Cassazione: la manomissione del tachigrafo è reato penale
da uominietrasporti.it
Un’impresa di autotrasporto che impone ai propri autisti di installare una calamita o di manomettere il funzionamento del tachigrafo commette un’infrazione amministrativa (quella prevista dall’art. 179 cds) o un reato penale (quella prevista dall’art. 437 cod pen, che prevede la rimozione di strumenti finalizzati a garantire la sicurezza sul lavoro)? La domanda, finalmente, se l’è posta anche la Cassazione, che nella sentenza del 9 novembre 2016, n. 47211, ha risposto in maniera inequivocabile: commette un reato penale. Per quale ragione? In genere, precedenti pronunce, aveva escluso questa conclusione in base al rapporto che c’è tra le due norme citate. E in diritto quando sulla stessa materia concorrono due norme, finisce per prevalere quella speciale, in questo caso quella del codice della strada. La Cassazione però sostiene che le due norme tutelano beni giuridici diversi, visto che il codice della strada «considera i soli rischi derivanti dalla circolazione stradale e quindi tutela la sicurezza di detta circolazione, mentre l'art. 437 cod. pen. tutela in via principale la sicurezza dei lavoratori, essendo limitato il suo ambito di operatività alle manomissioni dei dispositivi diretti a prevenire gli infortuni».
Il delitto di rimozione di cautele contro infortuni sul lavoro è un delitto, doloso e volontario, il cui pericolo consiste nel verificarsi dell’infortunio in conseguenza della rimozione. Peraltro mentre il reato penale è punito soltanto se volontario (vale a dire doloso), la fattispecie prevista dal codice della strada, essendo sanzionata solo in via amministrativa, può essere punita sia a titolo di dolo che di colpa.
Anche i destinatari e le condotte delle due disposizioni sono diversi, in quanto l'art. 437 cod. pen. punisce chi «omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia», mentre l'art. 179 c.d.s. solo chi «circola» o «il titolare della licenza o dell'autorizzazione al trasporto che mette in circolazione» un veicolo sprovvisto di cronotachigrafo o con «cronotachigrafo manomesso oppure non funzionante», punendoli anche se non sono autori della manomissione, a differenza della norma penale.
Sulla base di questi e altri argomenti la Cassazione ha giudicata errata la conclusione a cui era giunto il Tribunale di Milano, che con sentenza del 19 novembre 2015 aveva dichiarato esattamente l’opposto. Di fronte cioè alla denuncia di alcuni ex autisti di una società di autotrasporto che impone l’uso delle calamite ai suoi dipendenti, il Tribunale penale sosteneva che il fatto non è previsto dalla legge come reato. Nel senso che il disegno criminoso dell’azienda era assolutamente provato, anche tramite strumentazioni GPS, che avevano consentito di verificare varie incongruenze tra i periodi di riposo segnati nelle stampate del cronotachigrafo rispetto agli effettivi spostamenti del mezzo rinvenibili dall'analisi dello storico GPS, comprovando, pertanto, la manomissione dei rilevatori a bordo dei camion. Ma il giudice non riteneva di dover applicare la norma penale, quanto piuttosto quella del codice della strada.
Cosa vuol dire tutto questo? Molto, per certi versi moltissimo, perché mette un po’ di chiarezza in materia. In Italia infatti esistono molti distretti di polizia stradale che, di fronte a manomissioni del tachigrafo, ipotizzano la commissione di un reato penale e trasmettono gli atti al giudice. Ma spesso poi queste denunce non trovano seguito e i giudici decidono di non rinviare a giudizio gli interessati, proprio sulla base del principio di specialità che abbiamo ricordato. Il fatto che adesso la Cassazione indica una diversa interpretazione sicuramente costituisce un precedente importante, al quale altri tribunali possono adeguarsi. «Possono», non debbono, perché nel nostro ordinamento, contrariamente a quelli di common law (anglosassoni in genere) il precedente non costituisce una fonte primaria. Insomma, non è di per sé una legge. È un’indicazione, ma per essere certi che tutti i tribunali poi si adeguino ci vorrebbe un’apposita legge. Anche se è certo comunque che in tanti lo faranno ugualmente.
La Cassazione fa chiarezza. Precedenti pronunce avevano escluso questa conclusione. (ASAPS)