La
più recente storia della circolazione europea, quella che
è ancora ben impressa sulle pagine della cronaca nera, ha
continuato a tenere in auge il problema della sicurezza della circolazione
(soprattutto quella dei veicoli) in galleria. Le ultime indagini
europee hanno accertato che alcuni tunnel stradali italiani sono
tra i peggiori del vecchio continente (per la precisione nel tratto
umbro-romagnolo della E45), ed è un fatto che la nostra mobilità,
intendendo con questo la capacità di muovere persone e merci
da-e-per il resto d’Europa, dipende quasi esclusivamente dalla
capacità di valicare le Alpi.
Potremmo suggerire, e sarebbe davvero un efficace toccasana, di
guardare con maggior attenzione alle autostrade del mare o incrementare
il numero di convogli ferroviari, ma per il momento l’asfalto
resta la priorità, mentre l’impiego massiccio di navi
e la realizzazione del famoso “Corridoio 5”, solo una
prospettiva lontana.
Valicare le Alpi al volante, però, non è una cosa
da poco: servono mezzi moderni, che riescano a limitare consumi
ed emissioni ed al tempo stesso garantire affidabilità nelle
percorrenze a forte variazione altimetrica, ma servirebbero anche
manufatti all’avanguardia, che consentano interazione con l’evoluzione
del mezzo e che siano dotati di tutti gli accorgimenti di sicurezza
attiva e passiva necessari alla pronta risoluzione di un qualsiasi
evento accidentale.
Dopo le terribili sciagure nelle viscere delle montagne che costituiscono
il nostro confine naturale, è evidente che qualcosa è
profondamente mutato, se non altro a livello di mentalità,
ma è altrettanto evidente che molti enti proprietari delle
strade – non ce ne occuperemo in questa occasione – non
hanno fatto ancora nulla per risolvere le proprie mancanze.
Sebbene poi la maggior parte degli eventi infortunistici abbia avuto
come causa scatenante il fattore umano, la pessima condizione nella
quale versano molti tunnel italiani ha puntualmente comportato l’aggravamento
delle conseguenze: il rogo di un’auto in uno spazio aperto
è cosa di poco conto, ma se lo stesso veicolo dovesse bruciare
all’interno di una delle piccole gallerie nel centro urbano
di Napoli (solo per fare un esempio) avremmo tutti gli ingredienti
per una macroemergenza; si pensi poi cosa potrebbe accadere se invece
di un’auto dovesse bruciare un mezzo soggetto alla normativa
ADR (merci pericolose).
A partire dal 1975, tutta l’Europa si è misurata con
il problema della scarsa sicurezza: la tabella che segue riepiloga
tutti i maggiori eventi avvenuti in gallerie stradali. Solo in un
caso (quello del Monte Bianco) la causa non è umana. Si noti
anche che ancora non è presente il recente evento del Frejus.
L’Autobrennero – che gestisce uno dei tratti autostradali
di maggior portata strategica nel movimento di persone e merci in
Italia – ha aderito ad un programma di sicurezza nell’ambito
del progetto europeo UPTUN, acronimo inglese di “Cost-effective,
Sustainable and Innovative Upgrading Methods for Fire Safety in
Existing Tunnels”. La società, unico esempio del suo
genere, è divenuta protagonista del 5° “Framework
Programme, Competitive and Sustainable Growth Programme, sotto l’egida
della Commissione Europea, culminato con un’esercitazione scientifica
[1] effettuata lo scorso 18 febbraio 2005 all’interno della
galleria del Virgolo [2] alla quale hanno partecipato 41 organismi
(tutti aderenti all’UPTUN), dei quali molti sono università
ed enti scientifici.
Il
programma intende sviluppare le tecnologie più appropriate
e quelle per le quali si prospettano fronti applicativi, nell’ambito
della realizzazione e manutenzione di tunnel di ogni tipo, soprattutto
quelli stradali, all’interno dei quali – si è detto
– abbiamo assistito alle tragedie più recenti: l’esercitazione
è servita anche per tracciare il futuro delle ferrovie, tanto
che alla base del manufatto sono state posate traversine in acciaio.
