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di Girolamo Simonato*
Insidie e trabocchetti stradali, non sempre è colpa dell’ente proprietario della strada

Foto di repertorio dalla rete

Insidie e trabocchetti sulle pubbliche strade, fatti che si concretizzano a seguito di un sinistro stradale. La loro definizione per la lingua italiana è così rappresentata:
l’insidia, la cui terminologia trova origine dal latino insidēre, star sopra, apparire dissimulato, quando vi è un pericolo nascosto da un stratagemma umano, naturale, ambientale o da un’alterazione della cosa utilizzata.
trabocchetto è una specie di insidia, che si concretizza nel nasconde un pericolo, un inganno, una difficoltà, quasi un tranello, per la persona o la cosa che deve essere utilizzata.
Il filo logico che assimila le due fattispecie è il “teatro” dell’evolversi della conseguente azione od omissione, la quale si concretizza nella responsabilità in capo all’ente proprietario della strada.
È ben nota la responsabilità per quanto concerne la sede stradale, infatti, il dettato di cui all’art. 14 del Codice della Strada, il quale prevede: “Poteri e compiti degli enti proprietari delle strade”, individua che gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono:
a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi;
b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze;
c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta.

Lo studio dell’infortunistica stradale insegna che gli incidenti si possono verificare anche su strade non di uso pubblico, infatti, la sentenza della Corte di Cassazione Civile – Sezione III civile - Ordinanza del 23/7/2009 n. 17279, emessa a seguito di un sinistro avvenuto all’interno dell’area di parcheggio di un supermercato, stabilisce che nel caso di specie è stata considerata come un’area aperta al pubblico e addebita ad uso pubblico sebbene la sua originale natura era quella di proprietà privata.
Per il principio collegato alle norme sulla circolazione stradale, la suddetta area è parificabile all’applicabilità delle norme sulla circolazione dei veicoli.
Nella sentenza si legge: "L'area di parcheggio di un supermercato è aperta al pubblico ed adibita al normale traffico veicolare anche se di proprietà privata e situata al piano interrato di un edificio.
La circolazione all'interno di questa zona è, conseguentemente, soggetta all'articolo 2054 c.c. e alle norme sull'assicurazione obbligatoria dei veicoli.
Con la suddetta ordinanza la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito con la quale si era sostenuto che il parcheggio dove era avvenuto il sinistro denunciato doveva essere considerato area privata perché situato nel piano interrato dell'ipermercato. La Cassazione ha, all’opposto, dichiarato che le aree di parcheggio dei supermercati, anche se private quanto alla proprietà, al possesso o alla detenzione, "sono ormai luoghi di continuo e intenso traffico veicolare, sicché non vi è ragione di escludere l'applicazione al loro interno delle norme in tema di circolazione stradale".

Questo provvedimento offre lo spunto di chiarire come la circolazione veicolare non è solamente quella all’interno delle strade pubbliche ma anche a quelle connesse alla circolazione stradale ad uso pubblico o aperte al pubblico transito.

La citazione al Tribunale Napoli, Sezione 12 civile Sentenza 14 aprile 2014, n. 5687, emessa a seguito di un sinistro stradale, offre lo spunto giuridico e il relativo studio, per il fatto che l’attore conveniva in giudizio il Comune di Qualiano e la Provincia di Napoli, quali enti responsabili della strada dove si era verificato l’incidente stradale, nel quale “l’attore”, alla guida del proprio motoveicolo percorreva la via pubblica, finendo con le ruote in un avvallamento stradale non segnalato. A causa dei ciò lo stesso motociclista rovinava a terra riportando danni materiali e fisici.
Un passaggio giurisprudenziale della sentenza è quello che segue: “Ciò posto in fatto, in punto di diritto occorre anzitutto premettere che la responsabilità della P.A. in conseguenza di un sinistro cagionato da un bene ad essa appartenente può essere configurata sotto due profili: in primis, la responsabilità colposa della P.A. può discendere dalla "generalklausel" di cui all'art. 2043 c.c., atteso che, secondo la consolidata giurisprudenza, la pubblica amministrazione incontra, nell'esercizio del suo potere discrezionale nella vigilanza, manutenzione e controllo dei beni demaniali, limiti derivanti dalle norme di legge e di regolamento, nonché dalle norme tecniche e da quelle di comune prudenza e diligenza, ed, in particolare, dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere, in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che il bene demaniale non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile né prevedibile, che dia luogo al cosiddetto trabocchetto o insidia; inoltre, la responsabilità della pubblica amministrazione può essere ricondotta alla responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c., per danni causati dall'omessa custodia dei beni demaniali, quali sono le strade pubbliche.”


