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Notizie brevi 24/01/2006

Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento: testo rinviato alle Camere

Presidente della Repubblica, messaggio 20.01.2006


Non si possono mutare le funzioni della Corte di Cassazione da giudice di legittimità a giudice di merito in palese contrasto con quanto stabilito dall’articolo 111 della Costituzione, che, al penultimo comma, dispone che ’’contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso per Cassazione per violazione di legge’’.

Lo ha affermato il Presidente della Repubblica Ciampi, con il messaggio del 20 gennaio 2006, rinviando alle Camere il disegno di legge n. 3600 recante: "Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento’’ che era stato definitivamente approvato dal Parlamento il 12 gennaio scorso.

(Altalex, 23 gennaio 2006)



Messaggio al Parlamento
del Presidente della Repubblica
20 gennaio 2006


Onorevoli Parlamentari,

mi è stata sottoposta per la promulgazione la legge recante: "Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento’’, approvata dalla Camera dei Deputati il 21 settembre 2005 e dal Senato della Repubblica il 12 gennaio 2006. Dopo accurata disamina, ritengo di dover formulare alcune osservazioni di fondo, che attengono alla costituzionalità di disposizioni contenute nel testo a me inviato. L’articolo 7 della legge modifica l’articolo 606 del codice di procedura penale che disciplina i casi di ricorso per Cassazione, stabilendo che tra essi rientrano la ’’mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte ne ha fatto richiesta, sempre che la stessa fosse ammissibile’ e la mancanza o la contraddittorietà ovvero la manifesta illogicità della motivazione della sentenza.

Le modificazioni apportate all’articolo 606 del codice di procedura penale, da un lato, sopprimono la condizione che la mancata assunzione di una prova decisiva sia rilevante come motivo di ricorso soltanto se adotta come controprova rispetto a fatti posti a carico o a discarico dal pubblico ministero o dall’imputato; dall’altro, fanno venir meno la condizione che la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione debbano emergere esclusivamente dal testo del provvedimento impugnato.

Queste modificazioni generano un’evidente mutazione delle funzioni della Corte di Cassazione, da giudice di legittimità a giudice di merito, in palese contrasto con quanto stabilito dall’articolo 111 della Costituzione, che, al penultimo comma, dispone che ’’contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso per Cassazione per violazione di legge’.

Nei limiti indicati nella precedente formulazione dell’articolo 606 del codice di procedura penale, la valutazione della motivazione demandata dalla Corte di Cassazione atteneva al controllo della legalità della sentenza. Oggi, dalla seconda modificazione introdotta, inevitabilmente discende che la Corte di Cassazione debba procedere al controllo della legalità dell’intero processo, riconsiderandone ogni singolo atto.

Analoga mutazione si verifica per effetto della prima modificazione, nella parte in cui obbliga la Corte al controllo del fascicolo processuale in ogni caso di asserita decisività di qualsiasi prova non ammessa.

Tale mutazione diventerebbe ancora piu’ gravida di conseguenze ove i due motivi di ricorso - vizi della motivazione e assunzione di prove - fossero congiuntamente dedotti.

Una Corte Suprema chiamata ad esercitare funzioni di merito di tale estensione perde la sua connotazione principale - ulteriormente esaltata dalla recente riforma dell’ordinamento giudiziario - di ’’organo supremo della giustizia" che ’’assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge’ (articolo 65 del vigente ordinamento giudiziario), il cui carattere insopprimibile è stato ribadito nella lettera inviata il 3 gennaio 2006 al Primo Presidente della Corte di Cassazione dal Presidente del Consiglio di Amministrazione della Rete dei Presidenti delle Corti Supreme giudiziarie dell’Unione Europea.

