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Notizie brevi 02/12/2003

Parma - CONVEGNO AMI

 

CONVEGNO AMI
(Associazione Motociclisti Incolumi)
PARMA 29.11.2003
Intervento di Lorenzo Borselli a nome dell’ASAPS

PARMA - Porto innanzitutto i saluti del Presidente dr. Giordano Biserni, assente oggi per altri impegni già assunti e che ha delegato me a rappresentare l’Asaps, che non poteva certo mancare ad un’occasione così importante.
Infatti sono presenti molti rappresentanti degli enti che si sono volontariamente assunti il difficile compito di combattere una battaglia.

Una battaglia cruenta, che ogni giorno lascia sul terreno 19 morti e migliaia di feriti.

Per richiamare all’attenzione anche i più distratti, vista l’ora, ricordo che 19 è il numero dei nostri soldati caduti nel tragico attentato di Nassiriya, ma i morti sulla strada cadono per scopi senza dubbio meno nobili. Anzi, senza uno scopo.

Noi dell’Asaps, oggi, siamo chiamati a fornire il nostro contributo e quindi ad esporre il nostro parere sulla sicurezza di chi, invece che stringere un volante impugna un manubrio.

Chi vi parla è motociclista da una vita e vi garantisco che non c’è lembo di strada asfaltata o sterrata in Europa, e anche di qualche deserto africano, su cui io non abbia messo le mie ruote.

Sono anche vittima della strada però, perché in agosto, durante un viaggio, sono stato investito da un altro motociclista ubriaco che percorreva contromano la mia corsia. Sono vivo grazie ad una macchina che mi ha tenuto in vita, ma sia io che la mia compagna abbiamo subito danni irreversibili.

E sono sovrintendente della Polizia di Stato, in servizio della Stradale da molto tempo e quindi, a pieno titolo, esperto dello scenario infortunistico: ho visto e rilevato incidenti di ogni tipo.

Per questo condivido la vostra battaglia, come la condivide la mia associazione, che oggi svolge un’importantissima e indiscutibile funzione di "agenzia della sicurezza stradale".

Veniamo interpellati sempre più spesso e ci vengono chiesti pareri; siamo su Internet, abbiamo una rivista, Il Centauro, e 25mila soci, molti dei quali in divisa, sparsi in tutta Italia, che ci trasmettono quotidianamente la propria esperienza: questo ci consente di avere sempre il polso della situazione.

Ecco perché condividiamo la vostra battaglia.

"Condivisione" è un concetto essenziale e se non convinciamo il pubblico che la sicurezza stradale è un patrimonio globale, non andremo da nessuna parte. Affinché la nostra battaglia sia vinta dobbiamo ottenere la condivisione di quella che noi definiamo l’utenza della strada: "vado piano perché è nel mio interesse", "rispetto la regola perché è nel mio interesse".