Ricerca di materiali con i quali costruire manufatti sempre più
resistenti, dunque, ma anche l’occasione per testare nuovi
protocolli di intervento in caso di incidente. Si è trattato
di un esperimento incredibile, anche da un punto di vista dei costi
(elevatissimi), al quale hanno partecipato i Vigili del Fuoco e
la Polizia Stradale, e che ha fornito una mole di dati talmente
elevata da richiedere mesi di analisi per le valutazioni, ancora
in corso. L’autostrada del Brennero ha fornito alla redazione
de Il Centauro un rapporto preliminare, che ci consente di realizzare
questo lavoro.
Mentre la volta del tunnel si anneriva ed i vortici di fumo incandescente
si propagavano in quel piccolo ambiente artificiale, migliaia di
sensori e telecamere monitoravano le condizioni di vivibilità
– e quindi di sopravvivenza – in uno spazio divenuto improvvisamente
così ostile come una galleria invasa da fumo e fiamme, controllando
l’evoluzione dell’atmosfera e della temperatura, la variazione
dei parametri chimici e fisici – compresa l’efficacia
della strumentazione di rilevamento – e la bontà dei
progetti per il contenimento dei fumi e di soppressione dell’incendio,
come setti gonfiabili, barriere d’acqua e l’innovativo
sistema “water mist” [3]; il tutto senza dimenticare che
esiste anche una scienza dei materiali di costruzione, come quella
dei calcestruzzi, la cui composizione viene spesso riprogettata
ex novo proprio in relazione agli esiti di esperimenti come quello
della galleria del Virgolo, o degli ancoraggi. Si tenga conto che
l’esercitazione ha ricreato quattro incendi davvero devastanti,
fatti propagare accendendo gasolio combustibile in vasche d’acciaio
di 2 metri quadri ciascuna, raggiungendo tassi di rilascio di calore
fino a 30 MW. Infine, nel corso del test è stato effettuato
anche un accurato studio dello scenario dell’evento e dei modi
e tempi con cui i soccorritori sono riusciti a penetrarvi, oltre
alla gestione dell’incendio tramite la ventilazione naturale
e quella forzata che avveniva dall’interno di una moderna sala
di regia, alla quale facevano capo – grazie ai cablaggi –
oltre 300 sensori di temperatura, 10 anemometri e 5 telecamere di
cui due stereoscopiche (in grado di proiettare immagini tridimensionali
percettibili grazie all’uso di speciali occhiali) ed una a
raggi infrarossi. Un antro da tregenda, potenzialmente letale per
chi nella realtà si fosse trovato a dover fronteggiare un
evento di questo tipo, e che ha fatto calare il silenzio fra i 350
spettatori ospitati sulle tribune di un’insolita sala di regia,
allestita all’esterno del manufatto che ha ospitato l’esercitazione,
munita di due maxischermi di 12 metri quadri per la diretta delle
operazioni, aggiornati in tempo reale con diagrammi relativi alla
temperatura dell’aria ad alla sua velocità impressa
con la gestione delle ventilazioni forzata e naturale.
Quando
ogni particolare è stato controllato, i responsabili del
progetto hanno concesso il via libera innescando l’incendio
del propellente contenuto nelle vasche, dando il via alla misurazione
del tempo.
Quando le fiamme hanno lambito la volta, il fumo densissimo ha cominciato
a cercare una via d’uscita: è questo uno dei momenti
più critici – nella realtà – e più
letali. Per questo motivo due distinte squadre di Vigili del Fuoco
hanno fatto da cavie e i loro corpi, adeguatamente protetti, sono
stati disseminati di speciali sensori [4], piazzati all’altezza
di spalle e ginocchia, che hanno consentito alla regia di mantenere
il continuo controllo della situazione all’interno del tunnel,
divenuto in pochi secondi un vero e proprio girone dantesco.
Altri coraggiosi pompieri hanno seguito un percorso programmato
di evacuazione dall’epicentro dell’incendio, puntando
verso le uscite della canna, camminando a velocità diverse,
per riprodurre il comportamento di soggetti adulti e bambini: lo
scopo di questa prova era quello di testare la capacità di
resistere in quelle condizioni così avverse, per la presenza
di fumi di veleno sprigionato dalla combustione e dalla temperatura
elevatissima.
