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Articoli 23/09/2004

A colloquio con Mario Sai "CONTROLLI PIU’ FORTI, ALTRIMENTI E’ ZERO"

Il coordinatore della Consulta sulla sicurezza stradale dice la sua su ciò che si deve fare.

da "Il Salvagente" n.37 – 23-30 settembre 2004 

 

A colloquio con Mario Sai
"CONTROLLI PIU’ FORTI, ALTRIMENTI E’ ZERO"
Il coordinatore della Consulta sulla sicurezza stradale dice la sua su ciò che si deve fare.

Nessuna sorpresa di fronte all’aumento degli incidenti. L’aspetto su cui concentrarsi è un altro: è arrivato il momento di scegliere se stabilizzare questi risultati o regredire al livello di partenza. A tirare le somme di quanto accaduto finora e tracciare uno schema per il futuro è Mario Sai, coordinatore della Consulta nazionale sulla sicurezza stradale, che a luglio, in occasione dell’ultima riunione plenaria, ha messo nero su bianco cosa serve al nostro paese: un’iniezione di risorse per svoltare definitivamente verso la riduzione della mortalità sulle strade.
"Siamo a un bivio", dice Sai. "A questo punto, se la sicurezza stradale è vissuta come una politica importante e ha adeguati finanziamenti può cominciare a dimostrare la sua efficacia, altrimenti, continueremo a fare allarmi spot sui singoli incidenti e non riusciremo a dimezzare la mortalità, come prevede il piano europeo. La Finanziaria per il 2005 ci dirà come stanno le cose".
Intanto, i dati dell’estate non sono incoraggianti...
La situazione tende a tornare al punto di partenza: lo avevamo previsto. Dove è stata sperimentata la patente a punti questo effetto si è già avuto. In Francia, dopo 10 anni, si è ottenuta una riduzione stabile degli incidenti intorno al 10 per cento. Il motivo è che la patente a punti è un intervento puramente di controllo e repressione: non agisce sulle situazioni oggettive che creano pericolo di incidente, ma tende a ridurre i comportamenti illeciti. Continua a funzionare, se c’è una fortissima azione di controllo e repressione, come avviene sulle autostrade della Danimarca e in Gran Bretagna. Una ricerca statunitense sostiene che un divieto è rispettato se c’è almeno il 40 per cento di probabilità di essere sanzionati: in Italia tale rischio per l’eccesso di velocità è nell’ordine dell’1 per cento.
Allora, è tutto normale: dobbiamo accontentarci?
No, niente è normale. La Consulta ha sempre sostenuto che la patente a punti è un buon intervento se è accompagnato da provvedimenti che lo fanno apparire come una cosa seria e se è parte di tanti altri interventi, a livello locale, perché l’80 per cento degli incidenti e il 40 per cento dei decessi avvengono in area urbana. Dopo un anno, però, la patente a punti non mostra tutti gli aspetti di serietà: la banca dati centrale fatica a funzionare, le sanzioni arrivano troppo tardi, il recupero dei punti decurtati o della patente finisce per essere più una supermulta che un vero corso di insegnamento a una guida più sicura e responsabile. In Francia, da quest’anno nelle commissioni che riassegnano la patente o i punti c’è uno psicologo specializzato nei comportamenti alla guida, che molte volte riesce a intervenire sul problema del guidatore che causa l’incidente. In Germania c’è una lista nera, con i nomi delle persone che hanno una propensione agli incidenti e alle quali infine non si concede più la patente. Da noi, si va in una scuola guida, si tirano fuori 200-250 euro e si riprende la patente. Si crede che la patente sia un diritto, invece è un permesso. Non è un caso che in Italia il tizio che ha ucciso due persone e ha fatto due mesi di galera, esce, riprende la patente e ne uccide altre tre.
L’intervista
"Accade come il casco, la reazione positiva si allenta"

"Con la patente a punti stiamo assistendo allo stesso fenomeno che ha accompagnato l’introduzione dell’obbligo del casco: la reazione compatta registrata all’inizio col tempo si è allentata un po’, specie nei piccoli centri e in alcune città, dove c’è tolleranza". Il parallelo è immediato per Giancarlo Dosi, ricercatore dell’Istituto superiore di sanità e autore di una Guida alla sicurezza stradale, che recepisce tutte le novità del Codice della strada e si propone come strumento per la formazione degli studenti.
Al netto dell’assuefazione seguita all’entusiasmo iniziale, la situazione complessivamente è migliorata per l’uso del casco. Il sistema Ulisse dell’Istituto, che monitora l’uso dei dispositivi di protezione (casco e cinture), testimonia che l’adesione al nuovo obbligo riguarda ormai il 95 per cento dei ciclomotoristi, vale a dire il 99 per cento al Nord, il 93 al Centro e l’87 nel Sud.
"Dire che il casco ti salva la vita è ormai un luogo comune, anche i ragazzi lo sanno", dice Dosi. "Dall’indagine condotta dall’Istituto intervistando 25mila studenti di 20 regioni risulta che i giovani considerano utile il casco, ma che spesso non lo indossano". Resta da capire il perché. "Il 60 per cento dei nostri ragazzi sale sulle due ruote a 14 anni, ma fino a quell’età non riceve alcuna formazione", osserva il ricercatore. "Come esempio hanno i genitori, che spesso guidano senza preparazione, specie quando entrano in vigore le novità. Prendiamo le autostrade a 3 corsie: pochissimi automobilisti sanno di dovere occupare la corsia di destra, perché fino a poco tempo fa era riservata ai veicoli lenti; quasi nessuno è consapevole del divieto di sorpasso sulle corsie di introduzione a una strada principale e sempre meno conducenti rispettano l’obbligo di dare la precedenza".



di Marta Strinati

da "Il Salvagente" n.37
Giovedì, 23 Settembre 2004
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