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di Paolo Carretta*
La tutela del confine marittimo dell’Unione Europea, operata da nave da Guerra

L’equipaggio del R.D. 36 non aveva motivo di dubitare, per ragioni di fatto, d’essere a bordo di una “nave da guerra”; periva infatti al completo nell’affondamento della propria unità, per offesa nemica, durante l’evacuazione (degli italiani) da Tripoli ed il loro trasferimento in Sicilia con tutto il naviglio disponibile. Nel mese di gennaio del 1943 erano infatti i nostri connazionali a fuggire dalla guerra

 

Medaglia d’oro al Valor Militare al Dragamine 36 della Guardia di Finanza.
Dragamine comandato ed armato da personale della Guardia di Finanza, agli ordini del Comandante della Flottiglia, attaccato nella notte del 20 gennaio 1943 da preponderanti forze navali nemiche, correva incontro
all’avversario nell’eroico intento di colpire e salvare le altre unità della formazione, fino a trovarsi a portata delle proprie modestissime armi di bordo.
Aperto il fuoco, cercava di arrecare al nemico la maggior possibile offesa continuando a sparare, benché colpito più volte, fino a quando soccombeva nell’impari lotta inabissandosi con il Comandante e l’intero equipaggio. Sublime esempio di indomabile spirito aggressivo di sovraumana determinazione e di dedizione al dovere fino al supremo sacrificio
Mediterraneo centrale, 20 gennaio 1943

Conforme e costante fino ad un certo punto, per ragioni di diritto, risultava peraltro l’avviso della Suprema Corte, ritenendo indubbia la qualifica di nave da guerra da attribuirsi ad una “motovedetta della Guardia di Finanza, comandata ed equipaggiata da personale militare”, peraltro iscritta nel Ruolo speciale naviglio militare, anche a prescindere dall’esercizio attuale di funzioni di polizia marittima; quanto precede in ordine all’integrazione della fattispecie di resistenza o violenza contro nave da guerra cui all’art. 1100 del Codice della Navigazione. Il naviglio del Corpo è infatti così classificato a mente dell’art. 6 della L. 13 dicembre 1956, n. 1409 (norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi) che punisce gli atti di resistenza o di violenza contro di esso con le stesse pene stabilite dall’art. 1100 Codice della Navigazione, per la resistenza e violenza contro una nave da guerra (Cass. Sez. 3, n. 9978 del 30.6.1987). Il richiamato delitto concorre peraltro con il delitto di resistenza a pubblico ufficiale di cui all’art. 337 cp, in ragione della diversità del bene giuridico tutelato.

...“Non ha rilievo il fatto che la manovra della imbarcazione privata non abbia mai messo a repentaglio la incolumità fisica dell’equipaggio della motovedetta militare, giacché la materialità del delitto è integrata anche dalla c.d. resistenza impropria, la quale, pur non aggredendo direttamente la persona fisica del pubblico ufficiale, comunque impedisce od ostacola l’esercizio della sua pubblica funzione”.

