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Articoli 23/05/2017

di Lorenzo Borselli*
La strada non fa sconti, ma a noi non importa un bel niente
Non dimenticheremo mai come Nicky ha vissuto. Dimenticheremo come è morto

(ASAPS) Forlì, 23 maggio 2017 – Lo avevamo immaginato, che dietro i raggelanti aggettivi usati dai medici, si nascondesse la terribile verità. Nicky Hayden, il campione gentile della MotoGP, che soffiò l’iride a Valentino nel 2006, ha spento il suo motore nel pomeriggio di ieri (22 maggio), cinque giorni dopo essere finito contro un’auto mentre si allenava in bici.

Il mondo intero ha sperato in un destino diverso da quello che la cronaca aveva prospettato. I social si sono riempiti di auguri, di slogan, di foto di Kentucky Kid, rampollo di una famiglia di amanti dei motori (il numero “69” che portava impresso sul cupolino era lo stesso di papà Earl e perfino la mamma era pilota), icona dell’America che spinge sul gas ogni maledetta domenica e che torna al ranch per il lunedì mattina.
Non era affatto difficile incontrarlo nei paraggi dei circuiti, prima e dopo la febbre delle prove, delle qualifiche e delle gare: lui faceva sempre così, andava in bici per allenarsi, per concentrarsi, per “stare in ballotta”, come dicono in Romagna, terra di motori e di pedali.

Chi segue il mondo delle moto sapeva che proprio in Romagna Nicky era di casa: già lunedì aveva fatto un’uscita sulle colline, con l’amico Denis Pazzaglini, meccanico di Dani Pedrosa e suo grande amico.
Il suo incidente, così come quello che ci ha portato via Michele Scarponi, ha avuto l’effetto di riaccendere le luci sulla violenza stradale, specialmente quella della classe debole dell’asfalto: la bici.
Poco prima di quello di Hayden, la cordella della Polizia Municipale romagnola si era srotolata per i rilievi di un altro terribile scontro, nel quale la campionessa tedesca di triathlon Julia Viellehner, 31 anni, era stata agganciata da un camion e stritolata dalle ruote gemellari dell’autocarro sulla strada del passo delle Forche, nel forlivese.
Mentre scriviamo, dopo l’amputazione delle gambe, lotta per la vita al Bufalini di Cesena, lo stesso ospedale nel quale Nicky è arrivato il giorno dopo, in elicottero.

Che abbia avuto torto o ragione, nell’incidente che alla fine ce l’ha strappato, la morte di Kentucky Kid è come un tratto di evidenziatore su una  pagina da studiare: ci dice tutto quello che già sappiamo, che ci sembra ovvio quando il nome sul trafiletto non c’è per la privacy che annega nell’anonimato della cronaca perfino l’identità del ciclista qualunque travolto e ammazzato, che ci fa fare spallucce quando pensiamo che il morto magari è quello che pedala sempre in mezzo alla statale, la domenica mattina.
Poi c’è il nome di Nicky, il campione gentile, bello, fortissimo nei suoi drift all’inseguimento di Valentino.

Ecco perché è importante strillarlo ora che la strada ci sta ammazzando tutti, senza pietà: a lei, alla signora nera con la falce, non importa un fico secco se sei un bambino, un vecchio, un genitore, una persona in carriera. Se sei buono, cattivo, se sei in strada per un motivo nobile, per commettere un delitto, se vai al primo appuntamento, se stai per lasciare chi ti ama, se sei un mago del volante o della piega, se la tua voce è quella che ammalia le masse ai concerti, se sei un giocatore di calcio famoso, un politico, un terrorista, un prete o una puttana.
Muoiono i re: Gonzalo di Borbone morì nel 1934 dopo essere finito con la macchina contro un muro, Astrid di Svezia, regina dei belgi, morì nel 1935 finendo in una scarpata con l’auto insieme al marito Re Leopoldo, destino simile a quello che strappò Grace Kelly alla vita, nel 1982.
I cantanti: Fred Buscaglione, morì al volante della sua Ford Thunderbird, contro un camion che portava porfido. Rino Gaetano morì nel 1981, a causa delle ferite di un incidente che nessun ospedale sembrava volesse curare, proprio come in una canzone che lui stesso aveva scritto qualche anno prima; Alex Baroni lo ammazzarono in una strada di Roma, nel 2002 mentre il celebre “Black”, che cantò l’immortale “Wonderful Life”, se n’è andato nel 2016 contro un albero, in Inghilterra.

