di Sergio Ricchitelli*
La riforma delle intercettazioni: punti critici e profili di incostituzionalità
1. Il sistema delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni delineato nel codice di procedura penale italiano vigente dal 24 ottobre 1989 è stato plurimamente integrato nel corso degli anni da una congerie di disposizioni normative, funzionali ad adattarne l’impianto alle mutate esigenze sociali ed investigative1.
Si pensi per tutte alla legge 20 giugno 2003, n.240 in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato; alla legge – sempre per mantenerci nelle novità del terzo millennio – 18 aprile 2005, n.62 nel cui art. 9 comma 5 ha inserito, tra le fattispecie suscettive di intercettabilità, l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato; la legge n.38 del 6 febbraio 2006, relativa al materiale pornografico di cui al’art.600-quater punto 1 del codice penale; il decreto legislativo n.39 del 4 marzo 2014 in tema di intercettazione per fatti di cui all’art.609-undecies codice penale. Il tutto a tacere degli innesti nel catalogo ex art.266 c.p.p. quali ad esempio quelli di cui alla legge n.9 del 14 gennaio 2013 per i delitti di adulterazione e/o di frode commessi, al fine di conseguire un ingiustificato profitto, con più operazioni ed attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate (artt.444, 473, 474, 515, 516 e 51-quater del codice penale).
L’ho detto si tratta di mere esemplificazioni; tutte palesanti la circostanza che la materia non è inattaccabile o “legislativamente inaggredibile” bensì variamente modulabile per i fini per cui è stata regolamentata2...
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Riflessioni su una legge discussa. (ASAPS)