Appare perciò discutibile il riferirsi, come si è fatto, alla sentenza della Corte Costituzionale n. 35 del 2000 (sul giudizio di ammissibilità, della richiesta di referendum popolare per la smilitarizzazione della GdF) per negare lo status di nave da guerra al naviglio del Corpo nelle acque nazionali, argomentando che nella citata sentenza vengano prese in considerazione le acque internazionali e i porti esteri privi di Autorità Consolare, come luogo di esercizio della sovranità tipica delle navi da guerra, non venendo espressamente citate le acque nazionali. Pare infatti potersi ascrivere tale assunto, alla volontà di motivare l’indispensabile mantenimento dello status di militare per gli appartenenti al Corpo, chiamati a svolgere importanti funzioni di polizia e diplomatiche anche fuori dalle acque territoriali e all’estero, piuttosto che a negarne la militarità, anche con riferimento al naviglio, nelle acque costiere. La convenzione di Ginevra sull’alto mare del 29/04/58 prevede che le navi da guerra possano “arrestare”, ai fini del controllo, le navi estere in acque territoriali.
La definizione di nave da guerra si rinviene nella convenzione di Montego Bay del 10/12/1982 all’art 29 (in vig. dal 16/11/1994), come tale intendendo “una nave che appartenga alle Forze Armate di uno Stato, che porti i segni distintivi esteriori delle navi militari della sua nazionalità e sia posta sotto il comando di un Ufficiale di Marina al servizio dello stato e iscritto nell’apposito ruolo degli Ufficiali o in documento equipollente, il cui equipaggio sia sottoposto alle regole della disciplina militare”. Orbene la Cassazione penale, Sezione III, Sentenza 20 febbraio 2020 (ud. 16 gennaio 2020), n. 6626, volta tra l’altro a dirimere questioni conseguenti alla condotta del Comandante della nave Sea Watch 3, dopo la nota decisione del GIP di Agrigento, ha evidenziato nella parte motiva l’assenza della qualifica di ufficiale da parte del comandante della motovedetta in argomento, cui conseguirebbe l’inapplicabilità della qualifica di “nave da guerra” pur in presenza di quella di “nave militare”. Giunge qui opportuno richiamare il fatto che gli ufficiali del Corpo sono presenti ed assumono normalmente la qualifica di comandante sulle unità maggiori, guardiacoste e soprattutto pattugliatori, non su quelle minori. La vedetta in questione era al momento al comando di un sottufficiale esercitando funzioni di polizia marittima, volta a garantire un pacifico, ordinato e sicuro svolgimento delle attività portuali e del mare territoriale (art. 524 reg. cod. nav.).

Appunto il fatto di trovarsi all’interno delle acque territoriali italiane e quindi dell’Ue, induce tuttavia ad una considerazione circa l’attualità di tale qualifica, in acque diverse da quelle internazionali o dei porti stranieri, anche quando al comando dell’unità navale vi sia un sottufficiale. Appare infatti chiara la volontà del Legislatore, dell’Ue e nazionale, riguardo ai poteri attribuiti al naviglio della Guardia di Finanza, in relazione alla tutela dei confini doganali, rilevando gli stessi come l’unica vera frontiera che giustifichi l’esercizio di ogni potere di controllo. Dal 1° gennaio 1993 il confine politico con gli altri Stati dell’Ue non costituisce infatti linea doganale e il concetto di territorio doganale (Unionale) è esteso (con eccezioni) a quello dell’intera Ue, compresi le acque territoriali, le acque interne e lo spazio aereo (art. 4, Codice doganale dell’Unione – CDU, Reg. UE, n. 952/2013) rilevando solo il confine definibile esterno. Nella ZVD (Zona di Vigilanza Doganale) marittima (art. 29 TULD, n. 43/1973) ovvero la fascia di mare che va dalla linea doganale sino al limite esterno del mare territoriale (12 miglia marine) i militari della GdF possono recarsi a bordo delle navi di stazza netta non superiore a 200 tons, per farsi esibire dal capitano il manifesto prescritto a norma dell’articolo 105 e gli altri documenti del carico. Se il capitano non è munito del manifesto o si rifiuta di presentarlo, ed in qualunque caso in cui vi sia indizio di violazione di norme doganali, la nave è scortata alla più vicina dogana per i necessari accertamenti” (art. 30 TULD). Per le navi di stazza netta superiore a 200 tons la vigilanza è esercitata sui loro movimenti entro la ZVD, ma quando si tenta l’imbarco o lo sbarco ovvero il trasbordo, dove non sono uffici doganali, i militari possono salire a bordo, richiedere i documenti del carico e scortare le navi stesse alla più vicina dogana per i provvedimenti del caso. La GdF, ha facoltà di effettuare la sorveglianza anche oltre le acque territoriali per contrastare i traffici marini illeciti (L. 11/03/88, n. 66), mentre la convenzione di Ginevra sull’alto mare del 29/04/58 prevede che le navi da guerra (qualifica pacificamente riconosciuta, sino ad ora a tutte le unità della GdF dalla S.C.) possano “arrestare”, ai fini del controllo, le navi estere in acque territoriali.

