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Corte di Cassazione 05/09/2018

SCONTRINI CON NUMERAZIONE NON SEGUENTE

(Cass. Pen. sez. IV, del 11 luglio 2018, n. 31642)

La circostanza che gli scontrini non rechino un numero immediatamente successivo non prova assolutamente l’effettuazione di un terzo test, ma semplicemente che probabilmente prima di effettuare il secondo test via sia stata l’emissione di un altro scontrino forse per errore o per qualsiasi altro motivo. I test necessari secondo la previsione normativa sono due e sono stati correttamente eseguiti. Del resto tale eccezione sembra proposta per la prima volta in questa sede.
Va ricordato, in proposito, che costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte l’affermazione che, in tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo costituisce onere della difesa dell’imputato fornire una prova contraria a detto accertamento quale, ad esempio, la sussistenza di vizi dello strumento utilizzato, oppure l’utilizzo di una errata metodologia nell’esecuzione dell’aspirazione, non limitandosi a richiedere il deposito della documentazione attestante la regolarità dell’etilometro (Sez. 4, n. 42084 del 4/10/2011, Salamone, Rv. 251117). Non è sufficiente, in altri termini, la mera allegazione della sussistenza di difetti o della mancata omologazione dell’apparecchio (così Sez. 4, n. 17643 del 24.3.2011, Neri, Rv. 250324, nella cui motivazione la Corte ha precisato che l’art. 379 Reg. esec. Cod. strada si limita ad indicare le verifiche alle quali gli etilometri devono essere sottoposti per poter essere adoperati ed omologati, ma non prevede alcun divieto la cui violazione determini l’inutilizzabilità delle prove acquisite).