E Falco: vi dice nulla? Ricordate quel ragazzotto tedesco in impermeabile che fece ballare noi degli anni ‘80 col suo Der Kommissar? Andato anche lui, contro un autobus, in Repubblica Dominicana, dove viveva. 
A parlare di Falco e della sua Der Kommissar ci viene da pensare alle Sturmtruppen: volete sapere che fine ha fatto Franco Bonvicini, il Bonvi che le disegnava? Ammazzato, nel 1993, mentre attraversava la strada. Falciato come Pierre Curie, il fisico francese che nel 1906 è finito sotto le ruote di una carrozza, a Parigi, o come Antoni Gaudì, l’architetto spagnolo, investito da un tram della sua Barcellona.
Cley Regazzoni, l’indimenticato pilota di Formula Uno, che battagliò con James Hunt e Niki Lauda, sopravvisse all’inferno dei circuiti degli anni ‘70 per andare a morire in autostrada, in Italia, nel 2006, mentre Andrea De Cesaris, tanto per restare in Formula Uno, lo abbiamo salutato nel 2014 dopo uno scontro motociclistico sul Grande Raccordo Anulare.

E Mike Hailwood? Il britannico che seppe vincere anche in moto, oltre che nella massima categoria a 4 ruote, morì contro un camion che invertiva la marcia nel 1981. Incidente fotocopia di quello che, a Kawasaki nel 2007, ha strappato a chi ama il motomondiale Norifumi Abe.
Chi ama il calcio, invece, piange ancora Gaetano Scirea, morto carbonizzato nel 1989 in una sperduta campagna polacca. E poi Artemio Franchi, schiantatosi con la sua Argenta nell’Arbia senese o Niccolò Galli, figlio 17enne del portierone Giovanni, finito col motorino contro un guardrail nel 2001. Ci vengono in mente Andrea Pininfarina, travolto da un’auto mentre andava nella sua “carrozzeria” in sella a uno scooter e Michele Barillaro, giudice di Firenze, scampato ai sicari della mafia ma non a un camionista in Namibia.
Gli occhi tristi di Barack Obama nascondono la morte del padre, nel 1982, morto a Nairobi dopo essere sopravvissuto ad altri due gravissimi incidenti: puoi essere anche d’acciaio, come il generale Patton, ma quando arriva il tuo momento non c’è scampo: magari la cintura lo avrebbe salvato, ma a nulla servì il cinturone con la Colt SAA in fondina, la pistola dei cow-boys.
E quindi? Abbiamo imparato la lezione?
Macché...
Compreremo gli adesivi col numero “69”, metteremo la foto di Nicky sui nostri account, leggeremo commossi i ricordi di chi ha corso con lui, cliccheremo un milione di “mi piace” e poi torneremo alla nostra vita, ricordando per sempre come ha vissuto il nostro eroe, dimenticando però come è morto.
E nulla, purtroppo, cambierà. (ASAPS)

 

(*) Sovrintendente Capo della Polizia di Stato,
Responsabile Nazionale della Comunicazione di ASAPS

 

>Ciao Nicky, non ti ha sconfitto la pista, ma ti ha sconfitto la terribile strada
Oggi - nel giorno del dolore - rinnoviamo il nostro impegno per la sicurezza stradale. (ASAPS)

 

 







 

La democrazia della strada che non fa sconti a nessuno nel bell'articolo del nostro  Lorenzo Borselli per ricordare Hayden e tutti gli altri... (ASAPS)
"Poco prima di quello di Hayden, la cordella della Polizia Municipale romagnola si era srotolata per i rilievi di un altro terribile scontro, nel quale la campionessa tedesca di triathlon Julia Viellehner, 31 anni, era stata agganciata da un camion e stritolata dalle ruote gemellari dell’autocarro sulla strada del passo delle Forche, nel forlivese."

Martedì, 23 Maggio 2017
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