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Notizie brevi 03/12/2003

AUTOMOTORI: Quelli che... perdono ai punti Così la nuova patente ha cambiato gli italiani

da "Repubblica - Supplemento auto" del 03 dicembre 2003
AUTOMOTORI: Quelli che... perdono ai punti
Così la nuova patente ha cambiato gli italiani
Un riflesso di sole sul parabrezza che per un istante acceca? Una confusione di gesti per una sigaretta da accendere? Un’effusione intensa tra guidatore e passeggero? Un miraggio, un ostacolo, un calo di potenza nel motore? Perché quell’auto davanti improvvisamente rallenta? Poi vedi che lo fa anche quell’altra e quell’altra ancora: sull’autostrada tra Firenze e Roma c’è come un campo di forza che asciuga e aspira la velocità di marcia. A 165 all’ora rallentano tutti, sguardo al cruscotto, piede che si solleva dall’acceleratore: è questo il nuovo modo di guidare. Gas fino a lì e poi un po’ di singhiozzo nell’andatura. Nuova e già consolidata abitudine di massa dopo cento giorni di patente a punti: la frontiera della legalità accettata e rispettata è lì, a 165, dove, se ti prendono, si pagano due punti. Più avanti, nella terra che costa dieci punti di pena, ci vanno solo sparuti incorreggibili. Gli altri, tutti gli altri, si avvicinano alla frontiera, quasi la toccano e tirano indietro il piede. Nell’estateautunno 2003 il vero limite di velocità in autostrada è dunque 160 all’ora. Con la nebbia e la pioggia si vedrà. Solo l’anno scorso chi poteva non rallentava prima dei 180 e più d’uno non rallentava mai.
Napoli, centro città: il taxista ti chiede, per favore, di allacciare la cintura di sicurezza anche se sei sul sedile posteriore. Stropicci gli occhi per la sorpresa. Ma non era la città della trasgressione, del semaforo regolarmente attraversato con il rosso, del codice della strada come variabile individuale e impazzita? Sarà un tassista nevrotico. E invece no, te lo chiedono tutti e tutti in moto indossano il casco. A guardar bene lo indossano slacciato, trovando così una psicologica, e incauta, mediazione tra l’obbedire alla regola e mantenersi liberi. Ma in città di trasgressori sfacciati non ce n’è più, spariti. Anche qui però c’è un confine: oltre la tangenziale, fuori dal centro urbano chiamato Napoli la legge del casco e della cintura non vale più. D’altra parte qui non vigono tante altre leggi. Di suo la patente a punti ha liquefatto a Napoli comportamenti che avevano compiuto, indenni e felici, il mezzo secolo.
Da Catania a Taormina nel giorno di massimo rischio per l’integrità della patente: Ferragosto. Tutti attenti alla velocità di legge, quella stabilita dagli italiani, 160 e non 130. Meno attenti però all’obbligo - fastidio della cintura. Anche qui comunque una barriera invisibile ma rispettata: cinque chilometri prima del casello di uscita o di entrata ci si allaccia. Da Alghero a Olbia via Nuoro: qui la velocità osservata è quasi quella prescritta dal codice, i sardi guidano piano.
Trasgressori al telefonino non ce n’è, tanto la linea non si prende quasi mai. Sarebbero però tutti da sanzione per come "tagliano" le curve, sarebbero forse cinque punti da pagare ma una giustificazione ce l’hanno: intorno c’è un costante deserto o quasi di traffico e di pattuglie, per trovare entrambi devi andare sulla costa. Anche qui un confine: di qua vige la patente a punti, di là vige un po’ meno.
Superstrada che taglia l’Italia centrale, da Terni verso Cesena: misuri quanto si sia allargato il confine della solidarietà. Quasi tutti si fanno obbligo di segnalare lampeggiando con i fari la presenza di una pattuglia della stradale che hanno già incontrato nel loro senso di marcia e che tu presto incontrerai. Nessuno corre in maniera azzardata ma nessuno o quasi rispetta di fatto i limiti di velocità che spesso sono a 70 all’ora.
Roma città, la capitale. D’incanto il pedone in attraversamento è più rispettato, ha smesso di essere considerato un ingombro e su cento guidatori che osservi e conti da un balconeosservatorio, 98 hanno la cintura allacciata. Non solo, in calo verticale la sgommata al semaforo. Di notte la velocità media torna a salire, ma niente di drammatico. Però sembra che un’epidemia di prurito all’orecchio stia affliggendo i romani, molte mani sinistre sono lì aperte, anzi spalancate a proteggere il corrispondente padiglione auricolare. Qui la frontiera, il confine sta nelle dimensioni del telefonino portatile: se è piccolo a sufficienza la mano lo nasconde. Si resiste infatti alla tentazione di chiamare ma a non rispondere non è arrivato praticamente nessuno.
Sulla MilanoVenezia non hanno smesso l’abitudine di incollarsi o quasi al portabagagli per annunciare, anzi imporre, il sorpasso imminente. Però dispongono in grandissima maggioranza dell’auricolare o del vivavoce in auto. A Milano città sono ligi come da tradizione, con esclusione del venerdì pomeriggio quando filano verso la Liguria o la Svizzera e allora diventano veloci, troppo veloci.
