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Articoli 14/11/2003

NASSIRIYA, LA NOSTRA GROUND ZERO

NASSIRIYA, LA NOSTRA GROUND ZERO


di Lorenzo Borselli
 

E’ la nostra Ground Zero: una corte interna a quella che era la camera di commercio di Nassiriya, una palazzina di tre piani senza più finestre e pareti, un parcheggio fumante pieno di camionette e blindati liquefatti dal calore delle fiamme sprigionate dall’immenso cratere dei kamikaze. Inaspettato. Sì, l’offensiva del terrore al quartier generale d’Italia in Iraq, la caserma Maestrale, non ce l’aspettavamo. Se lo aspettavano i servizi segreti, forse, ma non noi. Il Maestrale, del resto, è un vento leggero, che sulla costa accarezza le vele e le fa correre sul pelo dell’acqua. E correvano a rotta di collo i nostri soldati in quel fazzoletto di mondo, davvero tranquillo rispetto a quella Caporetto dei Marines che è diventata la città delle mille e una notte, Baghdad. Chissà perché avevamo, molti di noi da casa, l’impressione che i nostri ragazzi dell’Arma dei Carabinieri e dell’Esercito impegnati nella missione di pace potessero essere in qualche modo immuni dal piombo dei feddayn di Saddam e dal tritolo umano (ammesso che ci sia ancora qualcosa di umano) dei proseliti di Osama Bin Laden. Cosa può esserci di odioso, anche per gli sceicchi del terrore globale, nel ricostruire strade, riaprire le scuole, rifornire e creare ospedali, dare luce ed acqua?
Non avevamo nemmeno lontanamente pensato che l’essere semplicemente dalla parte dei più deboli, dalla parte del popolo iracheno che, subito dopo quello schianto, si è prodigato per soccorrere gli italiani feriti, potesse essere una ragione più che sufficiente per gli invasati di "Satana". Hanno scelto infatti la caserma Maestrale, l’unica delle forze alleate in Iraq ad avere sede nel centro di una città, e quindi più vulnerabile. Restiamo volutamente fuori dalle polemiche della politica che vuole e non vuole, che voleva e non voleva i nostri uomini laggiù.

Ma non possiamo non ricordare che delle migliaia di militari italiani nel mondo, qui in Italia, c’è davvero poca memoria. Solo un colpo cosÏ sferzante poteva risvegliare la sonnolenta coscienza peninsulare italiana. Lo stillicidio di militari americani e britannici o dei civili iracheni non era bastato. Qualche speciale serale dei tiggì, qualche approfondimento degli show in terza serata o qualche pagina dei settimanali, per non parlare della sbrigatività con cui abbiamo sentito spesso attribuire la scelta di un carabiniere o di un fante, di un parà o di un marinaio, ma anche (va detto ad onore della nostra divisa) di qualche poliziotto, alla consistente indennità retribuita dalla Nato o dall’Onu per armarsi e partire. Sono attualmente 2.715,di cui 68 del Corpo militare e delle infermiere volontarie della Croce rossa italiana, gli uomini impegnati nella missione denominata forse un po’ troppo eufemisticamente "Antica Babilonia" nell’ambito dell’operazione "Iraqui Freedom", a sostegno del contingente statunitense e inglese. Un sostegno reale, in qualche misura anche più efficace della presenza stessa di chi quella guerra l’ha condotta attivamente e che, quindi, non può essere visto da tutti come un salvatore o un soccorritore. Gli italiani sÏ. Dalla fine della seconda guerra mondiale infatti la missione di pace è stata una costante per i soldati della nostra patria, che spesso hanno pagato un alto tributo di sangue. Ed anche se le missioni sono sempre di peace keeping, non ci si può scordare che la guerra con i suoi cecchini, con i suoi kamikaze, con i suoi irriducibili o con le sue mine, è sempre in agguato. E questa, data la matrice stessa della sua motivazione, non poteva essere una semplice missione di osservazione, alla stregua di quelle svolte da piccoli nuclei di Ufficiali e Sottufficiali per conto di organizzazioni internazionali come l’Onu, l’Osce o la Comunità Europea, alla presenza di delegazioni di esperti. è una delle tante guerre globali che la nostra società si trova a combattere. Una, ci sia consentito, è quella che combattiamo anche noi dell’Asaps a sostegno della polizia stradale e di tutti coloro che sono sulla strada quotidianamente;in questo fronte gli uomini in divisa hanno pagato spesso con la vita la loro presenza sul campo. Torniamo però ai nostri militari nel mondo. Ma quanti sono? Quanti rischiano la vita in nome dell’impegno italiano sul fronte umanitario? Secondo i dati forniti dal Ministero della Difesa, sono 8.841: Afghanistan, Bosnia, Kosovo, Albania, Etiopia ed Eritrea, ma anche Israele, India e Pakistan, Libano, Marocco, Egitto, Malta e Liberia. La maggior parte di loro, 4.905 per l’esattezza, e’ presente nell’area Balcanica, sotto l’egida dell’Onu. I Carabinieri in Iraq sono invece400, inquadrati nell’unità MSU: letteralmente "Multinational Specialized Unit", fiore all’occhiello dell’Arma, che svolge peraltro compiti anche di Polizia Militare. Secondo il dicastero del Ministro Antonio Martino,l’operazione "Antica Babilonia", nell’ambito dell’operazione "Iraqi Freedom", e’ composta da 2.320 uomini del contingente interforze, 270 marinai imbarcati sulla nave San Giusto, mentre 38 sono i militari di stanza in Kuwait.

Il totale dell’impegno delle nostre forze armate nella lotta al terrorismo internazionale sale a quasi 13 mila uomini se si conta, invece, la vigilanza antiterrorismo in Italia. La componente dell’Esercito e’ costituita sulla base della Brigata meccanizzata ’’Sassari’’ che si è insediata fuori città, presso il campo ’’White Horse’’ a 15 chilometri dal centro abitato di Nassiriya e che ha preso il posto, nei mesi scorsi, dei bersaglieri della ’’Garibaldi’’, mentre tutto il contingente può contare sull’appoggio dalla Marina Militare schierata con la nave anfibia ’’San Giusto’’ con a bordo componenti sanitarie e uomini delle forze speciali e dei reparti subacquei del Comando Incursori, tre elicotteri SH-3D. L’Aeronautica Militare, dal canto suo, partecipa alla missione irachena con il 6° Reparto Operativo Autonomo a Tallil composto da 220 uomini e con 3 elicotteri HH-3F in dotazione. Per quanto riguarda le regole d’ingaggio dei nostri militari, essi possono utilizzare la forza in ragione esclusiva della la tutela e la sicurezza fisica. Ogni soldato italiano in Iraq è soggetto al Codice Penale Militare di guerra, cosÏ come previsto per ogni attività militare extraterritoriale. Ma ogni gesto dei militari è finalizzato alla creazione ed al mantenimento di un ambiente sicuro, per garantire soprattutto alle generazioni future una vita degna di tale aggettivo. Proprio quello che vorremmo tutti noi che indosso abbiamo l’uniforme. Una nazione, una regione, una strada. Speriamo tutti che il loro sacrificio non sia stato vano.


 

 

 

 

 


di Lorenzo Borselli

Venerdì, 14 Novembre 2003
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