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Articoli 20/10/2005

da Il Centauro n.98 - Settembre 2005 - Lo Stato e il dolore delle vittime

di Michele Leoni
da Il Centauro n.98 - Settembre 2005

Lo Stato e il dolore delle vittime

di Michele Leoni*


(Foto Blaco)

In un lucidissimo articolo apparso su la Repubblica del 14 maggio 2004 (“A scuola di violenza”), Mario Pirani si è occupato del bullismo giovanile. A mio avviso, alcuni passaggi della sua analisi (condotta con tanto di riferimenti bibliografici di prim’ordine) devono essere recepiti ormai come punti fermi, per chiunque si ponga con un minimo di serietà e onestà il problema della devianza (giovanile e non) e dell’interpretazione delle sue matrici sociali.        
Pirani ha denunciato prima di tutto “una specie di rassegnazione di fronte a un fenomeno quasi dipinto come un evento di natura, una mutazione biologica dei giovani d’oggi, che li renderebbe geneticamente diversi da quelli di ieri e, quindi, alieni da ogni forma di disciplina imposta”. Ha alzato quindi l’indice contro il “risultato catastrofico di scelte culturali ed educative, nella scuola e nella famiglia… che hanno contribuito a destrutturate e a delegittimare ogni idea di autorità, di disciplina, divieto, sforzo e fatica nelle generazioni”. In altre parole, dice Pirani, è stato “cancellato il senso del limite”, e questo anche perché “il sistema scolastico ha praticamente abolito la durezza degli esami, i voti negativi, il rinvio a settembre, annullato la certezza e la generalità dei programmi, le bocciature, le sospensioni, ridotto a zero l’efficacia dissuasiva del voto di condotta”. Pirani, dopo avere toccato anche gli effetti nefasti indotti dai videogiochi dalla violenza inaudita e dalla televisione, ha poi affermato che i ragazzi dovrebbero essere invece aiutati “ad affrontare con consapevolezza responsabile le difficoltà della vita adulta”. Ciò non come slogan reazionario, ma come “appello alla più elementare virtù civica”. “Far credere a un bambino o a un adolescente che può far tutto a suo piacimento, che non ha di fronte a sé divieti né inevitabili frustrazioni…. sta devastando la formazione etica, civile e scolastica dei cittadini di domani”. Ciò che è grave, sottolinea l’autore, non è che una regola venga violata, ma che “non ci sono regole e non esiste il divieto”: certo, il divieto può anche essere infranto, ma alla base ci deve sempre essere “la consapevolezza di compiere un’azione proibita” (solo così l’infrazione è assai meno diseducativa). Infine, Pirani ha concluso dicendo che “l’assenza quasi istituzionalizzata di vincoli e divieti facilita l’estendersi di fenomeni negativi”. Bene. Proviamo a fare di queste incontestabili parole la premessa di una proiezione su tutto quanto oggi avviene sulla strada. Ossia, proviamo a chiederci come può degenerare questa non consapevolezza di vincoli, regole, punizioni quando l’individuo non consapevole si pone nel traffico, alla guida di un mezzo. Abbiamo detto l’individuo, sia giovane che adulto, dato che la gioventù è una categoria effimera e, come ogni passaggio a cui è interessato il tempo, dovrebbe lasciare il proprio spazio ad altre coordinate (qui, quelle dell’età adulta).  Le ipotesi sono due. La prima è che ci si scontri con un regime sanzionatorio (il codice penale e il codice della strada, prima di tutto) che, invece, recano in sé una risposta punitiva concreta, alla quale il soggetto non è stato abituato. Si potrà sperare allora in una interiorizzazione della deterrenza, se pur faticosa, magari dopo un disadattamento iniziale.
La seconda è che, invece, la risposta sanzionatoria, anche nella società, sia egualmente debole, inadeguata, ossia costituisca la naturale prosecuzione di quella mancanza di senso del limite a cui si è stati (dis)educati fin da piccoli. Cosa succede oggi se un incensurato ammazza un proprio simile per una negligenza o imprudenza, guidando un veicolo? Nella media (magari patteggiando), viene condannato a qualcosa come sei, otto mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena. Cioè, a nulla. Addirittura, se poi ci ricasca e ammazza qualcun altro, può fruire di un’altra sospensione condizionale della pena (magari, sempre patteggiando). Cioè, nuovamente, il suo trattamento sanzionatorio concreto, attuale, immediato, è nulla. Solo se ammazza qualcuno per tre volte si può cominciare a parlare di una punizione effettiva.