Uno Stato costiero (art. 25 della cit. conv. di Montego Bay) può adottare le misure necessarie per impedire nel suo mare territoriale ogni passaggio che non sia inoffensivo … nel caso di navi dirette verso le acque interne o allo scalo presso installazioni portuali situate al di fuori delle acque interne, avendo anche il diritto di adottare le misure necessarie per prevenire ogni violazione delle condizioni alle quali è subordinata l’ammissione di tali navi nelle acque interne o a tali scali.
La Giurisdizione penale (art. 27 conv. cit.), relativamente ad una nave straniera, non dovrebbe di massima essere esercitata a bordo se la stessa transita in maniera inoffensiva nel suo mare territoriale, viceversa ciò  può farsi per procedere ad arresti o condurre indagini connesse con reati ivi commessi durante il passaggio, quando: a) “le conseguenze del reato si estendono allo Stato costiero; b) il reato è di natura tale da disturbare la pace del paese o il buon ordine nel mare territoriale”.  In materia di sostanze stupefacenti e psicotrope la possibilità di procedere a perquisizione e cattura di navi ed aeromobili sospetti di attendere al traffico illecito può riguardare sia una nave italiana da guerra che in servizio di polizia, priva cioè dei requisiti formali previsti per integrare tale definizione, ma in ogni caso, ricorrendone le condizioni, gli Stati rivieraschi possono normare, sia da un punto di vista legislativo che regolamentare (art. 42 conv. cit), in merito a tutte o una qualsiasi delle seguenti materie: … omissis … valuta o persone in violazione delle leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari e d’immigrazione …
Esiste ed è evidente, allo stato, una contraddizione, tra quest’ultima sentenza della Suprema Corte e le precedenti, circa la qualifica di nave da guerra da attribuirsi ad una vedetta della Guardia di Finanza al comando di sottufficiale nelle acque interne. Dal citato contrasto giurisprudenziale e dal quadro normativo, pare non evidenziarsi peraltro un limite per il Legislatore Ue, come per quello nazionale dell’art. 6* della L. 13 dicembre 1956, n. 1409, nell’attribuire l’esercizio degli stessi poteri previsti per una nave da guerra nelle acque territoriali, anche ad una nave militare della G.d.F. al comando di un sottufficiale. Una questione ermeneutica che potrebbe meritare in futuro un intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte per determinare un indirizzo univoco. 
    
Art. 6*. Il capitano della nave nazionale che commette atti di resistenza o di violenza contro una unità di naviglio della Guardia di finanza è punito con le pene stabilite dall’art. 1100 del Codice della navigazione.
Conferma infatti (S.C., sez. III Pen., sent. n. 31403 del 14 giu. 2006) tale attribuzione, per le motovedette della GdF, anche in occasione dello speronamento da parte di una barca adibita alla pesca abusiva di molluschi nella laguna veneta, quindi in acque territoriali; il natante non si era fermato all’intimazione dell’alt e, al fine di evitare l’abbordaggio, aveva speronato la motovedetta. Risulta del tutto irrilevante per la S.C. che i giudici di merito non abbiano concretamente rilevato se la motovedetta fosse o meno iscritta all’interno del ruolo del naviglio militare e se questa recasse il segno distintivo del corpo militare della Guardia di Finanza.

