Milano, il figlio dell’anziano ucciso dal pirata della strada: «Non chiamatelo incidente, è omicidio»
«Sono trascorsi appena cinque giorni eppure, in giro, io certi ragionamenti già inizio a sentirli. Per esempio che sì, d’accordo con tutto, però aveva comunque 88 anni, e che magari se fosse stato attento ad attraversare, insomma se avesse proseguito sul marciapiede fino a un semaforo, forse non sarebbe successo niente, e ancora che è stato un incidente, capita, e che quella persona, che non voglio neanche nominare, non si è fermata perché può darsi non si sia manco accorta... Ora, non sono il tipo che urla e fa le scene, non mi vedrà inseguire i riflettori o picchiare i pugni: però ci stiamo dimenticando i fatti e siccome, lo ripeto, sono trascorsi appena cinque giorni, sia mai che questa persona, un giorno non lontano, se ne giri liberamente, o approfitti di questa situazione per cercare la ribalta e la tragedia passi così com’è arrivata: all’improvviso, di colpo».
>FOTO - Anziano travolto e ucciso sulle strisce a Milano, preso il pirata della strada
Massimo Orlandi, 62 anni, è figlio di Sandro, ucciso alle 20.05 di sabato in via Michelino da Besozzo da Alessandro Ghezzi, il 44enne che guidava ubriaco, con la patente scaduta, senza assicurazione, e che ha lasciato agonizzare l’anziano sull’asfalto, tornando a casa e andandosene a dormire. Massimo è difeso dall’avvocato Domenico Musicco, presidente di Avisl, l’associazione vittime incidenti stradali, sul lavoro e malasanità.
Prima di ridare la parola al figlio, ascoltiamo il legale: «Abbiamo fiducia nella magistratura», dice Musicco, «sia nelle prossime fasi quando sarà esaminata la richiesta dei domiciliari, perché parliamo di un soggetto pericoloso che potrebbe reiterare il reato, sia più avanti a processo quando chiederemo il massimo della pena considerati gli elementi emersi dalle indagini». E da questi elementi partiamo nella conversazione tra il Corriere e Massimo Orlandi.
Quando ha saputo?
«Mio papà si è spento a metà strada tra la sua casa e la mia. Mi ha chiamato la gente del quartiere, sono sceso e l’ho trovato in quelle condizioni...».
Chi era suo papà?
«Tre anni fa era morta mia mamma. In pochi giorni, tra Natale e Capodanno: leucemia. Dopo quella perdita, papà si era immalinconito. Ma da qui a sostenere che fosse un uomo solo, come ho letto da qualche parte... Non era solo: c’eravamo io e mia moglie, c’erano i suoi amici. Ha passato l’esistenza a faticare. È stato un operaio. Un uomo senza grilli per la testa, ancorato alla realtà, semplice».
L’hanno messa a conoscenza degli sviluppi delle indagini?
«La polizia locale mi ha aggiornato in continuazione. Fino alla scoperta definitiva delle condizioni di guida di quella persona... Del fatto che s’è opposta all’alcol-test... Del fatto che aveva la macchina danneggiata in conseguenza dell’urto con papà... Del fatto che andava a ottanta all’ora... Del fatto che mio padre è stato sbalzato come fosse un pupazzo... Si tratta di omicidio, non di un incidente. Omicidio stradale, certo, ma sempre omicidio. Credo che questo debba essere molto chiaro, in ogni sede di valutazione».
Cos’è soprattutto, oltre al dolore: l’indignazione, la rabbia, la sete di vendetta?
«No, non sono il tipo da vendetta, non so proprio cosa sia. Sono fatto come sono fatto, anche grazie agli insegnamenti e al modello dei miei genitori. C’è il senso della perdita, tremendo, ci sono lo strazio per come papà è morto e la speranza, così almeno mi hanno assicurato, che è stato un attimo e non se n’è accorto... Uno non è mai pronto alla perdita di un genitore, anche se è nell’ordine della vita. E non è una questione d’età. Ma vede, quella persona non si è fermata. Non ha avuto un lampo di coscienza, non è scesa per capire come stesse papà, non ha chiamato i soccorsi».
Quali sono le sue aspettative sull’iter giudiziario?
«Non sono nessuno, non voglio sostituirmi a chi dovrà decidere, non pretendo che il mondo si fermi per me. Però è una questione di rispetto: rispetto per mio padre e per i tanti altri uccisi in questo modo. Dopodiché siamo al termine della conversazione, anzi ai saluti, e lei non mi ha posto una domanda».
Che tipo di domanda?
«Se un domani, nel caso si presentasse l’occasione, sarò mai disposto a perdonare... Ecco, se dovesse avvenire, se quella persona dovesse chiedere scusa, io mi prenderei un minuto di tempo, ricorderei la patente scaduta, l’assicurazione assente, la corsa a ottanta all’ora, l’omissione di soccorso, convinto che, con questa premessa, quella domanda non verrebbe fatta. Perché non avrebbe senso».
di Andrea Galli
da corriere.it
Piena solidarietà a Massimo Orlandi, figlio di Sandro, travolto alle 20.05 di sabato da un 44enne che guidava ubriaco e con patente scaduta, e che lo ha lasciato lì ad agonizzare. (ASAPS)