Le imprese
tornano all’attacco per la detrazione Iva sugli autoveicoli aziendali
e puntano a una pronuncia della Corte Ue. A smuovere le acque sono le
associazioni e Unioni industriali del Nord-Est appartenenti a Confindustria,
che ieri hanno ufficialmente invitato gli iscritti a presentare istanza
di rimborso per poi usare l’inevitabile diniego per avviare il contenzioso.
"Il recupero dell’Iva – dicono gli imprenditori – è
un diritto che va ripristinato in Italia, permettendo alle imprese di
usufruire di diritti sanciti dai regolamenti comunitari". L’iniziativa
è stata del Coordinamento tributario Triveneto, che ha prospettato
alle imprese aderenti l’opportunità di agire concretamente per
il recupero dell’imposta. La mancata detrazione colpisce l’Iva pagata
su acquisto o importazione di autovetture e autoveicoli per trasporto
promiscuo, motocicli, ciclomotori, prestazioni di servizi che hanno
per oggetto la produzione, la locazione finanziaria o il noleggio degli
stessi e acquisto di carburanti e di lubrificanti.
La questione risale al 1979, quando, con successive proroghe e sempre
per motivi di carattere congiunturale, la legislazione italiana ha ridotto
e, successivamente, escluso il diritto alla detrazione dell’Iva su acquisto
e impiego di autoveicoli utilizzati dalle imprese nello svolgimento
della propria attività; ripristinando poi parzialmente tale diritto
(nella misura del 10% dell’imposta), solo a decorrere dal 2001. Mentre
le direttive comunitarie (specialmente la VI) pongono precisi limiti
all’introduzione di eventuali deroghe al principio della detraibilità,
che possono essere adottate dai legislatori nazionali solo temporaneamente,
e comunque osservando una specifica procedura.
Proprio sulle date si gioca una fase importante della partita avviata
dagli imprenditori del Triveneto, perché in base al principio
dello stand still le deroghe vigenti al momento dell’entrata in
vigore della VI direttiva potevano restare in vita, mentre quelle successive
erano da considerarsi fuori direttiva. Questo è appunto il caso
delle deroghe italiane.
"L’azione di recupero – dice il coordinatore Andrea Gatos
– prevede una prima fase amministrativa, attraverso istanze di
rimborso all’Ufficio competente dell’agenzia delle Entrate, e, nel caso
di esito negativo, l’apertura di un contenzioso in Commissione tributaria".
Il passo successivo dovrebbe essere la rimessione della questione alla
Corte di Giustizia Ue. Anzi, gli industriali non vedono di buon occhio
un’eventuale opzione dei giudici tributari per il self execu- ting,
"perché una sentenza favorevole riguarderebbe il singolo
caso – dice Gatos – mentre noi puntiamo a una pronuncia che
costringa l’Italia ha rivedere la norma.
<<Nel campo dell’applicazione delle imposte sul reddito,
la legislazioni degli Stati appartenenti alla Comunità europea
— osservano gli industriali — presenta ancora marcate differenze.
Con la riforma tributaria in corso di attuazione, si sta compiendo un
passo spontaneo nella direzione di un avvicinamento del sistema fiscale
italiano a quello dei maggiori Paesi della Comunità, in vista
di una futura armonizzazione nell’ambito comunitario, che, però,
è ancora da realizzarsi".
di Romeo Gabellini