Vi par poco, esiguo e scarno questo bilancio sul campo, questa verifica empirica del nuovo modo di guidare dopo la patente a punti? Sbagliate. Anche se la realtà ridimensiona l’ufficialità, qualcosa di profondo sta lavorando ai fianchi il popolo che fino a ieri vantava (?) solo l’otto per cento di automobilisti assolutamente corretti. Certo non è diminuita la percentuale (4 per cento) di chi suona il clacson per intimare agli altri di sbrigarsi, ma è crollata la quota (66 per cento) di chi al semaforo accelerava con il giallo.
Certo, si è esagerato: Datamedia ha presentato la patente a punti come un modello di buon governo e molti l’hanno salutata come un’iniezione di civismo e di senso della responsabilità collettiva. Discorso scivoloso dal momento che il vero grande messaggio lanciato e raccolto con la patente a punti è che non basta pagare per poter fare ciò che si vuole. L’esatto contrario di quanto il governo insegna e pratica in campo fiscale, edilizio e sociale in genere. Ma questo è un altro discorso. Certo le cifre trionfalistiche di fine estate - 25/30 per cento di vittime e incidenti in meno e miliardi di euro risparmiati dalla collettività - sono già limate dai fatti e infatti i Tg non le forniscono più. Ma la patente a punti c’è e funziona, ha spezzato l’idea di potersi comprare l’impunità al volante. Funziona come un bluff vincente. Bluff non è necessariamente una cattiva parola, sinonimo di inganno, di tronfia apparenza sotto cui non c’è nulla. Bluff può essere una strategia, un colpo da assestare al momento giusto e nelle condizioni propizie. Non esiste infatti sistema di repressione in grado di garantire la capillarità dei controlli sulle strade, saranno sempre in qualche modo a campione e affidati al caso. Eppure il bluff ha indotto gli italiani a non rischiare la posta della patente.
Ce n’è ancora di confini: uno è quello del buon senso e separa il bluff virtuoso da quello odioso. L’Autovelox nello svincolo dove il limite scende a 40 all’ora, il verbale per la cintura non allacciata mentre stai parcheggiando sono esempi, per fortuna rari, di gratuita volontà afflittiva. Poi c’è la frontiera oltre la quale la patente a punti c’è ma non si vede. In molti sorpassi, spesso senza saperlo, si rischia in teoria da 2 a 10 punti, basta non cambiare di corsia a tempo o non essere veloci con la freccia. Se tutti i divieti di sosta gravi fossero sanzionati, milioni di patenti si vaporizzerebbero, ogni doppia fila dovrebbe costare, e purtroppo non costa, due punti. Per non dire delle distanze di sicurezza. Vasta è la terra entro la quale la patente a punti è sistema gassoso e impalpabile. Si vedrà come andrà a finire con il giubbotto catarifrangente: al momento la psicologia di massa stressata dall’aumento del costo della vita, considera quell’esborso una tassa mascherata da evitare. E infine la terza incognita e al momento paludosa e inesplorata del cosa succede davvero dopo. Dopo i venti punti di penalizzazione, la patente te la tolgono davvero? Sì, ma calcoli acconci stimano ci vogliano quasi 18 mesi. Troppi: la credibilità del bluff si annacqua. E i corsi di recupero esistono davvero? Ai 6334 guidatori "tagliati" di 24172 punti al 20 settembre è stato detto di sì. Ma nelle autoscuole la musica è un’altra: ´Siamo quasi prontiª. E cosa saranno quei corsi, non rispunterà la pratica del pago e mi assolvono, davvero la frequenza sarà obbligatoria una volta divenuto il corso una transazione economica tra privati?
Sono trascorsi quattro mesi, la gerarchia degli umori, dei luoghi comuni e degli interessi collettivi è tornata quella usuale che l’estate aveva capovolto. Giù dal podio o quasi il dibattito sul tempo e sul caldo e quello sulla patente a punti, prezzi dei generi alimentari e campionato di calcio si sono ripresi i posti d’onore, insieme all’odio pubblico e all’amore privato per i condoni. L’uomo senza cintura non è più l’uomo senza coscienza e qualità che è stato per qualche settimana, il teppista vincente non è più chi salta il semaforo ma chi ha allargato casa al mare e in città. Eppure dell’estate dell’auto e degli automobilisti italiani non sono rimaste solo le multe raddoppiate, in alcuni casi fino al confine dell’estorsione. E’ rimasta la grande lezione che ci siamo dati tutti vicendevolmente: sia pure tra qualche bugia propagandistica di troppo abbiamo trovato, quasi per caso, una nuova etica del comportamento. Abbiamo abbassato la soglia del rischio, non alla ricerca della sicurezza né per sopravvenuta socialità e responsabilità. E’ bastato dirci che l’immunità e l’impunibilità non è una questione di prezzo.
Peccato che ce l’abbiano detto solo in quanto automobilisti, garantendoci invece che in quanto cittadini vale la legge contraria, quella del tariffario che ci consente ogni infrazione al contratto sociale.
MINO FUCCILLO
Mercoledì, 03 Dicembre 2003
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