Il teatro delle operazioni: si osservino le vasche in acciaio
inox piene di gasolio, poggiate su binari ferroviari. Alla parete
si notano i sensori.
Il
risultato, secondo gli esperti, è stato apprezzabile, tanto
che i Vigili del Fuoco dotati di rilevatori della qualità
dell’aria sono riusciti ad allontanarsi dalle fiamme con velocità
variabili tra gli 0,80 cm/sec e gli 0,40 cm/sec per coprire i 350
metri di percorso.
Ma il fattore umano non è il solo ad aver interessato i tecnici
che hanno predisposto l’esercitazione: in ballo c’era
anche il collaudo di alcuni tra i più avveniristici sistemi
di spegnimento e contenimento delle zone di fuoco che la tecnologia
moderna possa consentire di realizzare.
Proprio l’aver potuto contare su un esperimento così
articolato – nel corso del quale gli incendi artificiali sono
stati ben quattro – ha fornito agli scienziati la possibilità
di mettere alla prova tre diversi sistemi, profondamente diversi
l’uno dall’altro, sia in maniera del tutto autonoma, che
in combinazione tra loro. Si tratta degli Air Plugs, setti d’aria
gonfiabili, del sistema Water Mist e delle Barriere d’Acqua.
Il sistema Air-plugs è davvero interessante, perché
combatte il fuoco togliendogli praticamente il respiro: alcuni setti
d’aria – in pratica dei giganteschi palloni – sono
in grado di conformarsi al profilo della galleria, diventando dei
veri e propri tappi che sigillano il tunnel alle due estremità,
in modo tale da bloccare il flusso d’aria: niente ossigeno,
niente fuoco, niente fumo e niente calore. È ovvio che venendo
a mancare questi elementi conseguenti all’incendio, un utilizzo
tempestivo del sistema – una volta che l’ultimo sopravvissuto
avesse evacuato il settore – consentirebbe di mantenere sotto
controllo il resto della galleria, e dare più tempo ai coinvolti
di raggiungere l’uscita e salvarsi.
Il layout degli impianti installati nella zona dell’incendio
Più
facile a dirsi, che a farsi, vista la difficoltà di trovare
materiali resistenti al fuoco ed al calore e in grado di assumere
una sagoma tale da chiudere ermeticamente una volta così
grande come quella di una galleria: ma l’esercitazione ha fornito
comunque risultati importanti.
Il Water Mist, secondo sistema utilizzato nell’esperimento,
ha già fornito ampie garanzie sulla propria efficacia nell’abbattimento
delle temperature di rogo e di soppressione delle fiamme: i tecnici,
quando hanno provato ad applicare questo tipo di tecnologia, hanno
dato all’incendio 5 minuti per svilupparsi, mentre altri 5
minuti, per un totale di 10, sono stati necessari dall’attivazione
del sistema per ottenere lo spegnimento del rogo.
Le barriere d’acqua sono invece costituite da una fitta rete
di ugelli disposti sul perimetro della volta della galleria. Quando
le fiamme hanno invaso il tunnel ed è stata attivata la contromisura,
una vera e propria tenda d’acqua – addizionata di una
speciale miscela molto simile a quella utilizzata dai Vigili del
Fuoco per spegnere incendi in caso di incidenti aerei o di veicoli
trasportanti merci pericolose – ha letteralmente fatto la doccia
al fuoco. Un metro di spessore, sufficientemente grande per combattere
il calore, che ha chiuso ermeticamente la zona dell’incendio,
lasciando all’interno di una sorta di camera stagna fumi e
gas.
Quando la barriera è stata attivata insieme al sistema Water
Mist, il risultato è divenuto davvero considerevole.
Un’occasione così è stata un banco di prova eccezionale,
anche per gli scienziati dei materiali utilizzati nella realizzazione
delle gallerie. Per provare nuove combinazioni di calcestruzzo è
stato effettuato anche un esperimento aggiuntivo, con un incendio
fatto divampare all’interno di un compartimento si appena 8
metri cubi – chiamato dai tecnici il “minitunnel”
– all’interno del quale le pareti sono state costituite
da 6 calcestruzzi diversi, lasciati esposti al calore dall’inizio
dell’incendio fino all’autoestinzione del rogo ed al naturale
raffreddamento del manufatto.