Così oggi: si parla di guardrail e di protezioni, che debbono tutelare la sicurezza passiva di chi circola sulla pubblica strada, in sella ad una moto.
E la sicurezza attiva? Nessuno può negare che se viaggiassimo tutti ad una velocità più moderata le conseguenze in caso di chi impatta contro un ostacolo fisso, sia questo anche una qualsiasi barriera di contenimento, sarebbero sicuramente meno gravi.
D’altra parte è impensabile che ogni strada del mondo civile possa un giorno essere sicura come le piste di velocità, che comunque non sono immuni da tragedie, come ci insegna il terribile incidente che in questa stagione ha causato la morte del campione giapponese Kato, che comunque è finito contro un muretto che non ci doveva essere.
Quel terribile schianto ripreso in diretta ha dimostrato che non esiste un "isola che non c’è". Quando si spinge al massimo il rischio è esponenziale e lo dimostra l’esperienza dell’Isola di Mann.
Condivisione, dunque, anche dell’attività repressiva. Si pensi alla Patente a punti... la flessione della mortalità, dell’incidentalità e della trasgressione è un fatto accertato, così come è accertato che il trend si sia interrotto e che stiamo assistendo oggi ad una preoccupante retromarcia.
L’esperienza della Francia ci conferma che una stabilizzazione della tendenza era da prevedere, perché fisiologica: i nostri cugini transalpini, dopo l’entrata in vigore della patente a punti hanno registrato un calo iniziale del ‚25% della mortalità, dell’incidentalità e della trasgressione, stabilizzandosi poi al ‚10%, ma è possibile che in Italia la retromarcia sia ancora più marcata.
Questo dato ci giunge dalla Consulta Nazionale per la sicurezza stradale, di cui l’Asaps fa parte.
Scegliendo di tralasciare i dati relativi ai sinistri con feriti, che subiscono maggiormente le dinamiche assicurative, e tralasciando il numero complessivo dei morti, che nel breve periodo può subire maggiori influenze di altri fattori non comportamentali, abbiamo confrontato il numero degli incidenti mortali rilevati complessivamente dalla sola Polizia Stradale nei mesi del 2003 posteriori all’entrata in vigore della patente a punti con i corrispondenti mesi del 2002, potendo osservare rispettivamente una riduzione:

- del 31,2 % nel mese di luglio
- del 29,7 % nel mese di agosto
- del 14,8 % nel mese di settembre
- del 5.6 % nel mese di ottobre.

Si tratta di un calo di efficacia impressionante. Nei primi giorni di novembre, cioè durante il week-end dei Morti, e nelle settimane successive la riduzione è sembrata nuovamente più consistente (facendo ipotizzare un effetto più persistente della patente a punti sui guidatori non abituali).

Ma perché questa possibile perdita d’efficacia? Vi spiego:

La patente a punti italiana prevede la restituzione automatica dei punti, in base alla semplice frequenza di corsi meramente informativi. è sufficiente cioè frequentare, magari leggendo la Gazzetta dello Sport, per tornare in possesso del punteggio sottratto.

Ancor peggio, qualora la restituzione di sei o nove punti non bastasse al conducente molto più trasgressivo, la normativa italiana prevede che l’intero ammontare dei venti punti possa essere recuperato con un esame di scuola guida, reputato molto più facile di quello iniziale.

Se si pensa che la perdita dei punti non può mai essere superiore a quindici per volta, è chiaro che ha ragione l’autorevole mensile "Automobilismo", che in copertina ha dichiarato spavaldamente, ma ragion veduta, "Vi spieghiamo perché nessuno resterà a piedi".

Quella spiegazione è così facile che l’effetto deterrente si sta esaurendo in poco tempo, e con esso i miglioramenti comportamentali.

Senza contare poi che manca ogni disposizione in merito a chi dovrà controllare (e come) le autoscuole: siamo poliziotti e "pensiamo male", forse, ma visti gli interessi in ballo c’è da scommettere che le inchieste giudiziarie si moltiplicheranno, attorno a quello che potrebbe essere un giorno un "fiorente mercato dei punti".

Secondo il DM sull’accreditamento dei corsi per il recupero dei punti, vediamo infatti che i requisiti richiesti a coloro che dovranno tenere i corsi sono un’aula, un bagno, una videocassetta.

La legge non fa alcun riferimento, come invece accade in tutti gli altri Paesi a mobilità matura , a ciò che è realmente essenziale, come hanno dimostrato in altra sede gli psicologi del traffico: il materiale psicodiagnostico per il triage iniziale e poi quello successivo al driver improvement and rehabilitation; cose di cui neppure si accenna nel decreto italiano.

Vorremmo, noi dell’Asaps, avere la certezza che qualcuno terrà sotto controllo i recidivi, per capire se qualche corso sarà "meno efficace di altri", ed evitare che da qualche aula "disinvolta" possano uscire sistematicamente pirati della strada "abituali, di professione o per tendenza": in tal caso vorremmo che a questi signori, improvvisamente professionisti della rieducazione stradale, venisse impedito di proseguire la propria opera.
All’estero non si corrono certi rischi. In paesi come la Francia il legislatore ha affidato i corsi per il recupero dei punti a professionisti altamente formati.

