Milano, fuma cannabis, positivo al test: licenziato un autista Atm
La prima giustificazione è stata, in qualche modo, «classica»: era soltanto una droga «leggera». E dunque, data la sostanza, non avrebbe violato il minimum etico nel suo comportamento. S’è lamentato poi perché i magistrati in Appello non avrebbero tenuto nel giusto conto il fatto che, all’epoca degli esami, proprio nei giorni precedenti, era stato «esposto a forti quantità di fumo passivo». Infine, ha provato a sostenere che in fondo il licenziamento fosse una sanzione esagerata: sarebbe stata più adeguata una «multa per l’inosservanza delle norme per prevenire gli infortuni sul lavoro». Contro queste tesi difensive, per tre volte, dal Tribunale alla Cassazione, i giudici hanno stabilito che è stato invece legittimo il licenziamento dell’autista di autobus che l’Atm trovò positivo al test antidroga (cannabis) e allontanò dall’azienda alla fine del 2016.
Gli esami annuali
Vicenda controversa. Con qualche precedente non univoco: altre volte, in situazioni simili, il Tribunale ha avuto un’orientamento diverso. La storia di A. V., al contrario, è stata interpretata sempre nella stessa direzione, perché, scrive la Cassazione, «viola certamente il “minimo etico” il consumo di sostanze stupefacenti ad opera di un lavoratore adibito a mansioni di conducente di autobus, definite “a rischio”». Proprio per quel tipo di impiego (macchinisti, guidatori di bus e tram e di qualsiasi altro mezzo aziendale), l’Atm fa circa sei mila test all’anno, con andamento casuale e con una chiamata che, per i dipendenti, arriva di solito con un preavviso di 24 ore.
L’impiegato assolto
La battaglia legale s’è giocata tutta intorno a un tema di fondo: il licenziamento è una sanzione proporzionata per un lavoratore «positivo» a un test antidroga? I giudici citano un caso analogo nel quale, però, il licenziamento è stato illegittimo ed esagerato: un impiegato di banca era stato cacciato perché, «trovato in possesso di sostanze stupefacenti, aveva ribadito che si trattava soltanto di droghe “leggere”, detenute per uso personale e non a fini di spaccio». E, soprattutto, era riuscito a dimostrare che il suo rapporto con la droga era occasionale, o quanto meno non abituale. In quel caso, i giudici obbligarono la banca a ridare il posto di lavoro al dipendente.
Le motivazioni
Nella vicenda dell’autista dell’Atm, invece, «la proporzionalità del licenziamento è sorretta da una motivazione sufficiente e non contraddittoria», in particolare se si considerano «la delicatezza delle mansioni esercitate dal lavoratore e il connesso potenziale pregiudizio legato al consumo di sostanze stupefacenti, pur leggere».
di Gianni Santucci
da corriere.it
La Cassazione non ha voluto sentire ragioni: licenziato. (ASAPS)