Il
mio sogno giovanile è stato quello di dedicare alla pittura tutte
le miei energie, a emulazione di mio padre e di mio nonno, artisti che
ho sempre ammirato.
I casi della vita mi hanno portato ad abbandonare ben presto i progetti
artistici, ma mi hanno consentito di esercitare un mestiere affascinante,
stimolante come quello del designer, del creatore di forme non pure, artistiche,
ma applicate al processo riproduttivo. A questo riguardo spesso mi chiedo
e mi si chiede "quando una forma è bella?", "perché
è bella?", "cos’è il bello?", "che
cosa lo discrimina dal brutto o, almeno, dal banale, dal poco significante?".
Sono argomenti difficili che riconducono ai valori assoluti e universali,
a quelle meditazioni di natura filosofica e metafisica che ricorrono lungo
tutta la storia del pensiero.
Mi permetto di chiamare in causa le mie letture giovanili - che ancora
ho il piacere di riprendere - sulla filosofia antica del vecchio Continente,
sui padri del pensiero greco e sulla teoria delle Idee, dei Valori e della
Bellezza espressa da Platone. Ebbene, io ritengo che dopo quasi 25 secoli
il suo approccio alle tematiche estetiche sia ancora valido, attuale,
fresco, inattaccabile.
I valori del giusto, del buono, del bello, sono da sempre dentro di noi,
rappresentano la verità assoluta, sono i criteri di giudizio ai
quali attingiamo se ci sforziamo di calarci in noi stessi e meditare.
La forma di un oggetto, un fiore, un volto di donna ci paiono belli istintivamente,
inconsciamente: in effetti hanno il pregio di riferirsi a quel criterio
emotivo, a quella capacità di discernere, di selezionare e di classificare
che ciascuno di noi si porta dentro.
Se poi l’uomo ha la possibilità, la costanza, la volontà
di sollecitare, di far crescere il dialogo con la propria interiorità,
ecco che l’approccio estetico - come quello etico - si affina, matura,
completa la propria personalità, giustifica l’ impegno e il
coinvolgimento nel proprio ambito e nella società.
Le proporzioni essenziali della facciata di una chiesa romanica, le morbide
volute di una scultura di Moore o di Botero, i tratti marcati, sofferti,
angosciati, interrotti, oscuri di un dipinto di Goya, di Picasso o di
Bacon, suscitano reazioni e sentimenti alterni ma tutti riconducibili
ad una matrice introspettiva rapportata al bello.
Nel design, arte applicata all’oggettistica di mercato, al concetto
di bello devono abbinarsi quelli di utile, funzionale, pratico, originale,
facilmente comprensibile e fruibile.
Noi designer siamo chiamati ad introdurre forme che abbiano il pregio
della innovazione nella linea o nelle modalità di impiego. A queste
richieste della committenza cerco di rispondere assegnando al prodotto
nuovo un ulteriore requisito: l’onestà del tratto e del messaggio
che la forma porta con sé, senza caricarla di forzature che provocano
emozioni forti al loro apparire ma degradano e si spengono ben presto.
Se analizzo le presumibili ragioni del successo di auto da me concepite
- come la Golf o la Maserati 3200 GT - o prototipi di ricerca - come la
Medusa o la Bugatti EB 112 o l’Alfa Romeo Brera - concludo che è
proprio la semplicità del messaggio formale e funzionale ad aver
conquistato l’attenzione del mercato e dei critici. Sono un cultore
dei dettagli, dei giusti equilibri, così come si percepiscono in
un orologio classico, in un monile, in una penna stilografica. Il bello
fruito con la passione di un collezionista, con l’esercizio piuttosto
che generato dall’emozione vistosa, con la curiosità, l’allenamento
a superare l’apparenza per scoprire il contenuto, l’archetipo,
l’idea.
Le
fonti dell’ispirazione.
Il mio mestiere consiste nel progettare prodotti di largo consumo che
comportano investimenti eccezionali, creare concetti e forme e funzioni
che necessitano di 2 o più anni per materializzarsi sul mercato.
Significa intuire quali siano le prospettive recondite - forse subliminali
- del pubblico, preconizzare i cambiamenti nell’aria, ancora impalpabili.
La mia esperienza mi porta ad affermare che la spinta ad innovare nel
settore dell’auto - ma credo anche in molti altri universi - non
arrivi però dal pubblico, ma sia anticipata dalla logica e dalla
strategia aziendale che non po’ fermare il processo produttivo e
le logiche del rinnovamento di gamma. E’ il creativo - e il Marketing
della Casa - a provocare i bisogni. Può sembrare cinico, ma è
un dato di fatto. Il mondo del fashion e dell’arredamento insegna.
Per avventurarsi nell’inedito, il creativo fa ricorso a molte fonti
di ispirazione e di stimolo. Un nuovo filone formale, il mutamento di
atmosfere, di cromie, di environment può partire da una fiction
dai contenuti dirompenti, da una pièce teatrale, da un musical,
da un serial televisivo. Uno scenografo di balletti, il regista della
macchina di scena per un grande concerto all’aperto, l’architetto
o l’interior designer dalla forte personalità che inventa
tendenze formali applicate ai grandi masterpieces delle metropoli del
mondo, siano essi musei, biblioteche, convention center, entertainment
e multimedia center...
Tutto lancia segnali che finiscono col tradursi in moda, cult, trend,
in nuove mistiche, teorie estetiche. E non si tratta solo di forme innovative,
ma di stili di vita, di atteggiamenti, di modi di porsi intuiti, catturati
in anticipo e provocati dal ricercatore, dal creativo e dal designer che
possono essi stessi fare tendenza se sorretti da fortunata ispirazione
e corretta metodologia interpretativa.
Per queste considerazioni ammetto di essere un uomo davvero fortunato
che, partito con il sogno di dedicarsi alla pittura e alle arti figurative,
si è ritrovato ad esercitare un mestiere eccitante perché
per sua natura deve richiamarsi ai valori dell’utile e del bello
e deve confrontarsi con il mondo di voi giovani, che rappresentate il
nuovo che avanza.
*Designer
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