C’è infatti da segnalare che la politica francese in tema di sicurezza stradale è quantomai combattiva e portata avanti con forte determinazione da Chirac stesso, tanto che nel luglio scorso il capo dell’Eliseo ha detto ai giornali che "...i francesi debbono sapere", riferendosi alla portata della strage quotidiana.
In Francia l’educazione stradale è presente anche nelle lezioni dei catechisti, secondo una precisa direttiva della Conferenza Episcopale transalpina.
In Italia? Il CDS lo prevede ma non mi risulta che ci sia un programma ministeriale: chi insegna il comportamento sulla strada in una scuola, lo fa autonomamente e con risorse limitatissime: al riguardo vorrei specificare che la Polizia Stradale e la Polizia Municipale svolgono un ruolo importantissimo, rispondendo spesso ai richiami di presidi e direttori e prestando la propria opera di docenza qualificata ed autorevole.
In Francia, aggiungo, i pochi organi di polizia deputati al controllo (solo tre! Police Nationale, Gendarmerie e Police Local) possono contare su una normativa a favore della certezza della sanzione. Chi sbaglia paga, punto.

Vi è dunque la necessità, qui in Italia, di raggiungere una cultura della condivisione cominciando dalle scuole e dalle scuole guida per arrivare sulla strada. Non può esserci il neopatentato ad litteram. Il neopatentato deve avere certe nozioni nel proprio bagaglio culturale e tradurle in comportamenti.
Solo così l’utente della strada potrà condividere la necessità di rispettare una regola: la rispetterà il cittadino, che poi è conducente, ma anche poliziotto e giudice (di pace), conducenti a loro volta: perché se è vero che è deprecabile la politica di qualche piccolo comune che piazza l’autovelox come una sorta di dazio da pagare, è vero che non si può distruggere per un cavillo l’attività di chi cerca di contrastare un fenomeno pericoloso per la società come quello della trasgressione sulla strada.
Quando condivideremo la giustezza della sanzione allora saremo abbastanza maturi per circolare con civiltà e allora vedremo il numero dei morti sulle strade diminuire e restituire al sostantivo "incidente" la propria accezione, che oggi è ben altra, che oggi è "consuetudine".

Perché, parliamoci chiaro, che se è vero come dite che 1500 motociclisti muoiono ogni anno sulle strade, è vero anche che non tutti questi motociclisti muoiono per la buca, per il paletto, per il guardrail o per la gestione selvaggia della segnaletica, sulla cui manutenzione e sistemazione, qui in Italia pare d’essere davvero nel terzo mondo.
Soprattutto, va detto, fuori delle autostrade, dove sarebbe ora di intervenire con finanziamenti adeguati proprio nel sistema infrastrutture stradali.
E’ bene ricordare qui e ora che nelle cosiddette "altre strade", escluse cioè quelle urbane e le autostrade, cioè le statali e provinciali si conta solo (si fa per dire) il 17,7% di incidenti, ma con ben il 42,7% di morti e il 20% di feriti (dai ISTAT 2001).

Anche sulla segnaletica orizzontale e verticale si dovrà porre ordine e rinnovare, perché non è possibile continuare e vedere una jungla di segnali spesso contraddittori e inutili che ne legittimano la sistematica violazione.
E poi si muore anche perché si passa col rosso, perché si beve troppo o ci si droga, perché si sorpassa, perché non indossiamo caschi e cinture, perché ci fermiamo in corsia d’emergenza per telefonare o perché si deve scaricare il camion entro un certo orario. Si muore perché nel tentativo di salvarsi da un banale incidente si cade dal viadotto senza reti di un’autostrada!

