giornata il guadagno è
ridotto al minimo.”
E sul fronte della sicurezza?
“Ci stiamo ingegnando al meglio. Molti di noi hanno posto un
divisore che ci separa dal passeggero, altri invece hanno montato
una piccola telecamera per scoraggiare i malintenzionati. Ogni tanto,
però, tutto questo non serve e le cronache ci hanno raccontato
anche di fatti conclusi in maniera tragica per lo stesso tassista.”
Carmen ha 39 anni ed è di Firenze. Sorride spesso e pare
contenta del mestiere che ha scelto.
Cosa porta una donna a fare la ”tassinara”?
“Credo che il motivo sia più o meno uguale per tutti:
la voglia di creare qualcosa di proprio nella speranza di ottenere
qualche soddisfazione di più.”
Si è mai sentita “inferiore” ai colleghi maschi?
“Diciamo che all’inizio mi è stato fatto pesare
il fatto che io fossi donna e qualcuno diceva che questo mestiere
non faceva per me. Poi, nel giro di pochi mesi, hanno cominciato
ad apprezzarmi ed ora sono tassista a pieno titolo.”
E la famiglia…?
“E’ il punto dolente e si debbono sostenere molti sacrifici
per riuscire ad avere le stesse possibilità di una famiglia
normale e soprattutto curare al meglio i figli. Fortunatamente mio
marito mi aiuta moltissimo e sappiamo sostenerci a vicenda.”
Visto che lei lavora a turni, immagino i sacrifici di suo marito.
Che mestiere fa?
“Il tassista.”
A tutto c’è sempre un motivo!
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