Ritenuto in fatto

1. M.F. veniva tratta in giudizio per i reati:
a) di cui all’art. 186 comma 2 lett. c), comma 2 bis del D. L.vo 285/1992, per avere provocato un incidente stradale circolando alla guida dell’autovettura Mercedes targata (…), in stato di ebbrezza (tasso alcolemico pari a 2,4 g/l quale minore valore tra le due misurazioni strumentali).
b) di cui all’art. 187, commi 1 e 1 bis del D. L.vo 285/1992, per avere provocato un incidente stradale circolando alla guida dell’autovettura in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope (rilevata presenza di benzodiazepine tramite esame di laboratorio.
Il GM del Tribunale di Reggio Emilia, all’esito di giudizio abbreviato, con sentenza del 28/10/2014, l’assolveva dal reato di cui al capo b) perché il fatto non sussiste e la dichiarava colpevole del reato di cui al capo a), condannandola, concessele le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 8 di arresto ed Euro 2.000,00 di ammenda, con pena sospesa e revoca della patente di guida.
Sull’appello proposto dall’imputata la Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 9/10/2017, confermava la sentenza di primo grado.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, la M. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 69 cod. pen., 62 bis cod. pen., 186 comma 2 lett. c) e 2 bis CDS, e/o violazione dell’art. 606 lett. e cod. proc. pen. per insufficienza, contraddittorietà e illogicità della motivazione.
La ricorrente deduce l’eccessività e l’errato calcolo della pena irrogata.
Il giudice di primo grado avrebbe calcolato la pena concedendo le circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis cod. pen., determinando in mesi 14 di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda la pena base, già aumentata ex art. 186 comma 2 bis, riducendo detta pena ex art 69 bis cod. pen. (così testualmente, ma riferendosi all’art. 62 bis cod. pen.) a mesi 12 di arresto ed Euro 3.000,00 di ammenda e riducendo, infine, la pena per il rito abbreviato in mesi 8 di arresto ed Euro 2.000,00 di ammenda.
In pratica - lamenta la ricorrente, il giudice effettuava sia l’aumento sulla pena base, senza determinarlo nella sua entità, avendo scritto che la pena base determinata doveva intendersi già aumentata ex art. 186 comma 2 bis, sia la riduzione per le attenuanti generiche.
L’aumento determinato per l’aggravante del comma 2 bis, sarebbe evidente in quanto, in caso contrario la pena base per il reato sarebbe superiore al massimo edittale di un anno di arresto.
Quindi, ritiene il ricorrente, o il giudice ha ritenuto che l’ipotesi prevista dal comma 2bis sia un reato autonomo rispetto a quello di cui al comma 2, oppure ove avesse considerato l’ipotesi del comma 2bis un’aggravante, avrebbe pretermesso di applicare l’art. 69 cod. pen. che impone il bilanciamento tra aggravanti e l’esclusione di aumenti e diminuzioni in caso rispettivamente di aggravanti o di attenuanti subvalenti.
Pertanto ci si troverebbe dinanzi ad un errore di diritto con l’effetto dell’applicazione di una pena superiore rispetto a quella correttamente determinabile.
Se, infatti, come richiesto in appello, fosse stato praticato il giudizio di prevalenza delle generiche rispetto all’aggravante contestata, la pena edittale sarebbe divenuta quella del reato base diminuita fino a un terzo.
La corte di appello avrebbe omesso di motivare sul motivo di impugnazione che invocava la prevalenza delle generiche sull’aggravante constata, avallando implicitamente il ragionamento del Tribunale laddove ha applicato prima l’aumento per l’aggravante e poi la riduzione per le attenuanti.
Quindi o la motivazione della sentenza impugnata è insufficiente per non avere risposto su una specifica doglianza oppure è stato riprodotto l’errore del primo giudice.
b. Violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per insufficienza, contraddittorietà e illogicità della motivazione.
La ricorrente deduce che l’impugnata sentenza avrebbe disconosciuto all’elaborato peritale, prodotto in sede di accoglimento della richiesta di rito abbreviato condizionato, qualunque valenza probatoria in quanto lo stesso avrebbe avuto valenza di mera consulenza tecnica.
Tale ragionamento sarebbe errato, in quanto la richiesta di rito abbreviato era stata condizionata proprio all’ammissione della relazione peritale e, con la sua ammissione, le era stato assegnato valore probatorio previsto dall’art. 438 comma V cod. proc. pen.
Inoltre la sentenza di primo grado avrebbe assegnato valore probatorio all’elaborato peritale per il solo reato per il quale c’è stata assoluzione privando dello stesso valore probatorio lo stesso atto in relazione alla guida in stato di ebbrezza, il che priverebbe la parte motiva della pronuncia della necessaria linearità logica.
La sentenza di appello, sarebbe inoltre viziata, laddove nega l’esistenza di dichiarazioni dell’imputata, che invece sono citate nell’elaborato peritale ed anche nella sentenza di primo grado. Inoltre nessun cenno vi sarebbe, nell’impugnato provvedimento, sull’incompletezza dei test alcolemici.
I test compiuti sarebbero stati tre, come evidenziato dalla successione numerica di quelli utilizzati 6486 e 6488, ma l’esito del 6487 non compare nel fascicolo processuale.
Di conseguenza il ragionamento logico seguito dal giudicante risulterebbe viziato.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito per la rinnovazione del giudizio.

Considerato in diritto

1. Il solo motivo sub a. è fondato e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna.
Il ricorso va, invece, rigettato, nel resto, con declaratoria di irrevocabilità ex art. 624 cod. proc. pen. quanto all’affermazione di responsabilità.