Sono tutte piccole percentuali, che insieme fanno grandi cifre... sono tutte battaglie di una guerra che noi combattiamo, e il nostro archivio, a disposizione di tutti, lo dimostra.
Cultura della condivisione, dunque. Se non siamo tutti d’accordo che la strada è il primo luogo ove si muore, ormai, non andiamo da nessuna parte.
Si deve condividere una strategia, devono giungere risorse, devono coincidere gli obbiettivi.
Guardate che differenza:
Caso 1: i comuni di Firenze e Sesto Fiorentino hanno investito considerevoli cifre per piazzare nelle strade più rischiose, quelle in cui si muore di più, moltissimi autovelox fissi.
Sono presegnalati, sono visibili e in funzione h24: bene, su quelle strade la mortalità è oggi a zero, e il risultato è stato centrato in appena due anni.
Caso 2: il comune di San Casciano ha alcuni chilometri del suo territorio tagliati dall’Autopalio. Ogni giorno o giù di lì, due agenti della polizia municipale ci piazzano l’autovelox, nascosto su una panda bianca senza contrassegni.
Questa non è prevenzione, anche perché su quella strada la vigilanza e il pronto intervento sono espletati dalla Polizia Stradale di Firenze, Siena e Grosseto.
Nessun’altra forza di polizia interviene su quella strada, e su tutte le altre extraurbane principali, per fare prevenzione, farsi vedere, fare controlli ai trasporti pesanti, o rilevare incidenti; per non parlare dell’etilometro, perché i proventi di tale violazione, tornata di competenza del Tribunale, finiscono nelle casse dello Stato e non degli enti locali.

Sui limiti:

potremmo paradossalmente noi di Asaps essere d’accordo sull’innalzamento di qualche limite: infatti è vero che per alcune statali larghe 6 metri e fiancheggiate da alberi di alto fusto il limite generale di 90 km/h è eccessivo e pericoloso e andrebbe ridotto a 70 km/h, ma è anche vero che alcuni limiti di 50 km/h di strade urbane periferiche rettilinee e di raccordo, potrebbero essere elevati almeno a 60 km/h o a 70.


Per quanto riguarda l’autostrada, la questione è diversa, perché se qualche società concessionaria che disponga di tratti con le caratteristiche previste deciderà di innalzare i limiti, allora vorrà dire che potremmo tirare le utilitarie a manetta e sfiorare i 200 all’ora prima di commettere un’infrazione da ritiro di patente. Tenersi sui 190 significherà perdere un paio di punti e basta.

E che dire poi degli assurdi limiti di 30 km/h posizionati poi abbandonati e dimenticati per mesi con il risultato di delegittimare tutto il sistema segnaletico?

I limiti devono essere posti in modo che siano credibili e fatti poi osservare.

Su questo aspetto ribadisco la posizione dell’ASAPS: i sistemi di controllo della velocità devono essere severamente attivati, ma solo nei punti individuati dal Prefetto e contraddistinti da un pregresso elevato e documentato tasso di sinistrosità.

Proponiamo una robusta cura a base di autovelox, telelaser e simili? Sì, purché non vengano sistemati su un largo rettilineo col limite di 50 km/h dove negli ultimi 5 anni si sono verificati 2 incidenti senza feriti

In questi casi l’attività dei misuratori serve solo a far cassa, non a realizzare sicurezza come invece prescrive il CdS.
Esiste poi anche un’inflazione delle divise. Ma quante ce ne sono? Troppe, scoordinate e tutte improvvisamente deputate al controllo della strada, che pure richiede un patrimonio nozionistico immane: si pensi al controllo merci, da quelle generiche a quelle pericolose, al trasporto rifiuti a quello degli animali, e via di seguito.
La polizia stradale si fa h24. Non 8-20 e la polizia che effettua una vigilanza stradale deve essere affidabile e competente: pensiamo ovviamente alla nostra specialità, che dispone di una scuola di altissimo prestigio, il Caps di Cesena, punto di riferimento di tutte le polizie stradali. La Polizia Stradale, non dimentichiamolo, ha una struttura che se, fosse in organico, potrebbe da sola controllare tutte le maggiori arterie, istituire servizi specialistici in routine e chissà quant’altro.
Ma a tal proposito si è persa ancora una volta l’occasione di ripianarne l’organico. In compenso si continuano ad inventare figure ausiliarie della sicurezza, della circolazione e quant’altro. Molte sembrano più ausiliarie delle amministrazioni locali che della sicurezza.