Interessante è il passaggio, riportato nel giudizio, sulla descrizione e citazione dell’insidia stradale, quale situazione di pericolo che si può verificare all’insaputa del conducente che in quel momento percorre una pubblica via : “In quest'ottica, l'insidia, cioè quella situazione di fatto che, per la sua oggettiva invisibilità ed imprevedibilità, integra pericolo occulto, è configurabile anche con riferimento al danno cagionato da cose in custodia, ed in tale ipotesi ha solo l'effetto di caratterizzare l'oggetto concreto dell'onere della prova a carico del custode, nel senso che quest'ultimo, per liberarsi da responsabilità, è tenuto a dimostrare l'insussistenza del nesso eziologico tra la cosa, che ha prodotto o nell'ambito del quale si è prodotta l'insidia, ed il danno, in quanto determinato da cause non conoscibili né eliminabili con sufficiente immediatezza da parte sua, neppure con la più efficiente attività di vigilanza e manutenzione (Cass. 19.11.2009 n. 24428).”

Su questo filone giurisprudenziale, la sentenza della Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 22 febbraio 2017, n. 4638, emessa a seguito in danno da insidia stradale, per i quali l’attore chiedeva il risarcimento dei danni da lui patiti in conseguenza della caduta dalla bicicletta dovuta alla presenza di un tombino e di gravi sconnessioni sul manto stradale, la Corte ha rilevato e considerato l’efficienza del comportamento imprudente del ciclista, nella produzione del danno. Infatti si legge: “Nel caso di specie, al contrario, la stessa formulazione del ricorso e della censura qui in esame indica che la richiesta di discussione fu avanzata in sede di precisazione delle conclusioni, di comparsa conclusionale e di replica, con ciò implicitamente ammettendo che la reiterazione che la disposizione in esame esige non ebbe luogo”.
“Analogamente, è stato affermato che in tema di danno da insidia stradale, quanto più la situazione di pericolo connessa alla struttura o alle pertinenze della strada pubblica è suscettibile di essere prevista e superata dall’utente-danneggiato con l’adozione di normali cautele, tanto più rilevante deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nella produzione del danno, fino a rendere possibile che il suo contegno interrompa il nesso eziologico tra la condotta omissiva dell’ente proprietario della strada e l’evento dannoso (sentenze 20 gennaio 2014, n. 999, e 13 gennaio 2015, n. 287). Tale comportamento imprudente rileva ai fini del primo e non dell’articolo 1227 c.c., comma 2.
Nella specie la Corte d’appello ha dato conto di tutte le ragioni per le quali ha ritenuto che l’incidente fosse da ascrivere ad integrale responsabilità dell’odierno ricorrente, alla luce delle deposizioni testimoniali e degli specifici rilievi sullo stato dei luoghi, sull’ora del sinistro e sulla prevedibilità dell’incidente con l’ordinaria diligenza. In particolare, la Corte ha evidenziato che il danneggiato abitava nella strada dove era caduto, la quale era interessata da lavori di rifacimento ben visibili e che egli non poteva non conoscere e che l’incidente si verificò a mezzogiorno, cioè in un’ora di massima luminosità; ed è pervenuta alla conclusione per cui il suo comportamento abbia integrato gli estremi del fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità”.

Come è emerso da queste citazioni giurisprudenziali, non sempre vi è un’esplicita responsabilità in capo all’ente proprietario della strada, ma per il c.d. nesso eziologico, il quale indaga le cause dei fenomeni, tra la condotta omissiva dell’ente proprietario della strada e l’evento dannoso, emerge è importante lo studio e la rilevazione degli incidenti stradali per determinare l’eventuale responsabilità della pubblica amministrazione nel sinistro.
 

* Consigliere Nazionale ASAPS

 

Mercoledì, 03 Maggio 2017
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