Il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha chiaramente indicato che una delle conseguenze della modifica introdotta sarà l’impossibilità di continuare a utilizzare il meccanismo di selezione dei ricorsi stabilito dall’articolo 610, comma 1, del codice di procedura penale, che ha consentito negli ultimi anni ’’una decisiva economia delle risorse, indirizzando verso la settima Sezione penale della Corte il 45 per cento dei procedimenti pervenuti’’. Questa circostanza, unita all’ampliamento dei motivi del ricorso per Cassazione, condurrà alla crescita in termini esponenziali del carico di lavoro della Corte e al progressivo accumulo di arretrato. Il rischio è che ne risulti compromesso ’’il bene costituzionale dell’efficienza del processo, qual è enucleabile dai principi costituzionali che regolano l’esercizio della funzione giurisdizionale, e il canone fondamentale della razionalità delle norme processuali’’ (cfr. la sentenza della Corte Costituzionale n.353 del 1996). Questo rischio va a recare un vulnus al precetto costituzionale del buon andamento dell’amministrazione - articolo 97 della Costituzione - applicabile, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, anche agli organi dell’amministrazione della giustizia (cfr. le sentenze della Corte Costituzionale n.86 del 1982 e n.18 del 1989). Tutto ciò è aggravato dalla norma transitoria (articolo 9 della legge) che, da un lato, prevede l’applicabilità anche ai procedimenti pendenti delle nuove disposizioni che ampliano i casi di ricorso per cassazione e, dall’altro, converte in ricorso per cassazione ’’l’appello proposto prima della data di entrata in vigore della presente legge contro una sentenza di proscioglimento’.

Un altro problema, strettamente collegato ai precedenti e che si muove in direzione di un netto aggravamento della situazione già posta in evidenza, è quello che deriva dall’articolo 4 della legge, che modifica l’articolo 428 del codice di procedura penale, trasferendo dalla Corte d’Appello alla Corte di Cassazione l’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere. Ne deriverà non soltanto un ulteriore aumento di lavoro per la Corte di Cassazione, ma anche, in caso di mancata conferma della sentenza di non luogo a procedere, una regressione del procedimento, che ne allungherà inevitabilmente i tempi di definizione.

È palese la violazione che il sistema sopra descritto determina, nel suo complesso, del principio della ragionevole durata del processo, espressamente consacrato nel secondo comma del già richiamato articolo 111 della Costituzione. Il sistema delle impugnazioni può essere ripensato alla luce dei criteri ispiratori del codice vigente dal 1989. Tuttavia il carattere disorganico e asistematico della riforma approvata è proprio cio’ che sta alla base delle rilevate palesi incostituzionalità: una delle finalità della legge avrebbe dovuto essere quella della deflazione del carico di lavoro della giustizia penale, mentre, come si è più sopra posto in luce, la legge approvata provocherà invece un insostenibile aggravio di lavoro, con allungamento certo dei tempi del processo.

La funzione compensativa attribuita all’ampliamento delle ipotesi del ricorso per cassazione ha un effetto inflattivo superiore di gran lunga a quello deflattivo derivante dalla soppressione dell’appello delle sentenze di proscioglimento. Soppressione che, a causa della disorganicità della riforma, fa si che la stessa posizione delle parti nel processo venga ad assumere una condizione di disparità che supera quella compatibile con la diversità delle funzioni svolte dalla parti stesse nel processo. Le assimmetrie tra accusa e difesa costituzionalmente compatibili non devono mai travalicare i limiti fissati dal secondo comma dell’articolo 111 della Costituzione, a norma del quale: ’’Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale’. Infine, non lo si dimentichi, è parte del processo anche la vittima del reato costituitasi parte civile, che vede compromessa dalla legge approvata la possibilità di far valere la sua pretesa risarcitoria all’interno del processo penale.

Un’ulteriore incongruenza della nuova legge sta nel fatto che il pubblico ministero totalmente soccombente non puo’ proporre appello, mentre ciò gli è consentito quando la sua soccombenza sia solo parziale, avendo ottenuto una condanna diversa da quella richiesta. Infine, rispetto al principio che informa di sè la legge approvata, e cioè l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, esistono, nel testo, due norme che appaiono contraddittorie: - l’articolo 577 del codice di procedura penale continua a prevedere la impugnazione delle sentenze di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione, senza specificare se essa riguardi anche l’appello; - l’articolo 597, comma 1, lettera b) dello stesso codice, continua a individuare i poteri del giudice nel caso di appello riguardante una sentenza di proscioglimento, appello escluso dalle modificazione ora introdotte.

È altresi’ necessario tener presente che l’articolo 36 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, sulla competenza penale del giudice di pace, continua a consentire l’appello del pubblico ministero contro alcuni tipi di sentenze di proscioglimento. Per i motivi innanzi illustrati, chiedo alle Camere - a norma dell’articolo 74, primo comma, della Costituzione - una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 13 gennaio 2006".


Martedì, 24 Gennaio 2006
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