2. Partendo dal motivo con cui si censura l’affermazione di responsabilità, va rilevato che le doglianze sopra illustrate sub b. sono infondate.
La Corte territoriale, con motivazione logica e congrua, dà conto di avere vagliato tutte le doglianze che le erano state proposte, ivi compresa la perizia, non potendo fare a meno di evidenziare che la stessa si fonda, quanto all’ebbrezza alcolica, su presupposti di fatto non provati, a cominciare da quello che l’imputata abbia bevuto solo della birra, e a stomaco pieno, prima di mettersi alla guida, che si tratti di un soggetto intollerante, che fossero trascorsi solo 41 minuti. In altri termini, la perizia dà per provata la versione dell’imputata, che peraltro non ha mai reso dichiarazioni in giudizio.
Nessuna contraddizione vi è nell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, che l’imputata sia rimasta assente e non abbia reso dichiarazioni. È chiaro, infatti, il riferimento ad eventuali dichiarazioni rese nel corso del giudizio e non alle dichiarazioni che venivano rese nell’immediatezza dei fatti agli operanti che determinavano l’effettuazione del prelievo.
Quanto alla dedotta circostanza che il giudice del gravame del merito non abbia risposto, punto per punto, alle doglianze difensive, va ricordato che siamo di fronte ad una doppia conforme affermazione di responsabilità, per cui le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l’univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte Sez. 2 n. 34891 del 16/5/2013, Vecchia, Rv. 256096; conf. Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. il 2012, Valerio, Rv. 252615: Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. il 1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, in altri termini, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv.254107).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua se il giudice d’appello - come appare essere avvenuto nel caso che ci occupa- abbia confutato gli argomenti che costituiscono l’"ossatura" dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26/9/2002, dep. il 2003, Delvai, Rv. 223061).
La non consecutività del numero degli scontrini dell’alcooltest, evidentemente, nulla prova, se non che, per una qualsiasi ragione quello recante il n. 6487 non si è potuto utilizzare. Ad esempio perché, verosimilmente, effettuato troppo presto rispetto alla prima prova. Nessun elemento è emerso -e nemmeno la difesa ha introdotto- che porti a ritenere che i risultati dell’alcooltest, effettuato a 14 minuti di distanza (20,39 il primo e 20,53 il secondo), con un risultato di ebbrezza particolarmente elevata in entrambi i casi (2,41 e 2,43) sia in qualche modo viziato.
In altri termini, la circostanza che gli scontrini non rechino un numero immediatamente successivo non prova assolutamente l’effettuazione di un terzo test, ma semplicemente che probabilmente prima di effettuare il secondo test via sia stata l’emissione di un altro scontrino forse per errore o per qualsiasi altro motivo. I test necessari secondo la previsione normativa sono due e sono stati correttamente eseguiti. Del resto tale eccezione sembra proposta per la prima volta in questa sede.
Va ricordato, in proposito, che costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte l’affermazione che, in tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo costituisce onere della difesa dell’imputato fornire una prova contraria a detto accertamento quale, ad esempio, la sussistenza di vizi dello strumento utilizzato, oppure l’utilizzo di una errata metodologia nell’esecuzione dell’aspirazione, non limitandosi a richiedere il deposito della documentazione attestante la regolarità dell’etilometro (Sez. 4, n. 42084 del 4/10/2011, Salamone, Rv. 251117). Non è sufficiente, in altri termini, la mera allegazione della sussistenza di difetti o della mancata omologazione dell’apparecchio (così Sez. 4, n. 17643 del 24.3.2011, Neri, Rv. 250324, nella cui motivazione la Corte ha precisato che l’art. 379 Reg. esec. Cod. strada si limita ad indicare le verifiche alle quali gli etilometri devono essere sottoposti per poter essere adoperati ed omologati, ma non prevede alcun divieto la cui violazione determini l’inutilizzabilità delle prove acquisite).
Questa Corte di legittimità ha in più occasioni condivisibilmente precisato che l’incidenza della cd. curva alcolimetrica - prescindendo dalla valutazione dei suoi fondamenti scientifici - non può essere predicata in astratto, perché va concretamente dimostrato che, per aver assunto la sostanza alcolica in assoluta prossimità al momento dell’accertamento o per altra ragione, il tasso esibito dalla misurazione strumentale eseguita a distanza di tempo non rappresenta la condizione organica del momento in cui si era ancora alla guida (cfr. ex multis Sez. 4, n. 24206 del 4/3/2015, Mongiardo, Rv. 263725; conf. Sez. 4, n. 40722 del 9/9/2015, Chinello, Rv. 264716).
In tema di guida in stato di ebbrezza, in presenza di un accertamento strumentale del tasso alcolemico conforme alla previsione normativa, grava, infatti, sull’imputato l’onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell’accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato; a tale riguardo non è sufficiente il solo lasso temporale intercorrente tra l’ultimo atto di guida e il momento dell’accertamento. Dunque, in un caso come quello che ci occupa l’asserto, secondo il quale il tempo trascorso per far luogo alla prova aveva implementato il tasso alcolico nell’organismo, che al momento della guida sarebbe stato inferiore ai parametri di legge non vale più di una mera congettura, sfornita di qualsivoglia attendibilità e apertamente smentita da i sintomi, eclatanti ed univoci, manifestati dal conducente sin dal momento del controllo.