In pratica, quindi, il nostro sistema è congegnato come se una persona avesse due buoni di consumo, prima di vedere davanti a sé lo spettro di una reclusione (meglio, prima che se ne parli, perché poi vi sono tutti i trattamenti alternativi al carcere che possono surrogare la pena). Buoni di consumo che sono la possibilità di ammazzare qualcuno. E’ chiaro che, in questo modo, parlare di senso del limite, senso di responsabilità, deterrenza, attenzione, prudenza, diventa molto aleatorio. A volte, utopistico. Il vecchio slogan “tanto ti dànno la condizionale” è d’uopo. E’ quasi umano. Tutto viene così lasciato al senso di responsabilità del singolo (o alla sua paura di farsi male, lui per primo).
Si potrà obiettare che la risposta sanzionatoria esiste comunque, e risiede nella privazione della patente per un certo periodo. D’accordo, ma è serio un sistema che affida la sua deterrenza a una sanzione accessoria (per giunta, amministrativa e non penale)?. La risposta è no, anche perché ci si deve allora chiedere quale è il senso di un procedimento penale, se la pena effettiva è quella amministrativa. Concordando pienamente con Pirani (e non può essere altrimenti), ci si deve chiedere allora anche quale sarà l’evoluzione sociale, sulla strada e non, di una situazione in cui il senso del limite si sta perdendo clamorosamente e su di esso non può non innestarsi un effetto moltiplicatore di massa, quasi una nuova insensibilità sociale, in cui l’individuo non si capacita di avere regole serie da rispettare e lo Stato non punisce. E si ostina a non punire proprio in un ambito, la strada, in cui tutti sono inseriti e interessati e dove tutti possono dare sfogo a istinti primitivi di violenza, impulsività, onnipotenza, frustrazione latente. Guidare un veicolo può dare l’ebbrezza di identificarsi col suoi motore, con le sue prestazioni, e indurre a spingere e gareggiare. Oppure, può essere sentito come lo strumento con cui, finalmente, si può osare di più, tanto si può speculare sulla condizionale, che troppo spesso viene percepita come una sorta di perdono giudiziale, sinonimo di impunità iniziale. Ebbene, questo è anche offensivo e gratuito nei confronti delle vittime e del loro dolore. Chi ha perduto un familiare per una “leggerezza” altrui non saprà più, nella sua vita, cosa è la leggerezza. Misurarsi ogni giorno, ad ogni risveglio, col proprio lutto e con il lutto dei propri familiari superstiti resterà una condanna improba, la rovina della propria esistenza. Non ci sarà alcuna condizionale che consenta di soprassedere a questo. Sarà come passare dalle fondamenta di una casa ai trampoli di una palafitta. Ancora, quindi: sono bilanciati il trattamento sanzionatorio leggero riservato a chi ha ammazzato sulla strada, e l’inaudito peso esistenziale che deve portare chi ha subito il lutto?
La risposta è no, perché la giustizia si regge,  innanzi tutto, su una condizione di reciprocità. Uccidere qualcuno sulla strada significa stroncare una vita, ma anche distruggere una famiglia, altre vite.
Forse, allora, già il rispetto dovuto al dolore delle vittime della strada dovrebbe indurre a riformare il sistema delle pene in caso di incidente stradale. Occorre più deterrenza, e sarebbe una deterrenza sana, che verrebbe insegnata già ai giovani, a chi sta perdendo il senso del limite e potrebbe invece già tornare a rappresentarselo su questo versante della vita quotidiana, la strada, a quattordici anni quando si pone alla guida di un motorino, come a diciotto quando si pone alla guida di un’auto. Sarebbe come riconoscere, finalmente, la giustizia alle vittime (forse, l’unico lenimento possibile), giustizia intesa nella sua essenza intima di equità, equanimità, proporzione. Sarebbe un presidio educativo ai giovani, offrirebbe il senso del limite all’uomo qualunque, nell’interesse di chiunque.

* G.I.P. presso il Tribunale di Forlì.

 


Giovedì, 20 Ottobre 2005
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