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Articoli 11/04/2020

di Lorenzo Borselli*
Covid-19
Ciò che abbiamo imparato…

 

(ASAPS) Forlì, 11 aprile 2020 – Ad oltre un mese dall’inizio della pandemia, gli interrogativi che ci poniamo sono assai diversi da quelli che ci hanno tolto il sonno dopo le prime morti di Codogno, dopo l’esplosione virale di Alzano Lombardo e dopo le iniziali zone rosse, allargate poi, seguendo il percorso del virus, a tutto il territorio nazionale. Abbiamo perso e stiamo perdendo un’intera generazione di anziani: spesso di saggi, di molti intellettuali, quasi tutti nonni dei nostri figli, genitori del nostro benessere. Muoiono anche i giovani, i meno vecchi, i nostri amici, colleghi. Muoiono atleti e persone in sovrappeso, muoiono i diabetici e i cosiddetti sani. Non parliamo più del colore della pelle di nessuno e, a dirla tutta, abbiamo fatto una tale indigestione di notizie false (definiamole in italiano, ora che la Brexit è realtà) che qualche anticorpo, speriamo, lo abbiamo sviluppato anche in tal senso. Ci stomacano le tante catene di Sant’Antonio e anche le quotidiane conferenze stampa dalla Lombardia e dalla Protezione Civile Nazionale, ci hanno un po’ stancato: più che altro, ci prova fortemente il dover quasi gioire del fatto che invece di 900 muoiono in 500…

Siamo esausti delle lezioncine sull’uso delle mascherine, tantopiù che ogni giorno qualcuno dice la sua in maniera diversa, e l’eco di tutti quei cori che intonavano l’inno tricolore si è spenta con il “silenzio” che accompagna gli autocarri tattici dell’Esercito, pieni non di armi, ma di feretri diretti ai crematori. C’è troppa gente in giro, dicono, ma mentre tutti noi combattiamo in casa pensando che sia la cosa più giusta, in tv c’è sempre qualcuno che dice che dobbiamo riaprire le fabbriche, i negozi, i ristoranti. Abbiamo imparato che per un paese straniero che ci aiuta, c’è qualcun altro che non vuole farlo, che vuole “venderci” i soldi che ci servono per un “dopo” che è già qui (ora), ma che al tempo stesso è ancora troppo lontano.
La nostra dignità di Paese è messa a dura prova e ora che siamo in grande, grandissima difficoltà, vedere le spallucce dei tecnocrati “europei”, ci fa molto male. Fa male individualmente e, soprattutto, collettivamente.
Ma sapete cosa ci ferisce di più?
Pensare che, a un tratto, l’intera società scopre il valore, il senso, il significato del “servizio pubblico”. Scopre ad un tratto che se fin dagli albori della società il genere umano ha lottato contro l’isolamento, per migliorare la sua condizione, una ragione c’è.
Se ci priviamo di parte di ciò che è individualmente nostro, per donarlo all’insieme, è proprio per avere indietro qualcosa quando ce n’è bisogno.

Oggi quelle cose si chiamano “cura e protezione”, ma non possono essere dispensate sulla collettività come potrebbe fare il Papa con la sua benedizione solitaria in mondovisione. Eh no...
Ci sono persone che devono uscire di casa e queste persone sono medici, infermieri, operatori sanitari (quelli che puliscono), spazzini, negozianti, commesse/i autotrasportatori, autisti di autobus e treni, piloti, magistrati, poliziotti e i becchini. Perfino i corrieri che ritirano le capsule del caffè o le scarpe comprate on-line, perfino i riders che ci portano il kebab (e molto altro) a casa. Tutta gente pagata poco (magistrati a parte che, oggettivamente, guadagnano bene).
Ci scuseranno le categorie che abbiamo dimenticato. Perché sono tante, silenziose, le categorie di lavoratori indispensabili, che si ammalano e muoiono per curarci e per non farci mancare NIENTE.

Queste categorie sono sempre indispensabili, non solo adesso: il resto, come si dice a Firenze, è “fuffa”. Alla fine, anche ciò che resta del Servizio Sanitario (una volta Nazionale), ha risposto come poteva, sicuramente con una prova di coraggio e abnegazione, nonostante i tagli, le corruttele, i baroni e i raccomandati.
Qualcuno, poi, dovrà spiegarci come abbiano fatto molti vip (pensiamo per esempio a qualche illustre calciatore) ad avere avuto SUBITO il tampone (il sottoscritto ha atteso diligentemente 18 giorni - negativo) e ad evadere con jet privato dalla quarantena imposta con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, mentre le categorie a rischio, anche se sarebbe più corretto definirle “naturalmente esposte al contagio”, non hanno avuto tale privilegio. Qualcuno spiegherà anche perché migliaia di morti siano sfuggiti al censimento e, con essi, i loro familiari conviventi.
Perché: andrà “anche” tutto bene, e aggiungiamo al noto hashtag ai fini del senso del discorso la congiunzione “anche”, ma prima di riaprire le fabbriche e vanificare il lavoro malpagato dei nuovi eroi, che, ricordiamolo, guadagnano stipendi che possono essere tranquillamente essere categorizzati come “da fame”, pensiamoci bene. Perché, dopo, sarà troppo tardi.
E anche l’aver finalmente constatato che di capitani d’industria o illustri sportivi o personaggini da avanspettacolo che salvano vite non ne abbiamo visti, sarà circostanza prontamente dimenticata.
È storicamente provato che le crisi come questa, crisi che generano processi fortemente recessivi, alla fine rendono più ricchi i ricchi e più poveri i poveri.
Col risultato che la futura retorica del giorno dopo, sarà solo una retorica vuota e noi cosa avremo imparato?
Nulla. (ASAPS)

 

* Ispettore della Polizia di Stato
Responsabile nazionaledella comunicazione di ASAPS


La nostra dignità di Paese è messa a dura prova e ora che siamo in grande, grandissima difficoltà, vedere le spallucce dei tecnocrati “europei”, ci fa molto male. Fa male individualmente e, soprattutto, collettivamente.
Ma sapete cosa ci ferisce di più?
Pensare che, a un tratto, l’intera società scopre il valore, il senso, il significato del “servizio pubblico”. Scopre ad un tratto che se fin dagli albori della società il genere umano ha lottato contro l’isolamento, per migliorare la sua condizione, una ragione c’è.”
Un articolo di grande riflessione del nostro Lorenzo Borselli. (ASAPS)

 

 

 

Sabato, 11 Aprile 2020
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