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Articoli 23/11/2003

“GLI ANGELI DI BORSELLINO”. RIFLESSIONE SU UN FILM PER RICORDARE, CIO’ CHE IN MOLTI HANNO DIMENTICATO. IL SACRIFICIO CONSAPEVOLE DI UN GIUDICE E DEI GIOVANI POLIZIOTTI DELLA SUA SCORTA.

“GLI ANGELI DI BORSELLINO”.

RIFLESSIONE SU UN FILM PER RICORDARE, CIO’ CHE IN MOLTI HANNO DIMENTICATO.

IL SACRIFICIO CONSAPEVOLE DI UN GIUDICE E DEI GIOVANI POLIZIOTTI DELLA SUA SCORTA.

di Lorenzo Borselli

Il lunedì il bar è chiuso. Niente caffè, niente flipper. Così, per restare sveglio, devo chiacchierare. Un giorno tocca alla Fiorentina, un giorno alla nazionale. Spesso, nei lunedì di questo 2003, ho discusso di Iraq e Afghanistan, di torri gemelle e Nassirya. E i ragazzini, che non sanno cosa fare, si siedono accanto a me “grande”, in realtà poco più che trentenne. Si parla del terrorismo e delle autobomba di Istambul, quando uno dei più giovani interviene e dice la sua sugli arabi. Entra nel discorso, gira attorno a Bin Laden ma ignora chi siano il Mullà Omar e Colin Powell. Finisce col sentenziare che è meglio la Mafia, chiarisce che è meglio Cosa Nostra rispetto ai Talebani. Il giovane oratore, appositamente stimolato a riguardo, alla pronuncia dei nomi di Giovanni Falcone o di Paolo Borsellino, di Rocco Chinnici o Rosario Livatino, di Giuseppe Montana o Emanuele Basile, di Emanuela Loi o Calogero Zucchetto, Ninnì Cassarà e Pio La Torre, Piersanti Mattarella o “Peppino” Impastato, ammette candidamente di non avere la più pallida idea di chi siano.

Stessa scena si ripete quando i nomi sono quelli di Boris Giuliano, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Lenin Mancuso o Cesare Terranova. Chi invece ricorda sa quanto sia lungo quell’elenco, impossibile da liquidare qui, ora. E allora torno con la mente ai titoli che sul Corriere della Sera inneggiavano all’Italia “che si ritrova” ai funerali di Stato di Borsellino e dei suoi Angeli; ci torno con la mente e scopro che undici anni fa, e non cento, l’Italia si accorse di quei dodici eroi polverizzati dalla “Commissione” nel breve volgere di 57 giorni. Si accorsero anche che quei dodici erano gli ultimi di una lista impressionante. Vergognosa.

Pianse davvero l’Italia quando Rosaria, la vedova di Vito Schifani, ai funerali per la strage di Capaci perdonò in diretta mondiale i killer di suo marito; “…mafiosi vi perdono – disse – ma inginocchiatevi…”. E la patria pianse ancora, 57 giorni dopo appunto, quando le telecamere impietose mostrarono ciò che restava di via d’Amelio e scoprirono che su quelle auto blindate sempre in sirena c’erano anche piccoli eroi come Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Eddie Cosina, Antonio Vullo e Claudio Traina. Ricordiamoli, come è giusto ricordare anche Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo, uccisi a Capaci insieme a Giovanni Falcone ed alla moglie Francesca Morbillo, anch’essa magistrato. Eroi a bordo di auto antiproiettile, inutili davanti al tritolo della Mafia, eppure “fastidiose” per qualcuno che doveva riposare e che non lesinò vetriolo nelle lettere inviate ai giornali per lamentarsi dello schiamazzo e delle zone rimozione.

Al giovanissimo interlocutore si accende qualcosa negli occhi. Chiede di sapere qualcosa di più e in questo è fortunato. È da pochi giorni in proiezione nelle sale la pellicola che racconta la fine, ormai dimenticata, del giudice Borsellino e della sua scorta.

Inizia il film, con una struggente canzone sarda, mentre scorrono le immagini di una bellissima donna poliziotto e di altri uomini in divisa. Al corso, in grigio verde o in divisa da allievi, al poligono e al giuramento. Poi due Fiat Croma corrono appaiate in autostrada, inquadrate da lontano. Il centro di un mirino, poi il buio, il film. Non tocca a noi dare un giudizio su come gli attori abbiano interpretato quei ruoli.

La storia fila liscia, asettica, ma non fu così. Sono gli occhi di Emanuela Loi, ingenui e innocenti, che incrociano quelli di Paolo Borsellino, consapevole e colpevole di aver messo in ginocchio la cultura di quel lembo d’Italia soggiogato da secoli al modello di capitalismo mafioso, atterrito dalle strutture militari delle cosche, omertoso nelle sue ragnatele familistiche, parastato modernissimo e arcaico. Paolo Borsellino, a differenza di Emanuela, sa. Sa che in Sicilia, ma nel film non si dice, sono arrivati quintali di esplosivo. Sa che sono per lui, sa che armeranno il plotone d’esecuzione già schierato. Era stato Ninni Cassarà, come ricorderà il giudice Borsellino, a dire “…convinciamoci che siamo cadaveri che camminano…”. Il capo della Squadra Mobile era in auto con lui, il 28 luglio del 1985. Lo accompagnava a Ponticello, dove era stato assassinato il capo della Sezione Catturandi Giuseppe Montana. Il 6 agosto successivo sarebbe toccato proprio a Cassarà ed al suo fido collaboratore Roberto Antiochia.

