Vita
in carcere. Illustrato ieri il corso teso a favorire l’inserimento
dei reclusi nella società | |
Articolo
27 della Costituzione: «Le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione
del condannato». Già, la rieducazione del condannato, il
pilastro di un esperimento che ha coinvolto il carcere di Cà
del Ferro, il comando della polizia municipale e i volontari dell’associazione
‘Zona Franca’. Sessantaquattro detenuti sui 350 reclusi, non
selezionati, italiani e stranieri, hanno studiato le modifiche apportate
al codice della strada: dalla rivoluzione della patente a punti all’obbligo
del ‘patentino’ per i motorini, alle conseguenze penali e
civili della guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di stupefacenti.
C’è stato un interessamento curioso, approfondito da parte
di chi sta dietro le sbarre, persone che un giorno (chi prima, chi poi)
la società dovrà ri-accogliere, padri di famiglia preoccupati
dalle stragi del fine settimana. Suddiviso in otto lezioni per due ore
ciascuna, il seminario, partito in sordina il 20 agosto (domani ultima
lezione), ha avuto un successo così grande che ieri, nel comando
della polizia municipale è stato illustrato in conferenza stampa.
Intorno al tavolo, Maria Gabriella Lusi, direttrice reggente della casa
circondariale, Roberto Re, comandante della polizia penitenziaria, il
presidente di «Zona Franza» Alessio Antonioli, l’assessore
alla polizia municipale Caterina Ruggeri, il comandante dei vigili Franco
Chiari, il vice Pieri Luigi Sforza, i vigili ‘docenti’ Roberto
Ferrari e Annibale Rizzi, entusiasti dell’esperienza sia professionale,
sia, soprattutto, umana. L’assessore Ruggeri ha sottolineato l’importanza
di avvicinare il carcere il più possibile alla città «perché
il carcere non è una realtà a sé, ma fa parte della
vita di questa comunità». L’idea è nata nell’ambito
dell’attività del vigile di quartiere. «Oggi il vigile
ha un ruolo attivo e partecipativo nella vita del territorio, per ristabilire
relazioni», ha detto il comandante Chiari. «Nonostante le
risorse non siano molte» per la direttrice Lusi «il carcere
può e deve fare molto, ma da solo non può fare nulla.
Ha bisogno della comunità esterna sia per le attività
interne (a Cà del Ferro è tra l’altro in funzione
una falegnameria) sia per quelle esterne». Il comandante Re è
tornato sulla funzione rieducativa della pena: «Il carcere deve
insegnare il rispetto delle regole e se deve restituire persone migliori,
passaggio obbligato è la legalità». E ha sottolineato
come le attività che si svolgono in carcere (anche l’istruzione
scolastica), grazie anche al lavoro dei volontari di ‘Zona Franca’,
ha rasserenato gli animi dei detenuti «tanto che sono diminuti
gli atti critici, come l’autolesionismo». Coinvolgere i detenuti
nelle diverse attività organizzate da ‘Zona Franca’
(culturali, corsi formativi di teatro e di musica) perché, una
volta all’esterno, non si sentano degli «extraterrestri».
E’ lo scopo dei volontari dell’associazione presieduta da
Antonioli, per il quale «chiudere la porta e gettare via la chiave
non serve a nessuno, tantomeno alla società che, prima o poi,
deve accogliere i detenuti». A pagina 6 di ‘Libertà
dietro le sbarre’ (Rizzoli, 278 pagine, prezzo 16 euro) Candido
Cannavò scrive: «Il carcere fa parte di questa società,
come le scuole, le chiese, gli ospedali.... Un giorno questa gente lascerà
il carcere. E’ meglio accogliere cittadini recuperabili o relitti
senza speranza? Le famose garanzie di sicurezza che tanta gente invoca
passano anche per questo dilemma al quale una società organizzata
dovrebbe saper rispondere nella maniera più ovvia e più
utile, senza coprirsi gli occhi». F.MO |