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Notizie brevi 17/12/2003

Strada sicura, fine prematura?

Da"Uomini e trasporti" n.193 dicembre 2003

Strada sicura, fine prematura?

di Luca Regazzi

Sicurezza stradale e redditività delle imprese di autotrasporto: ìche ci azzeccanoî? Ragionamento: il servizio di trasporto merci è fondamentale per l’economia italiana, quindi andrebbe remunerato con il giusto prezzo, che dovrebbe comprendere una parte dei costi relativi alla sicurezza stradale. Semplice, no? E invece, con una velocità commerciale sempre più bassa, un nuovo codice che - al di là degli aspetti benefici - taglia le gambe alle imprese senza contropartite e un costo di esercizio per chilometro di 120 euro, il più alto d’Europa, le nubi si addensano. Quiz: quante imprese falliranno nei prossimi tre anni?

Uno dei luoghi comuni più difficili da superare riguardo il comportamento on the road è quello sulla pericolosità dei camion. I soliti beninformati - che in realtà parlano per frasi fatte - dicono che i camionisti guidano male, sono imprudenti, non gliene importa nulla della sicurezza. Una tale accozzaglia di banalità non meriterebbe replica: è ovvio che, proprio in quanto professionisti della strada e fruitori quotidiani della rete stradale, l’interesse di chi guida i veicoli industriali è di realizzare quanta più sicurezza possibile.

D’altra parte i titoli di guida richiesti a un autista di veicoli industriali sono talmente tanti da ridurre notevolmente la possibilità di trovare autisti del tutto sprovveduti. Tanto per citarne alcuni: patente C, capacità professionale (previo corso di formazione e superamento di un esame di idoneità), formazione ed esame anche per il trasporto di merci pericolose in ADR, HCCP per derrate alimentari, conseguimento di altra idoneità come responsabile tecnico ambientale per il trasporto di rifiuti, previo corso di formazione e superamento di un esame.

Stime recenti della Fita-Cna hanno sottolineato come un posto di lavoro nel settore dell’autotrasporto costi mediamente 100 mila euro e quindi è comprensibile che nasca l’esigenza di realizzare sicurezza stradale, non fosse altro per motivi di economicità.

Le normative che regolano l’autotrasporto di merci o passeggeri per conto terzi è poi inflessibile. Fin dal 1985 i tempi di guida stabiliti con regolamenti CEE 3820 e 3821 prevedevano che non si potessero superare le 9 ore di guida al giorno, anche se, a onor del vero, la legge non veniva sempre rispettata. Inoltre i camionisti sono spesso obbligati ad utilizzare le autostrade per agevolare il traffico estivo di alcune vie ordinarie e i loro autoveicoli debbono comunque essere muniti di cronotachigrafo e di limitatore di velocità. Tutte regole che operano in favore di un aumento della sicurezza stradale, ma che pongono anche notevoli problemi di costi alle imprese.

E questo ancor prima che entrasse in funzione il nuovo Codice della Strada. Nessuno nega che l’introduzione della patente a punti stia costituendo un deterrente alle infrazioni, ma forse per i professionisti la previsione della doppia patente sarebbe stata più opportuna. L’aumento delle sanzioni pecuniarie pare infatti eccessivo e costituisce un’ulteriore spesa per le aziende. Infine sui tempi di guida e di riposo andrebbe fatta una doppia valutazione: la prima è che le tecnologie odierne di costruzione dei veicoli sono talmente migliorate che la sicurezza può essere ottenuta con un minor numero di ore di pausa; la seconda è che appare una forzatura considerare tempi di guida effettivi gli spostamenti all’interno dei porti e di altre strutture di carico e scarico delle merci, così come il tempo trascorso nelle code stradali quando il movimento del veicolo non superi i 15/20 km orari.

In realtà - lo ripetiamo per l’ennesima volta - se mancano le infrastrutture, se la velocità media commerciale nel nostro Paese è la più bassa in Europa, se non esistono aree di sosta attrezzate né in autostrada né tanto meno sulle strade ordinarie, è difficile stupirsi se realizzare la sicurezza stradale diventi problematico e - soprattutto - costoso.