Ma l’Italia si è arresa a Lampedusa

The King of Lampedusa tells the incredible true story of an Italian garrison surrendering to a young Jewish pilot from the East End of London when he landed on the Italian island of Lampedusa during the Second World War. L’incipit è riferibile alla presentazione di un’opera teatrale del genere yiddish, ispirata ad un evento accaduto realmente nel 1943, mentre si preparava l’invasione della Sicilia (operazione Husky), ovvero la resa dell’intera guarnigione italiana di Lampedusa (4300 uomini circa, tra Regio Esercito e Regia Marina) nelle mani del Sgt. Pil. Sydney Cohen della RAF, costretto da un’avaria del suo biplano monomotore Swordfish (two-man crew) con equipaggio di due uomini, ad un atterraggio di emergenza sull’isola. Lui e il navigatore Sgt Peter Tait, manifestarono immediatamente la propria volontà di resa, ai molti militari che li avevano circondati: “A crowd of Italians came out to meet us and we put our hands up to surrender, but then we saw they were all waving white sheets shouting, "No, no - We surrender. The whole island was surrendering to us!” – traduzione - “Un gruppo di italiani ci venne subito incontro. Noi eravamo pronti ad arrenderci, ma constatammo immediatamente che, con sé, portavano delle lenzuola bianche. No, no, siamo noi che ci arrendiamo. Fu così che l’intera isola si arrese a noi”. L’epilogo fu la formale sottoscrizione di un atto di resa con l’Ammiraglio comandante militare dell’isola.
Sydney Cohen, sarto londinese nella vita civile, divenne così il comandante militare (signore) di Lampedusa, finchè il velivolo non venne riparato e rifornito di carburante, permettendogli di notificare l’atto di resa ai comandi alleati, a Tunisi. L’evento ebbe vasta eco mediatica (non da noi), perché era il primo lembo di territorio metropolitano del Regno d’Italia (in cui vigevano le leggi razziali) ad essere liberato, proprio ad opera di un ebreo. Il drammaturgo (yiddish) S.J. Charendorf, ne curò una trasposizione teatrale, andata in scena lo stesso anno che provocò le ire naziste, manifestate attraverso minacciose trasmissioni radiofoniche.


1) Un biplano monomotore Swordfish, con equipaggio di due/tre uomini, che era stato protagonista del siluramento della flotta italiana a Taranto ma che nel 1943 era irrimediabilmente superato.
2) Il pilota Sidney Cohen, King of Lampedusa.

Nel canale di Sicilia, con la brexit, finirono anche il sovranismo
nostrano (borbonico) e quello francese

Pubblicazione del geologo Constant Prévost, imbarcato sul brigantino La Fleche

L'isola emerse dalle acque, tra Sciacca e l'isola di Pantelleria, nel 1831, come parte visibile del vulcano sottomarino Empedocle, a seguito di un’eruzione che terminò il 20 agosto, raggiungendo una superficie di circa 4 km² e 65 m di altezza. L’ammiraglio Inglese sir Percival Otham ne prese immediatamente possesso in nome di sua maestà britannica, battezzandola isola “Graham”. Ferdinando II, Re delle due Sicilie, la rivendicò però per ragioni di contiguità territoriale, denominandola “Ferdinandea” ed occupandola a sua volta con un distaccamento. Ma non erano i soli contendenti, perché anche la Francia aveva delle mire ed inviò il brigantino La Fleche, che innalzò sul punto più alto il tricolore transalpino, per affermarne il possesso e ribattezzandola “Iulia” perché comparsa nel mese di luglio. I rappresentanti dei tre contendenti rischiarono un conflitto armato, ma poi rimisero la questione ai propri governi. In effetti, alla stregua del diritto del mare, doveva ritenersi “Insula in mari nata” ed in quanto tale appannaggio del primo governo che l’aveva occupata, ovvero la Gran Bretagna. La disputa venne però risolta dalla natura stessa che ne provocò l’affondamento (entro l’8 dicembre) disattendendo il buon diritto britannico e costringendo gli stessi uomini della Royal Navy ad abbandonarla.

*Colonnello Guardia di Finanza

 

 


Un interessante articolo di Paolo Carretta Col. della Guardia di Finanza su un tema che per i non addetti ai lavori è poco conosciuto. Da il Centauro n.228. (ASAPS)

Giovedì, 19 Marzo 2020
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