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Troppi
morti sulle strade, vittime del delirio di onnipotenza. | ||
Storie
che, quasi sempre, hanno alla base un comportamento di consapevole trasgressione
delle norme, sottovalutato dalla giustizia. Il "buonismo"
con cui essa tratta l’omicidio consumato sulla strada con l’arma impropria
del mezzo di trasporto contribuisce a delegittimarla, diffondendo nella
società il messaggio che si può delinquere impunemente.
Processi e sentenze che offendono la dignità delle vittime e
dei familiari, costretti nei tribunali a subire una seconda vittimizzazione.
Quando ho fatto notare al pubblico ministero che la morte di Valeria non era dovuta a una pura casualità, ma all’azione volontaria di chi aveva deciso di pigiare follemente il piede sull’acceleratore, trasgredendo consapevolmente la norma e rendendosi responsabile delle conseguenze, per cui la pena doveva essere adeguata alla gravità della colpa, mi è stato risposto: "Il morto è morto, diamo aiuto al vivo". Ma anche nel Tribunale di Spoleto, ai genitori che non ritengono adeguata la pena per quattro ragazzi uccisi, il pm risponde: "In tribunale non si fanno rivalse". C‚è da domandarsi come la richiesta di giustizia possa considerarsi rivalsa anziché un sacrosanto diritto del cittadino. A Fermo, ai genitori che sperando nella verità presentano un‚ulteriore documentazione, il pm risponde: "Cos‚è questa, un‚altra puntata?". A Roma, l’avvocato dell’imputato si rivolge in questo modo ignobile alla madre della vittima: "Sarebbe ora che i genitori voltassero pagina!". Potremmo continuare con altre "frasi celebri", per documentare la distanza tra chi gestisce la giustizia e l’esigenza di verità e di giustizia dei familiari delle vittime. Frasi celebri che esprimono anche quella stessa deprecabile superficialità che perpetua le stragi, riscontrabile nei comportamenti delle persone e delle istituzioni: agire come se l’io fosse misura di tutte le cose e mancare di attenzione all’altro, dimenticando che la relazione umana dà senso e alimenta la nostra stessa vita. Al volante, come negli uffici, crediamo di poter fare quello che vogliamo, agendo come se la strada e la poltrona fossero nostre e non un mezzo a servizio della vita e delle persone. Possiamo pigiare prepotentemente il piede sull’acceleratore, dando libero sfogo ai nostri desideri di potenza, specie se i controlli sono assenti, come spesso accade sulle strade. Forse con la complicità dei nostri stessi governanti che ci permettono i 150 chilometri all’ora. Con l’auto, in fondo, potremmo anche uccidere, tanto la giustizia ci consente di non fare un giorno di carcere e di non pagare un euro. Siamo nel tunnel della strage, e fermarsi a contare i morti in più o in meno della settimana prima o di quella dopo non serve a risolverla. Per uscirne, bisogna liberarsi dai lacci della superficialità, ai quali si legano gli interessi egoistici e un modo distorto e settoriale di impostare i problemi, per riscoprire quei valori che appartengono a tutti e con i quali ciascuna istituzione o persona deve misurare le proprie scelte, coordinando gli interventi, controllando i risultati e modificando le azioni inefficaci. Il cambiamento è di carattere etico-culturale e richiede il nostro impegno democratico, poiché la vita distrutta sulla strada è la nostra stessa vita, la nostra dignità offesa, il nostro futuro fatto dolore. l’Associazione italiana familiari e vittime della strada è radicata con circa 60 sedi in tutto il territorio nazionale. L’indirizzo della sede centrale: via A.Tedeschi 82 - 00157 Roma. Telefono 06/41.73.46.24. Sito Internet www.vittimestrada.org. E-mail info@vittimestrada.org. Giuseppa
Cassaniti Mastrojeni |