La scorsa estate con un velocissimo provvedimento legislativo il Governo ha previsto l’assunzione di 1000 agenti per la polizia dell’Immigrazione. Settore sicuramente delicato e importante. Perché non si è colta l’occasione anche per ripianare l’organico della Specialità? Quando la spinta politica è forte come nel settore dell’immigrazione i provvedimenti si adottano subito e si trovano fondi in finanziaria. Cosa dobbiamo pensare? Che la sicurezza stradale conta poco?
Chi poi lotta per uno scopo come il nostro deve poter disporre di dati precisi: quelli relativi alla sinistrosità, per esempio ‚ come ha riferito di recente il Prof. SAI, coordinatore della Consulta ‚, appaiono sottostimati del 30%.
E si deve comprendere che "là fuori" non muoiono solo i ragazzi al sabato sera. Si muore per andare a scuola o al lavoro, in vacanza, in città, sulle strisce. Si muore in moto perché ci sono persone che della patente non hanno più i requisiti, ma anche perché molti smanettoni se ne fregano, dobbiamo dirlo, del fatto che il Muraglione o il Bracco non sono circuiti.
La strada è un luogo pubblico, dove tutti hanno il diritto di viaggiare, di passeggiare, di circolare: Asaps ha persino proposto provocatoriamente di chiudere certi passi di montagna al traffico ordinario per consentire qualche piega in libertà, ma mai potremmo destinare queste strade ai gran premi fatti in casa.
Nei 15 stati dell’Europa si verificano ogni anno 1milione e 300mila incidenti, nei quali restano sul terreno oltre 40mila persone mentre 1milione e 700mila riportano feriti.
Ma lo sapete quanto costa alla società in termini di PIL e in termini umani una strage del genere?
Ve lo diciamo noi:
ci sono da considerare costi diretti (ad esempio il consumo delle risorse per il ricoverato da parte del SSN), costi indiretti (ad esempio perdite di produzione in termini di unità assenti a lungo termine o scomparse) o i costi intangibili come lo stato di salute, la sofferenza, la qualità della vita.
Un morto di giovane età costa alla nostra comunità qualcosa come 920mila euro: se si prendono per buoni i dati più ottimisti parliamo di 6miliardi 886milioni 950mila euro!
Un invalido grave costa invece circa 210mila euro. Sono cifre da capogiro: il passivo di uno stato lo si raggiunge anche così... è denaro sottratto al PIL, senza contare ovviamente il costo in termini umani.
Salvare vite sulla strada significherebbe recuperare molti miliardi di euro, ma anche ottenere una diretta riduzione del consumo delle risorse di pregio: sangue, equipe specialistiche, mezzi... e inoltre consentirebbe una riallocazione delle risorse di pregio, come i posti letto in rianimazione, l’utilizzo delle sale operatorie, il personale delle fisioterapie: risorse di pregio che porterebbero indirettamente a potenziare i cosiddetti settori speciali.
E allora, come centrare il nostro obiettivo? Se davvero è un obiettivo comune, che condividiamo, serve una strategia comune che parta dalla consapevolezza che si deve andar piano.

E ribadiamo che saranno essenziali 3 elementi: 1) costanti e severi controlli sulle strade; 2) una banca dati perfettamente oleata e funzionante; 3) celerità ed equità nei giudizi dei Giudici di Pace.

Insomma la sicurezza stradale è una scommessa ancora tutta da giocare, si vede qualche segnale positivo, ma per una svolta decisiva serve lo sforzo, la convinzione e il senso di responsabilità di tutti.

Martedì, 02 Dicembre 2003
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