3. Fondata è la doglianza sub a. in cui si lamenta errore di diritto nella comparazione delle circostanze.
Ed invero, l’art. 186 CDS prevede al solo comma 2-septies che le circostanze attenuanti concorrenti con l’aggravante dell’orario notturno (il richiamo è a quella di cui al comma precedente) non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti e che le eventuali diminuzioni di pena ad esse conseguenti si applicano sulla pena risultante dall’aumento (della sola pena pecuniaria) imposto dal riconoscimento dell’aggravante.
È il solo caso in cui tale norma preveda una deroga al giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen.
Nel caso che ci occupa, tuttavia, non era contestata la circostanza aggravante di cui all’art. 186 co.2 sexies, ma quella di cui all’art. 186 co. 2bis.
E, come pacificamente affermato da questa Corte di legittimità, in tema di guida in stato di ebbrezza, quando la circostanza aggravante ad effetto speciale di aver provocato un incidente stradale concorre con le circostanze attenuanti generiche, deve procedersi al giudizio di bilanciamento previsto dall’art. 69 cod. pen. che, in caso di equivalenza, comporta l’applicazione della pena che sarebbe inflitta come se non ricorresse alcuna delle circostanze in comparazione (Sez. 4, n. 7460 del 13/11/2012 dep. il 2013, Florio, Rv. 254475; conf. Sez. 4, n. 53280 del 21/9/2017, Bruni; Rv. 271354).
Conferma, seppur indiretta, ove mai ve ne fosse bisogno, che la previsione di cui all’art. 186 co.2bis CDS non è sottratta all’ordinario giudizio di bilanciamento delle circostanze ex art. 69 cod. pen. la si ricava dalle numerose pronunce in cui si è affermato c, in tema di guida in stato di ebbrezza, la revoca della patente di guida, prevista come obbligatoria per l’ipotesi aggravata in cui il conducente abbia causato un incidente stradale, deve essere disposta anche nel caso in cui, all’esito del giudizio di bilanciamento, sia stata riconosciuta l’equivalenza ovvero la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, non venendo meno per effetto del suddetto giudizio la sussistenza dei profili di particolare allarme sociale connessi alla sussistenza dell’indicata aggravante (Sez. 4, n. 7821 del 6/2/2015, Luongo, Rv. 262446; Sez. 4, n. 23190 del 19/4/2016, Conn, Rv. 267318; Sez. 4, n. 17679 del 20/3/2014; Lanzo Rv. 259232).
Nel caso che ci occupa, come lamenta il ricorrente, il GM di Reggio Emilia ha determinato la pena, partendo come pena base da mesi 14 di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda, esplicitando che si trattava di pena aumentata ex art. 186 comma 2bis (ma del resto ciò appare evidente trattandosi di pena superiore al massimo edittale di cui all’art. 186 co. 1 lett. c) CDS) riducendo detta pena ex art 69 bis cod. pen. (così testualmente, ma riferendosi evidentemente all’art. 62 bis cod. pen.) a mesi 12 di arresto ed Euro 3.000,00 di ammenda e riducendo, infine, la pena per il rito abbreviato in mesi 8 di arresto ed Euro 2.000,00 di ammenda.
Appare evidente, dunque, l’errore nel quale è incorso il primo giudice, e confermato dalla Corte di Appello, applicando un aumento di pena per un’aggravante per la quale non vige il divieto di bilanciamento pur avendo riconosciuto le attenuanti generiche, e quindi applicando una diminuzione di pena in contraddizione con tale aumento.
Tale errore dovrà essere emendato dal giudice del rinvio, che provvederà al giudizio di bilanciamento tra le concesse circostanze attenuanti generiche e l’aggravante de qua e, pertanto, alla rideterminazione della pena.
Andrà tenuto conto, nel computo della prescrizione del reato, che vi è stato un periodo di sospensione della stessa, in secondo grado, di 4 mesi e 27 giorni, in ragione del rinvio dal 3/5/2017 al 1/10/2017 per l’astensione degli avvocati dalle udienze.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna.
Rigetta il ricorso nel resto.
Visto l’art. 624 cod. proc. pen. dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.

Mercoledì, 05 Settembre 2018
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