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Padova | |
(L.L.) I giudici della Corte di Cassazione hanno annullato la sentenza. Dovrà essere rifatto il processo per la tragedia dell’Arcella, il cui imputato se la cavò con un patteggiamento ad un anno di reclusione, 1550 euro di multa e la sospensione della patente di guida. Il 13 giugno 2002 Giorgio Scalcon, trentottenne, residente in città, era alla guida della sua Golf in stato di ebbrezza, e viaggiava a forte velocità, quando finì a bomba contro l’auto sulla quale rincasavano a Cadoneghe Cristiano Giacomin, la moglie e il loro figlioletto di appena tre mesi. I giovani coniugi morirono sul colpo. Il fascicolo è già arrivato a Padova. Ed è stato assegnato al giudice delle indagini preliminari Nicoletta De Nardus. L’udienza per il rinvio a giudizio è a ruolo il 25 novembre. I giudici della Suprema Corte hanno accolto le motivazioni del ricorso presentato dal sostituto procuratore generale della Corte d’appello di Venezia, Irene Casol. Erano stati i difensori di parte civile a chiedere alla Procura generale di impugnare il patteggiamento avvenuto il 21 gennaio 2003. L’istanza era firmata dagli avvocati Alberto Berardi, Diego Bonavina e Cesare Zulian, che tutelano i familiari della giovane coppia e il bambino. "Il giudice di primo grado nel far proprio l’accordo delle parti ha erroneamente qualificato sotto il profilo giuridico l’ipotesi dell’omicidio colposo plurimo come circostanza aggravante", scriveva il sostituto procuratore generale Casol nei motivi del ricorso. Ed ancora: "Il primo giudice, valutati la modalità del fatto e la gravità della colpa, ha ritenuto congrua la pena di un anno di reclusione concordata dalle parti. Nella succinta motivazione la sentenza non dà conto del perchè la pena sia stata fissata in misura così incongrua per difetto dell’estrema gravità del fatto. La corretta valutazione da un lato, del grado d’estrema colpa dell’imputato, che ha causato l’incidente perchè guidava in condizioni di pesante ubriachezza, teneva l’incredibile velocità di cento chilometri orari raggiunta, partendo da fermo al semaforo, in cento metri, in centro abitato, con il limite di 50 chilometri orari, effettuava sorpassi pericolosi ed invadeva l’opposta corsia di marcia dove viaggiavano i due coniugi, dall’altro, all’eccezionale gravità del danno, relativo alla morte di due persone, rende evidente l’incongruità della pena, determinata in misura prossima al minimo edittale e assai lontana dal massimo (pari a dodici anni, diminuita per il rito)". Il sostituto procuratore generale Casol concludeva: "Lo stesso giudice peraltro, con motivazione all’evidenza contraddittoria, ha apprezzato e valorizzato proprio l’estrema gravità della colpa soltanto per applicare la sanzione accessoria della sospensione della patente nella massima misura". A conclusione dell’inchiesta, Giorgio Scalcon aveva deciso di patteggiare la pena in udienza preliminare. Il pubblico ministero aveva prestato il consenso all’accordo e il giudice aveva ritenuto congrua la "condanna". Adesso è tutto da rifare e i giudici della Cassazione dicono che, in questo caso, non bisogna usare troppa clemenza. | |