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Articoli 04/02/2017

Quando muore un collega
di Lorenzo Borselli*

Quando muore un collega, i telefoni degli altri poliziotti impazziscono. Arrivano messaggi, fotografie, note di ricerca. Se la morte è un omicidio, molti di noi vanno in ufficio, accendono i terminali, chiamano chi è più informato e aspettano le novità.
Succede lo stesso quando c’è un attentato o una calamità e lo facciamo per esserci, nel caso in cui serva.
Francesco Pischedda è morto nella notte, dopo aver lottato con un delinquente che era a bordo, con due suoi complici, di un’auto rubata. È scappato, ha speronato l’auto di servizio, si è schiantato, è uscito indenne dall’impatto ed è fuggito ancora, a piedi. Si è scontrato con Francesco, che non voleva lasciarlo scappare, e insieme sono caduti nel vuoto: lui, il delinquente, se la cava, Francesco invece muore.
Si sa, nella realtà è più facile che vada a finir così.
E dire che il moldavo, se si fosse fermato e avesse consegnato i grimaldelli ai suoi inseguitori, difficilmente sarebbe stato arrestato. Più facilmente, il sottufficiale di turno avrebbe tentato di fare la telefonata al Pubblico Ministero, spiegando la cosa e proponendo un bel fermo di PG per ricettazione: al 50% un sì, al 50% un no.
Ma nel giro di un paio di giorni il moldavo, che scopriremo sicuramente essere un pluripregiudicato,  sarebbe tornato libero, libero di rubare un’altra macchina e di ricominciare le sue razzie,  in un Paese in cui l’impunità è garantita.
Nomadi, stranieri, italiani: tutti uguali di fronte alla legge. Attenuanti, riti abbreviati, indulti, amnistie, sentenze che De André avrebbe definito “un po’ originali”, parafrasando George Brassens.
Francesco sarebbe invece tornato a casa, dalla sua compagna e dalla sua piccolina di 10 mesi, avrebbe telefonato a suo babbo e a sua mamma e si sarebbe lamentato del turno in quinta, delle due lire di stipendio e del “Sistema” che aveva rimesso in libertà a tempo record quel ladro moldavo.
Invece no.
Quando muore un collega noi vorremmo avere il Paese al nostro fianco, vorremmo leggi più severe, Pubblici Ministeri più investigatori e meno avvocati e giudici più attenti. Vorremmo essere più professionali, avere pistole elettriche (altro che peperoncino, buono solo a intossicare anche noi) e più colleghi pronti a darti una mano.
Quando muore un collega, capiamo un sacco di cose.
Una su tutte è la risposta alla domanda che ti fanno gli anziani il primo giorno di servizio, il Training Day. “Ragazzo, ne vale la pena?”.
Tu ci credi e pensi di si, ma dopo ogni funerale la pensi in maniera diversa, almeno per un po’.
Grazie Francesco.

 

*Consigliere Nazionale e
Responsabile della Comunicazione ASAPS

 


La testimonianza di chi condivide in divisa il lavoro di Francesco. (ASAPS)

Sabato, 04 Febbraio 2017
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