Guidare
quando piove è pericoloso. Ma capire quali principi fisici
stiano alla base della perdita d’aderenza e dello slittamento del
pneumatico sul bagnato non è affatto banale. C’è riuscito
un gruppo di scienziati tedeschi e italiani, tra cui due ricercatori
della SISSA di Trieste, che nel numero di Nature Materials uscito
on-line lo scorso 7 novembre spiegano il meccanismo della perdita
d’attrito sull’asfalto bagnato, elemento fondamentale per la sicurezza
nella guida e probabilmente per l’evoluzione futura di tecnologie
come quelle impiegate in Formula 1.
In realtà, ciò che succede su strade molto allagate
con velocità superiori ai 60 km/h era già chiaro in
precedenza: in questo caso la pressione del pneumatico non è
sufficiente a far schizzare via il velo d’acqua dall’asfalto e si
verifica il famigerato fenomeno dell’acquaplaning, lo scivolamento
incontrollato dell’auto sulla pozzanghera.
Ma a basse velocità e in presenza di poca acqua sul manto asfaltato
le cose sono un po’ diverse ed è proprio questo aspetto che
è stato preso in considerazione nella ricerca. "Ciò
che si credeva è che a basse velocità la perdita d’attrito
sul bagnato fosse dovuta a una riduzione dell’adesione del pneumatico
all’asfalto, come se l’acqua fungesse da lubrificante. Mentre questo
è vero per l’olio, che essendo viscoso non può essere
spremuto via, è un pregiudizio ingiustificato per l’acqua che
lo è molto meno" dice Erio Tosatti, uno dei ricercatori
della SISSA, oltre che del Centro Internazionale di Fisica Teorica
e del Centro Democritos di Trieste.
La rugosità del manto stradale produce attrito poiché
la gomma penetrando dentro le asperità della superficie stradale
subisce una deformazione che si propaga al suo interno. Dato che la
gomma è viscoelastica, l’energia spesa per provocare le oscillazioni
dentro il pneumatico si dissipa in calore, e ciò si traduce
in attrito. Ed è solo grazie a questo meccanismo di smorzamento
"profondo" che lo si può calcolare, conoscendo la
funzione di risposta interna della ruota. Il calcolo funziona benissimo
quando la strada è perfettamente asciutta e per l’industria
ciò è molto importante perché permette di trovare
migliori soluzioni di stabilità e d’efficienza per pneumatici
e asfalti.
Ma cosa succede quando piove? La rugosità effettiva dell’asfalto
si riduce: l’acqua si raccoglie in tante piccole pozzanghere di diverse
ampiezze, determinate dalla conformazione del fondo stradale che visto
al microscopio quando è asciutto presenta un profilo formato
da picchi e asperità su tutte le scale di lunghezza, dal centimetro
al micron. In alcuni di questi laghetti il pneumatico non riesce a
penetrare perché la gomma fa da sigillo e l’acqua non riesce
a uscire.
Il risultato è che la rugosità si annulla su tutta l’area
della micro-pozzanghera, e con questa la stabilità della gomma
in quel punto.
"Per questo motivo è necessario calcolare il profilo di
rugosità", precisa Tosatti "A partire dallo spettro
misurato delle asperità si può calcolare l’allisciamento
creato dall’acqua e di conseguenza prevedere la riduzione d’attrito.
Digitalizzando al computer lo spettro dell’asfalto e poi riempiendo
teoricamente tutte le micro-pozzanghere abbiamo ottenuto una superficie
meno rugosa. In questo modo è facile calcolare il coefficiente
d’attrito della gomma sul bagnato e confrontarlo con quello asciutto
in funzione della velocità. Il grosso risultato è che
questo calcolo mostra senza ambiguità una perdita d’attrito
sul bagnato pari al 20-30%, valore perfettamente uguale al
dato empirico e sperimentale, e soprattutto spiega il perché
del fenomeno".
Adesso la palla passa a ulteriori studi sperimentali che dovranno
verificare il meccanismo di sigillo delle micro-pozzanghere; successivamente
toccherà agli ingegneri pensare a nuove soluzioni per progettare
pneumatici e strade più sicuri.