BADIA
POLESINE Era al volante in stato di ebbrezza e invase la
corsia opposta: se la cava patteggiando la pena |
Rovigo
- I
segni di quell’incidente li porta nel fisico ma anche, e soprattutto,
nel cuore. Di quella maledetta sera del 28 dicembre di un anno fa
ha una sola immagine: il marito immobile sul sedile accanto al suo.
"Non sembrava morto e continuavo a chiamarlo", racconta Adriana Padovani,
impiegata di Badia Polesine. Ieri mattina il ventunenne che provocÚ
l’incidente nel quale perse la vita Gianfranco Rigolin, che domenica
scorsa avrebbe compiuto 48 anni, davanti al giudice per l’udienza
preliminare Paola Palladino si è accordato con il pubblico ministero
Silvia Ferrari per una pena di otto mesi di reclusione, con la sospensione
condizionale, e quattro mesi di ritiro della patente. Eppure quel
giorno Michele Senno, residente a Lusia, stava guidando l’auto
in stato di ebbrezza (aveva un tasso alcolemico di 1,38 contro un
massimo consentito di 0,50) e senza rispettare i limiti (viaggiava
a 73 chilometri orari in centro abitato). "Di fronte a certe
cose si resta male", commenta l’avvocato Tamara Fattore, legale della
moglie di Rigolin che si è costituita parte civile. "Non è stata fatta
giustizia", rincara Adriana Padovani. Che poi aggiunge: "Quello che
mi lascia senza parole non è tanto la pena di otto mesi di reclusione,
visto che in carcere per fatti come questo non ci va nessuno. No,
quel che mi fa rabbia è che questo ragazzo possa ritornare a guidare
ancora. In circostanze simili la patente uno non dovrebbe
più averla. Posso capire la fatalità, ma mettersi in macchina sotto
l’effetto dell’alcol non è in alcun modo giustificabile". L’incidente
era avvenuto alle 21 sulla provinciale 88, all’altezza della ditta
Bedendo. Marito e moglie stavano rincasando sulla loro Peugeot 106
quando erano stati investiti dalla Ford Fiesta condotta da Senno e
sulla quale viaggiavano altri quattro ragazzi. Il ventunenne aveva
perso il controllo della vettura e aveva invaso l’altra corsia. Rigolin
era morto sul colpo. "Eravamo stati a Rovigo - ricorda Adriana Padovani
- per una passeggiata. Ad un certo punto ho visto un bagliore e poi
un tonfo. In quei momenti non mi sono resa conto che Gianfranco era
morto. Era immobile, con le braccia lungo il corpo, io lo chiamavo
ma lui non mi rispondeva, ho cercato rianimarlo e poi... poi mi sono
ritrovata in ospedale". E al pronto soccorso del Santa Maria della
Misericordia, accanto a lei c’era pure Michele Senno. "è stata l’ultima
volta che l’ho visto - dice l’impiegata - e, francamente, non ho alcuna
intenzione di incontrarlo. Mi ha rovinato la vita. Perdonarlo? Ho
una zia suora e uno zio prete, sia io che Gianfranco, che era pure
un volontario della Protezione civile, siamo sempre stati cattolici
praticanti, ma quando ci si trova a vivere una simile tragedia cambia
tutto perché ti fai mille domande senza trovare una sola risposta.
Quando hai vent’anni fai presto a dimenticare. Io no, io non posso
dimenticare anche se nei suoi confronti non nutro né odio né rancore".
Adriana Padovani parla con tranquillità e, quasi, con serenità. "Seguo
i consigli della psicologa - spiega - e poi cosa devo fare? Purtroppo
i giudici devono applicare le leggi, che non fanno loro. è che
se ti viene un ladro in casa e tu reagisci e lo uccidi finisci in
carcere, invece se ammazzi un uomo nel pieno della sua vita perché
guidi sotto l’effetto dell’alcol e senza prudenza non ti succede nulla.
Io posso solo cercare di andare avanti, di continuare a vivere portandomi
questo peso addosso e di sperare che un giorno vengano fatte delle
norme più severe per evitare che altri debbano passare ciÚ che ho
passato, e sto tutt’ora passando, io". |