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Resistenza a pubblico ufficiale per l’automobilista che minaccia di darsi fuoco

E' punibile per resistenza a pubblico ufficiale l'automobilista che, sorpreso alla guida privo di documenti, patente e assicurazione, si barrichi all'interno dell'auto minacciando di darsi fuoco nel caso in cui gli venga confiscata la vettura. Così ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 26869 del 29 maggio 2017, prendendo in esame il caso di un palermitano condannato tanto dal Tribunale di Marsala, quanto dalla Corte di appello di Palermo.

Sorpreso alla guida privo di tutto, l'uomo aveva brandito una tanica di benzina minacciando di suicidarsi: un comportamento che la difesa dell'imputato - ricorso in Cassazione - aveva tentato di far rientrare nella fattispecie di cui all'articolo 337 del Codice penale, qualificandolo come mera resistenza passiva.

Non la pensa così la Cassazione. L'imputato - si legge nella sentenza - non si è limitato a disobbedire alle richieste dei carabinieri, ma si è prodigato per impedire agli agenti, con il ricorso alla minaccia, di compiere il proprio ufficio. Pur non avendo rivolto minacce dirette alla loro incolumità, egli li ha però ricattati.

>Sentenza n. 26869/17 della Corte di cassazione

Per integrare la minaccia a un pubblico ufficiale – spiegano infatti i giudici - è sufficiente il ricorso a una qualsiasi coazione, anche morale, anche indiretta, da cui però si evinca chiaramente l'intento coercitivo. Tale minaccia - attestano precedenti sentenze - può essere costituita anche da una condotta autolesionistica della persona, quando la stessa sia finalizzata a impedire o contrastare il compimento di un atto d'ufficio da parte dell'agente.

Secondo i giudici “non fa velo” alla condotta criminosa dell'imputato neanche il fatto che la minaccia di darsi fuoco fosse irrealizzabile, visto che il flacone di benzina brandito dall'uomo era in realtà vuoto. Ovvia la considerazione secondo cui l'idoneità della minaccia deve essere valutata con un giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto.

Nessuna apertura neanche nei confronti della causa di non punibilità invocata dall'imputato, il quale aveva invitato i carabinieri a «chiudere un occhio»: una volta svolto un legittimo atto di controllo, infatti, gli agenti non potevano certo abdicare al proprio dovere, ignorando la sanzione disposta dal Codice della strada che, in questi casi, prevede fermo amministrativo dell'auto.

di Silvia Marzialetti
da ilsole24ore.com

Mercoledì, 31 Maggio 2017
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