(ASAPS) PADOVA – Ci sono voluti 400 agenti, facenti parte delle Squadre Mobili di Padova e Venezia, del Servizio Centrale Operativo (SCO) e della Divisione Anticrimine (DAC) di Roma, oltre che dei Reparti Prevenzione Crimine: un piccolo esercito di uomini in borghese e in divisa, che all’alba di ieri (18 gennaio) ha fatto irruzione in covi ed in abitazioni, per arrestare 33 persone e sequestrare bottino ed armi da guerra. Finisce così l’attività della nuova cooperativa del crimine veneto, risorta sulle ceneri della Mala del Brenta, riorganizzatasi dopo i colpi già inferti sul finire degli ’80 che portarono in manette anche il leader indiscusso di quell’organizzazione, Felice Maniero. Dal 2003 gli investigatori della polizia avevano cominciato a lavorare sul caso, coordinati dal Pubblico Ministero della procura di Padova Renza Cescon: sulla scorta degli elementi raccolti, il magistrato ha ottenuto dal Gip Cesarina Bortolotti, misure cautelari per i 33 presunti autori di 8 omicidi, 24 tentati omicidi, 16 assalti a furgoni portavalori e 60 rapine tra banche e uffici postali. Delitti portati a termine con assoluta freddezza, con stile paramilitare, quasi si trattasse di un cartello colombiano. Pesante anche lo strascico di reati “minori” come riciclaggio, ricettazione, furto, traffico, detenzione e porto illegali di armi, esplosivi e munizioni. L’arsenale dell’organizzazione, gestita da affiliati alla vecchia banda di Maniero, è stato il principale obiettivo dei poliziotti, trovatisi alle prese con gente che aveva fatto dell’assalto, della strategia operativa di veri e propri commandos, una vera e propria filosofia di vita. Da 13 anni infatti imperversavano armati fino ai denti, colpendo in Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna. Nel 1992 avevano ucciso una coraggiosa guardia giurata a Vigonza, (Padova), che difese il suo furgone che trasportava 750 milioni di lire dall’attacco dei banditi, quasi tutti giostrai veneti, che in quell’occasione si ritirarono a mani vuote. Mani sporcate di sangue, però, che tornarono a farsi pericolose nel dicembre 2002 a Ferrara, quando assaltarono in forze un altro furgone, difeso da tre guardie giurate. In loro ausilio giunse anche una volante: i 5 uomini faticarono a salvarsi, con le sole pistole, dalle centinaia di colpi di kalashnikov sparati per coprirsi la fuga. Proprio quell’episodio convinse gli investigatori che doveva esserci una regia dietro quelle azioni. L’ausilio della DAC e dello SCO ha poi portato ogni pezzo del mosaico al suo posto, e quando il 19 aprile del 2004 la Nuova Mala tentò un altro assalto, la Polizia era in attesa. Ci fu un altro terribile scontro a fuoco, nel corso del quale – a Torri di Quartesolo (Vicenza) – uno dei banditi, Adriano Meggiorin, rimase ucciso. Da quel momento l’attività investigativa ha avuto una provvidenziale accelerazione, fino all’operazione di ieri. Tra i colpi attribuiti al sodalizio, anche l’assalto alle casse del parco giochi di Mirabilandia, nell’agosto del 1996, quando i delinquenti sequestrarono gli impiegati e li rinchiusero in un deposito, figgendo con 350 milioni di lire. Nell’organigramma, i capi selezionavano accuratamente gli obiettivi, studiavano i piani d’attacco e sceglievano con attenzione gli “operativi”. Ad altri, secondo un sistema ermetico, era affidata la logistica: reperimento di auto veloci, noleggio di garage e contatti con gli arrestati. A tutti, dal prefetto Cavaliere in poi, i complimenti della redazione. (ASAPS) NUOVA MAFIA BRENTA: NEL MIRINO ANCHE FIGLIO DI BORIS GIULIANO = (AGI) - Roma, 18 gen. - Nel mirino della nuova mala del Brenta c’era anche Alessandro Giuliano, figlio di Boris, il capo della Squadra Mobile della Questura di Palermo ucciso il 21 luglio del 1979 da Leoluca Bagarella. Con il vicequestore Ninni Cassara’ e Beppe Montana, capo della squadra catturandi di Palermo, - uccisi dalla mafia sei anni piu’ tardi - Boris Giuliano faceva parte del gruppo di inquirenti che per primo cerco’ di muovere l’attacco al patrimonio di Cosa Nostra. Soprannominato ’lo sceriffo’, era un eccellente tiratore e il cognato di Toto’ Riina dovette sparargli alle spalle per non dargli il tempo di reagire. Boris Giuliano cadde cosi’, fulminato da un colpo di pistola alla testa, mentre beveva un caffe’ nel bar sotto casa. Era entrato in polizia all’inizio degli anni Settanta e subito si era impegnato in delicatissime indagini, prima come capo della Omicidi e poi come capo della Mobile, su alcuni delitti ’eccellenti’ come quello dei giornalisti Mauro De Mauro e Mario Francese, del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e del segretario provinciale della Dc, Michele Reina. Padrone delle tecniche di indagine patrimoniale, a quel tempo ancora praticamente ignorate dagli inquirenti, lo ’sceriffo’ sapeva muoversi con grande disinvoltura tra i vicoli e i segreti del centro storico di Palermo; conosceva perfettamente l’inglese, e grazie ad un lungo periodo di lavoro negli Usa, aveva sviluppato un formidabile intuito e nuovi strumenti investigativi. Da Palermo e restava in contatto quasi quotidiano con i colleghi della Dea e dell’Fbi. Nel giugno del ’79, grazie alla collaborazione con gli investigatori americani, sul nastro portabagagli dell’aeroporto di Punta Raisi aveva trovato cinquecentomila dollari in due valigie: i proventi dal traffico di stupefacenti tra la Sicilia e gli Stati Uniti. Contemporaneamente, all’aeroporto Kennedy di New York, i poliziotti statunitensi avevano sequestrato eroina per un valore di dieci miliardi di lire, spedita da Palermo. Quest’operazione, insieme alle prime irruzioni nei covi dei latitanti, spinsero i corleonesi a decidere di eliminarlo. (AGI) | |