di Giovanni Fontana*
Un’omissione di troppo
Con l’entrata in vigore della legge sul c.d. “omicidio stradale” - che in realtà va a configurare aspetti ben più ampi del danno alla persona, in conseguenza di un sinistro stradale - l’opinione pubblica, ma parte della più autorevole dottrina, si è sostanzialmente divisa su due posizioni, diametralmente opposte: il garantismo ed il giustizialismo.
Personalmente, non riesco mai a condividere un’impostazione “partigiana” del vivere - se non quella afferente le ragioni storiche della Liberazione – condividendo, invece, l’impostazione aristotelica dell’etica nicomachea, in ragione della quale “in medio stat virus”! Sol per questo, però, non si può giudicare (ciò ch’è più grave, disapplicare) la legge n. 41 del 2016, in ragione della gravità delle sue pene e delle sue sanzioni accessorie, soprattutto quando l’applicazione delle medesime, consegue alla violazione di norme di comportamento giudicate gravi, tra le più gravi; per dirla in modo più chiaro e diretto, non si può buttare il bambino con l’acqua sporca!
Soprattutto, non lo possono fare gli addetti ai lavori che, diversamente e nell’interesse generale, hanno il sacrosanto obbligo di applicarla, anche con l’applicazione delle gravi misure che questa prevede giacché, come vedremo tra breve, qui non si tratta di commettere un’omissione “di troppo”, ma di commettere tutt’altro reato e magari, in perfetta buona fede, concorrere in un potenziale e successivo omicidio stradale...
da il Centauro n. 202