Poco importa se il lungomare del film non è quello di Palermo, ma quello del Lido di Ostia; poco importa se lungo la strada l’obiettivo volutamente sfuocato della macchina da presa non riesce ad evitare una Smart ed una Punto nuovo modello, che nel 1992 non c’erano ancora; poco importa se l’Emanuela del film chiama “accademia” la Scuola Allievi Agenti di Trieste o se scatta impossibili fotografie in piena notte, con uno zoom senza cavalletto. Sono gli incerti del mestiere, le piccole ingenuità della regia che ha voluto rappresentare un mondo che nessuno potrà mai comprendere a pieno, se non lo vive. Non c’è nella storia, forse perché raccontata con gli occhi di Emanuela, quell’angoscia ai limiti del thriller che serpeggia invece nell’altro grande film sugli anni di piombo in Sicilia, “La Scorta”. Nel film vi è anche una scena in cui una delle auto del corteo, per evitare un ragazzino in Vespa, colpisce un passeggino vuoto, finendo poi contro le auto parcheggiate.

In realtà una gazzella dell’Arma che scortava l’Alfetta blindata di Borsellino, nel 1985, dopo essere stata centrata da una Uno uscita da una traversa, sbandò e finì contro una fermata del bus gremita di studenti. Un quattordicenne di Capaci, Biagio Siciliano, morì sul colpo; Giuditta Milella, 17 anni, figlia del questore in pensione Carlo, morì una settimana dopo senza aver mai ripreso conoscenza. Non c’è da temere nel ricordare quel drammatico episodio. Qualcuno, lo ricordo perfettamente, puntò il dito contro quelle blindate dell’Antimafia sempre in sirena, scordando quanti dell’Antimafia erano già morti ammazzati, facendo finta di non sapere che altri sarebbero stati sacrificati. Non c’era niente da temere nel ricordare anche questi episodi. Il fuoco amico, del resto, uccide anche oggi e nessuno dei genitori dei ragazzi morti o tremendamente mutilati inveì contro i giudici o i carabinieri. Furono bel altre, nella migliore tradizione che caratterizza la lotta a Cosa Nostra, le voci ostili. Provenivano dai salotti della Palermo connivente con il potere mafioso, dal palazzo dei veleni. Altri servitori dello Stato morirono, dopo i ragazzi delle “Quarto Savona”. Poliziotti e Carabinieri. Eroi allora come oggi. Poi, con le manette ai polsi di Salvatore Riina, ‘U Curtu, dei fratelli Brusca e degli altri carnefici, la stagione delle bombe finì. La piovra finita? O forse qualche burattinaio più attento, assorto al comando della Commissione decapitata, faceva calare un provvidenziale sipario di silenzio che ancora oggi copre la scena?

Non lo sappiamo. Comunque sia, non dovrebbe essere un film a ricordare. Questo lasciatecelo dire: dovrebbe essere la scuola, la televisione di Stato, i mass media. Che vivono invece alla giornata, per approfondire il tema del momento e raramente il passato, anche più recente. Il film dovrebbe semmai celebrare. Perdonate la nostra distrazione Eroi, e grazie.

Il Procuratore Paolo Borsellino

Gli attori protagonisti del film

“GLI ANGELI DI BORSELLINO”.

Regia: Rocco Cesareo

Cast: Brigitta Boccoli (Emanuela Loi), Pino Insegno (Agostino Catalano), Vincenzo Ferrera (Vincenzo Li Muli), Alessandro Prete (Eddie Cosina), Francesco Guzzo (Antonio Vullo) e Cristiano Morroni (Claudio Traina), Tony Garrani (Paolo Borsellino)

Genere: Drammatico

Trama: Gli agenti della Polizia di Stato componenti della scorta “Quarto Savona 21” avevano un compito difficile: proteggere il procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino, anche a costo della propria vita. Scorta QS 21 racconta i 57 giorni che separano la strage di Capaci da quella di via D’Amelio attraverso gli occhi di Emanuela Loi, la giovane poliziotta di Sestu in provincia di Cagliari, che non sognava di indossare la divisa, non pensava di impugnare la pistola e non immaginava di diventare, insieme agli altri “angeli custodi” di Borsellino, un “cadavere ambulante”. Sei poliziotti al fianco di un magistrato scomodo, da eliminare in qualsiasi modo, anche a costo di far diventare una strada di Palermo un sobborgo di Beirut. Sei “bersagli mobili” che si opponevano allo spettro di una catastrofe annunciata con tutte le loro forze, anche a costo di forzare le regole. Sei ragazzi che hanno affrontato il peso di una responsabilità più grande di loro… un gruppo solidale e compatto con un dirompente coraggio e tanta voglia di vivere. Emanuela Loi è stata la prima donna poliziotto italiana a morire in servizio.



di Lorenzo Borselli

Domenica, 23 Novembre 2003
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