Queste affermazioni sono confermate da un recente studio commissionato dal Comitato Centrale dell’Albo al CSST (Centro Studi sui Sistemi di Trasporto), che ha comparato i costi di gestione delle imprese italiane di autotrasporto con quelli degli altri principali Paesi dell’UE, Germania, Olanda, Francia, Austria, Grecia e Spagna e in più la Slovenia, il concorrente più acerrimo del Nord Est per l’immediato futuro. Ebbene, le differenze rilevate sono assai rilevanti, dalle incidenze dei costi del carburante per autotrazione ai pedaggi autostradali, dal costo del personale inteso in senso lato al fisco e soprattutto alle relazioni tra le imprese di autotrasporto e quelle committenti in materia di tempi di carico e scarico delle merci: le cosiddette ìattese". Del resto, come accennato, la velocità commerciale media (tempo di percorrenza in rete + tempi di attesa per carico e scarico) è pari a circa 55 km/h in Germania, Olanda e Francia, mentre in Italia scende a soli 50 km/h. Ciò significa che per effettuare le stesse percorrenze nel nostro Paese occorrono 2.000 ore lavorative invece delle 1.818 dei tre Paesi citati, con uno svantaggio di competitività per le imprese nazionali di circa il 10%. A ciò si deve aggiungere che, negli ultimi 25 anni, a fronte di un traffico merci su strada cresciuto nel rapporto ton/km del 300%, il livello degli investimenti nelle infrastrutture è passato dall’1,4% del PIL degli anni ’70 allo 0,2 del PIL attuale, circa un settimo del suo valore. Il dato più preoccupante è però che l’Italia è da molti anni prima nella graduatoria per livello di costo d’esercizio, cioè ha il più alto livello di costo per km (120 _), con un differenziale in più che va da un minimo dell’1,69% (Francia) ad un massimo del 33,3% (Grecia). Nei Paesi menzionati, inoltre, per il carico/scarico si impiegano mediamente da 1 a 2,5 ore rispetto alle 5 del nostro Paese.

è evidente che le aziende di autotrasporto debbono per sopravvivere, come ogni altra azienda, perseguire l’obiettivo della redditività dell’impresa. Ebbene, se consideriamo la mancanza di adeguamenti tariffari in materia di servizi resi, i servizi accessori quasi mai corrisposti, l’incremento continuo dei costi di gestione a cominciare dal gasolio, le assicurazioni RCA e vettoriale per le merci trasportate, i pedaggi autostradali e l’aumento costante dei materiali di consumo (gomme, olio lubrificante ecc.) è facile capire come la situazione sia ormai agli sgoccioli. Insomma, il messaggio è che la sicurezza stradale non deve essere perseguita a scapito della buona salute delle aziende del settore, pena il blocco dello stesso e di conseguenza del motore dell’economia italiana.

Vi è sicuramente responsabilità dell’impresa nella mancata applicazione della tariffa minima, ma ciò avviene perché il committente vuole sostenere il minor costo possibile del trasporto: del resto le imprese presenti sul mercato nazionale - peraltro fortemente polverizzate e troppo spesso incapaci o impossibilitate a rifiutare un trasporto sottopagato - sono talmente tante da non dare problemi di offerta.

Nel passato il risultato era che i padroncini si vedevano costretti ad infrangere la normativa per avere un profitto, ma oggi la cosa non è più possibile - sotto certi aspetti fortunatamente - per l’introduzione della patente a punti e quindi per i controlli più severi su strada in materia di portate consentite, tempi di guida e di riposo regolari, velocità, ecc. Da qui la necessità urgente di modificare il rapporto impresa/committente.

La conclusione ineluttabile è che il servizio di autotrasporto di merci, pezzo fondamentale nella filiera delle attività produttive e del commercio, è un servizio necessario da remunerare con il giusto prezzo, che deve contenere al suo interno anche una parte dei costi relativi alla sicurezza stradale, poiché questi non possono continuare a pesare esclusivamente sull’autotrasportatore.

Oggi esistono circa 220 mila imprese di autotrasporto italiane che versano in una situazione non certo rosea. è chiaro che, quando se ne aggiungeranno, per effetto della liberalizzazione, altre 30 mila, le cose precipiteranno se non saranno previsti adeguati ammortizzatori economici. Senza contare che nella primavera prossima entreranno nella UE Paesi in cui il trasporto è svolto da imprese che hanno costi fino al 50% inferiori a quelli italiani.

