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Muore il feto per un incidente
«Non sarà mamma, va risarcita»

Milano, sentenza-svolta: il Tribunale riconosce 100 mila euro di danni a una giovane romena che, incinta al nono mese, rimase ferita nello schianto della vettura. La motivazione: «perdita del potenziale rapporto parentale con il nascituro»
Foto di repertorio dalla rete

Era al nono mese di gravidanza il giorno in cui, passeggera sul sedile posteriore di un’auto finita fuori strada per il colpo di sonno del conducente, nell’incidente subì gravi ferite e perse il bambino, ed ora il Tribunale civile di Milano le riconosce 830.000 euro di risarcimento: 730.000 ovviamente per l’invalidità personale riportata nell’incidente in maniera permanente, e altri 100.000 assai meno scontati per il danno da «perdita del potenziale rapporto parentale con il nascituro». La vicenda giudiziaria ha dovuto superare un primo snodo procedurale attorno al problema preliminare di quale dovesse essere il foro competente su un incidente stradale avvenuto in Italia ma nel quale la passeggera ferita era romena, il conducente romeno, l’automobile immatricolata in Spagna e l’assicurazione fatta in Olanda.

L’individuazione del foro italiano da parte della X sezione del Tribunale milanese ha conseguentemente chiamato in causa, come controparte della signora assistita dall’avvocato Federica Pizzi, l’Uci-Ufficio Centrale Italiano rappresentato dallo studio Martini-Rodolfi, cioè l’ente al quale il codice delle assicurazioni affida la gestione risarcitoria degli incidenti che coinvolgano veicoli immatricolati all’estero nei Paesi che aderiscono al sistema Carta Verde.

Pacifica la dinamica dell’incidente, e non contestata anche la grave invalidità permanente del 55% riportata dalla passeggera, la giudice Adriana Cassano Cicuto l’ha liquidata a pieno, con 730.000 euro secondo le Tabelle risarcitorie di Milano assunte come parametro a livello italiano, benché la passeggera al momento dell’incidente non avesse le cinture allacciate: «Non sussistono i presupposti per ritenere un concorso di responsabilità della ricorrente in ordine alle lesioni fisiche patite per il mancato uso di mezzi di ritenzione», stima il Tribunale, perché il consulente tecnico ha «concluso per l’irrilevanza causale di tale uso», nel senso che «anche il corretto uso delle cinture di sicurezza non avrebbe escluso il verificarsi delle lesioni e dell’interruzione di gravidanza».

A questo punto la causa si è incentrata sulla risarcibilità o meno, e a che titolo, della perdita del figlio in gestazione. Nella passata giurisprudenza si erano sviluppati orientamenti oscillanti. Accanto a sentenze possibiliste in primo grado (come a Mantova nel 2006 o a Cassino nel 2010), c’erano state pronunce sostanzialmente contrarie, come nel caso (approdato poi in Cassazione nel 2011) di una giovane donna che si era vista riconoscere sì un risarcimento, ma non per il danno morale subìto a causa della mancata nascita del figlio, bensì a motivo della sofferenza personale patìta per aver dovuto praticare per forza un aborto terapeutico come conseguenza dell’incidente.

Nel giugno del 2015, però, nel trattare la vicenda di genitori che avevano fatto causa a una Asl laziale chiedendo il risarcimento per un feto nato morto in ospedale, la Cassazione aveva contemplato esplicitamente la risarcibilità del danno prodotto dal venir meno di una relazione affettiva ancora solo potenziale, realmente non insorta a causa della prematura scomparsa del figlio.

Muove ora proprio da questa giurisprudenza la sentenza del Tribunale milanese, che, nel riconoscere il danno da «perdita del potenziale rapporto parentale con il nascituro», giudica che «tuttavia l’importo liquidato debba ridursi proporzionalmente in ragione del momento in cui è avvenuta la cessazione della gravidanza» e «non possa attestarsi sui valori più elevati della forbice risarcitoria, posto che non può non considerarsi che per il figlio nato morto è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale».

Nel caso concreto, «tenuto conto del fatto che la gravidanza era pressoché giunta a termine, dell’indubbio dolore ingenerato nella madre che quella nascita aveva ormai ritenuta prossima e certa, di tutte le progettualità conseguenti alla nascita stessa (ove fosse avvenuta), e della drammatica frustrazione conseguente all’aborto colposo, si stima equo riconoscere a tale titolo» alla donna «la somma di 100.000 euro»: cifra appunto inferiore all’importo minimo (163.000 euro) con le quali le Tabelle di Milano commisurano il risarcimento per la perdita di un figlio.

 

di Luigi Ferrarella
da milano.corriere.it

 

 

Giovedì, 15 Dicembre 2016
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