Travolta e uccisa da una bicicletta: per i giudici è omicidio stradale
Firenze, 4 ottobre 2017 - LA LEGGE sull’omicidio stradale (25 marzo 2016) era entrata in vigore neppure da un mese quando Maria Antonietta Mancinelli, ultrasettantenne, fu presa in pieno da una bici guidata da M.M., 30 anni. Morì pochi giorni dopo in ospedale. Quasi un paradosso: una delle prime vittime della strada dopo la stretta legislativa contro gli incoscienti alla guida, centrata da una due ruote. La ciclista responsabile di quell’investimento, che non ha potuto invocare attenuanti, tanto è chiara la dinamica del sinistro, ha ora patteggiato la pena: 1 anno e 4 mesi. Però i parenti della pensionata non hanno diritto al risarcimento: la ‘pena applicata su richiesta delle parti’ esclude le parti offese dalla possibilità di costituirsi parte civile.
Per di più, guidare un bicicletta non obbliga il conducente a stipulare una polizza. I congiunti della vittima potranno, al più, se lo vorranno, rivolgersi al tribunale civile. L’incidente mortale si verificò in via Elbano Gasperi, zona via delle Cento Stelle-Campo di Marte, il 15 aprile dell’anno scorso. La signora in bicicletta si girò per vedere se alle sue spalle sopraggiungeva un bus, l’11 in particolare che in fase di sorpasso – di quella bici come di altri mezzi – avrebbe rappresentato un pericolo anche perché la carreggiata, in quel punto, non è particolarmente ampia. Distrazione fatale: Maria Antonietta Mancinelli fu travolta mentre attraversava e M.M. non fece in tempo a scansarla. Nell’immediato le conseguenze dell’investimento non sembrarono particolarmente gravi; nonostante l’immediato ricovero in ospedale il quadro clinico purtroppo si aggravò in maniera repentina, drammatica. Un’emorragia sottodurale come conseguenza dell’impatto, dell’urto e della caduta a terra, comprovata dall’autopsia disposta dal pm Andrea Cusani, stroncò la pensionata.
OMICIDIO stradale dunque, per aver commesso il quale l’imputata – difesa dall’avvocatessa Ilaria Nannini – ha patteggiato la pena in accordo con il pubblico ministero, il sostituto procuratore Leopoldo de Gregorio. Applicata la pena minima: 2 anni, con la riduzione fino a 1/3 della stessa per la scelta del rito detto ‘premiale’, fa per l’appunto 1 anno e quattro mesi, senza dibattimento né attenuanti. Ma esclusa anche – proprio per la scelta del rito alternativo – la possibilità per le persone danneggiate (in questo caso i parenti della vittima) di costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento del danno.
VICENDA singolare che offre più spunti di riflessione: sulla impossibilità di risarcire le vittime indirette in alcuna maniera perché per andare in bici l’assicurazione non è obbligatoria. E per l’esclusione delle parti civili quando una pena è patteggiata. Potrebbe essere avviata, semmai, un’azione davanti al giudice civile. Ma la trentenne, rimasta molto colpita dall’incidente, è al momento disoccupata. Il caso richiama anche altre questioni sulle quali cittadini, amministrazioni e associazioni di utenti della strada dibattono in maniera serrata: le regole della buona condotta e della buona creanza da parte di chi abitualmente si serve delle due ruote. E l’ormai annosa questione delle piste ciclabili: M.M. percorreva una strada ‘normale’, sprovvista dell’apposita corsia riservata ai ciclisti, con il cuore in gola al pensiero di essere travolta da un bus. Quell’affanno, purtroppo, è ricaduto su una persone indifesa.
Giovanni Spano
da lanazione.it
Guidare un bicicletta non obbliga il conducente a stipulare una polizza. I congiunti della vittima potranno, al più, se lo vorranno, rivolgersi al tribunale civile. (ASAPS)