Una prova durissima, che ha messo alla frusta anche i sensori. L’esperimento
principale è invece stato destinato ad una prova più
convenzionale dei 6 cementi, vista la necessità di monitorarne
i comportamenti nelle fasi anche degli interventi di estinzioni
a nelle profondità diverse del tunnel.
Nel corso dei test si è raggiunta nell’aria una temperatura
massima di 1.100 gradi centigradi: praticamente un inceneritore,
con condizioni estremamente simili a quelle che si verificarono
nel rogo del Monte Bianco. La corazza di cemento si è comportata
benissimo: non possiamo entrare nei particolari, perché i
dati non sono ancora del tutto disponibili, ma scendendo di appena
10 millimetri in profondità nel calcestruzzo, venivano registrate
diminuzioni fino a 100 gradi.
Il rapporto dell’esercitazione non è ancora completo,
ma l’obiettivo sembra essere stato centrato e nuove informazioni
sono ora a disposizione dell’UPTUN.
Quello che interessa di più, ovviamente, è la sopravvivenza
umana ad eventi così catastrofici, ed in questo la scienza
fornirà contenuti essenziali a garantire maggiori strumenti
di contenimento delle prime fasi dell’incendio.
Esattamente come nell’emergenza medica, infatti, il pronto
riconoscimento della situazione, una rapida valutazione di elementi
elementari come “… è cosciente?… respira?…”
forniscono al potenziale soccorritore informazioni essenziali per
la rianimazione.
Allo stesso modo, la gestione delle prime fasi delle emergenze,
in galleria, è senz’altro la più importante:
si stima infatti che i primi 100 secondi dovrebbero poter fornire
tutte le informazioni necessarie a rappresentare la reale situazione,
mentre l’evacuazione del punto critico dovrebbe avvenire entro
un tempo massimo di 250 secondi.
Le operazioni di soccorso a persona e di spegnimento non dovrebbero
comunque superare un tempo massimo di 10 minuti, e questo anche
per preservare l’opera da danni irreversibili, che comporterebbero
la ricostruzione dell’infrastruttura: per questo motivo, oltre
che sistemi di diagnosi degli eventi e di immediato intervento,
è un dato oggettivamente scontato (ma non sempre applicato)
che il manufatto dovrebbe poter disporre di uscite di emergenza
validamente disposte ed in numero sufficiente, di piazzole per la
manovra dei veicoli, di sistemi di comunicazione tenuti in efficienza
e di una rete per l’alimentazione dell’acqua pronta all’eventuale
impiego. I protocolli di sicurezza – e questo lo abbiamo sempre
sostenuto anche noi – dovrebbero essere continuamente verificati
e testati, ma in questo l’Italia, salvo pochi illuminati esempi,
è ben lungi dall’essere in regola, almeno con la propria
coscienza.
C’è da augurarsi che l’esperienza della A22 in
seno all’UPTUN possa divenire il punto di partenza di un percorso,
al quale non dovrebbero aderire solo le società concessionarie,
ma tutti gli enti proprietari di strade.
Servirebbe a poco, infatti, avere un tratto autostradale tra i più
moderni al mondo o gallerie, come quella del Bianco, considerata
un esempio, se poi si cade in gaffe come quelle della maglia nera
ad un tunnel della E45 nel tratto più trafficato.
*
Sovrintendente della Polizia Stradale.
Note,
bibliografia e fonti:
1) Si tratta di esercitazione scientifica proprio per le modalità
operative con cui si è effettuata. Si consulti, nel caso,
la pagina , (notizie brevi 2005, febbraio 2005, nella quale si fornisce
una prima valutazione dell’evento con documentazione fotografica.
Cortesia Autobrennero Spa.
2) Galleria del Virgolo, A22, Bolzano;
3) water mist. Sistema di irrorazione che sfrutta le dimensioni
estremamente ridotte delle gocce d’acqua per avere una maggior
superficie di reazione, consentendo, a parità di incendio
da estinguere, l’utilizzo del 10% di acqua rispetto agli sprinkler
tradizionali, aumentando i tempi di raffreddamento e minori formazioni
di vapore.
4) “Personal Sampler”;
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