Allora gli imprenditori artigiani dovranno trasformarsi e crescere a dismisura per realizzare le necessarie economie di scala? Non necessariamente. Si potrebbe per esempio pensare a costituire gruppi consortili nei quali ciascuno mantenga la propria dignità di artigiano e di piccolo imprenditore, ma costruendo una forza organizzata che possa meglio affrontare le sfide del mercato globale, intervenendo inoltre nei processi di ammodernamento dei servizi di trasporto e magari anche in quelli di logistica. Ma questa o altre soluzioni devono essere trovate rapidamente, perché il tempo - ahimè - sta per scadere.

L’esempio di un’azienda-tipo

NEL 2002 FATTURATO A -12%. E DOMANI?

La sicurezza stradale comporta il calo della redditività: è solo una teoria oppure c’è qualcosa di più concreto? Prendiamo un’azienda tipo, ad esempio, del settore petrolifero, con otto camion e dieci autisti. Complessivamente i veicoli nel 2002 hanno percorso 611.437 km, con una media di 76.430 km a camion per 252 giorni lavorativi. Poiché il costo a km è stato di 1,50 _ circa, il fatturato ha raggiunto 917.916,73 _ ma i costi sono stati di 967.370,35 euro. Totale: l’azienda in questione (e come questa tante altre) ha perso il 12,60%. Il problema è che, col nuovo codice, la situazione non può che peggiorare. Non sarà infatti più possibile fare quei 310-320 km al giorno a mezzo, perché la velocità commerciale - come si è detto - è estremamente bassa (gli autotrasportatori parlano addirittura di 27-29 km/h) ed aumentano le ore di straordinario e quindi le spese per gli autisti che sono il costo più alto, incidendo sul fatturato per oltre il 40%.

Avremmo voluto fare altri esempi concreti, ma abbiamo incontrato una certa reticenza a parlare di contratti e di costi. è la solita vecchia tendenza dell’autotrasporto alla cura gelosa del proprio ìgiardinettoî? Ma non sarebbe invece ora di lasciar perdere egoismi vari e di dare una risposta unitaria al problema?

Infrazioni veicoli intestati a società di persone

Con la nota 300/A/1/45148/109/16/1, il ministero dell’Interno ha fornito importanti chiarimenti circa l’applicabilità del meccanismo della patente a punti per le infrazioni commesse alla guida di veicoli intestati a società di persone.

Le disposizioni di cui al quarto e quinto capoverso, comma 2 dell’articolo 126 bis si applicano anche ai rappresentanti legali o loro delegati delle società di persone, a condizione che sulla carta di circolazione del veicolo, alla guida del quale è stata commessa l’infrazione, figuri quale intestatario il nome della società medesima e non quello del singolo socio della stessa.

Quindi, per quanto riguarda le infrazioni non contestate immediatamente e che comportano la perdita di punteggio dalla patente e commesse alla guida di un veicolo intestato ad una società di persone o di capitali, il punteggio non potrà essere decurtato dalla patente di guida del rappresentante legale dell’ente o del suo delegato che non indichi l’identità del conducente né fornisca dati che ne consentano l’identificazione

L’unica sanzione applicabile nei confronti della società intestataria è quella pecuniaria di cui all’art. 180, comma 8 del codice della strada, ossia da euro 343,35 a euro 1376,55.

Costo chilometrico

Paesi
Gennaio 2000
Gennaio 2001
Gennaio 2002
Incremento 2001-2002
Tasso di inflazione
Italia
1,13
1,18
1,20
1,69%
2,20%
Germania
1,01
1,11
1,09
-1,80%
1,50%
Francia
1,06
1,13
1,18
4,42%
1,40
Spagna

0,79

0,89
0,92
3,37%
3,00%
Olanda
1,00
1,11
1,12
0,90%
5,10%
Austria
1,00
1,09
1,07
-1,83%
1,80%
Grecia
0,76
0,86

0,90

4,65%
3,50%
Slovenia
0,82
0,90
0,99
10,00%
3,00%

di Luca Regazzi

Mercoledì, 17 Dicembre 2003
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