Le nuove regole per il giudizio di opposizione Giudice di Pace, indietro tutta La legge 214/2003 riscrive le procedure definendone estensione e limiti
di Ugo Terracciano * |
Giudice di Pace, "indietro tutta". La mini-riforma del codice stradale, introdotta con la legge 1° agosto 2003, n. 214, oltre ad introdurre la patente a punti e gli inasprimenti delle sanzioni per le fattispecie più pericolose, ha rimesso mano ad una procedura che, in molte parti d’Italia, ben lungi dal nobilitare le radici della "culla del diritto" aveva partorito decisioni giudiziarie a dir poco discutibili. Ora, il nuovo art. 204bis del codice della strada (introdotto ex novo appunto dalla legge 214/2003) ha come si dice, fissato i paletti: ricorso entro sessanta giorni solo se non è stata pagata la sanzione in misura ridotta, versamento di una cauzione pari alla metà del massimo della pena pecuniaria prevista, alternatività rispetto al ricorso presentato al prefetto, pena minima mai inferiore a quella prevista dal codice e divieto di esclusione delle sanzioni accessorie nel caso in cui il ricorso venga rigettato. #9; Sembrerà poca cosa, ma è quanto basta per restituire l’autorevolezza propria del giudizio a procedimenti che si svolgevano spesso ben al di sotto degli standards del forum di televisiva memoria. Anzi, al di là dell’aspetto scenico, il livello del forum televisivo giganteggiava al cospetto di una giustizia come quella di taluni giudici di pace (non tutti: nelle riviste giuridiche si leggono anche sentenze di tutto rispetto), che proprio in materia di codice stradale hanno spesso oscillato tra il ruolo di difensore civico e quello del buon padre di famiglia sempre pronto al perdono di chi, non osservando il codice stradale, in fondo fa più o meno ciò che sulle nostre strade fan tutti. Perché allora punire lo sfortunato, per il solo fatto che sul suo spericolato percorso ha malauguratamente trovato un paio di inflessibili vigili urbani? Ma la modifica introdotta con la legge Lunardi è seria perciò, al di là di ogni ironica digressione, vediamo attraverso quale percorso si è giunti all’altolà imposto dall’art. 204bis. Diciamo subito che la nuova figura onoraria del giudice di pace non era nata per dispensare magnanime sentenze nel campo della sicurezza stradale: si trattava di un nuovo modello di magistratura, più vicina alle piccole controversie quotidiane dei cittadini e capace di rispondere in tempi brevi alle istanze di contenuto valore economico. Così, la giustizia togata poteva essere sollevata dalle bagattelle per meglio dedicarsi alle questioni di maggiore portata. Niente a che vedere col codice della strada se non per le opposizioni alle ordinanze ingiunzione emesse dal prefetto in esito alle proprie decisioni sui ricorsi: il contravventore si rivolge al rappresentante territoriale del Governo, questi controlla l’operato degli organi accertatori e, se tutto è a posto, ingiunge al trasgressore di pagare. In caso contrario archivia. La possibilità era - ed è tuttora - prevista dall’art. 204 del codice della strada (anch’esso modificato adesso dalla legge 214/2003), la procedura è invece dettata dall’art. 22 della legge 689/1982 (provvedimento generale in materia di sanzioni amministrative). Se poi l’ordinanza ingiunzione risultava ingiusta agli occhi del trasgressore, nessuno poteva (né può) limitare la sua facoltà, costituzionalmente garantita, di ricorrere ad un giudice (che dopo la riforma del giudice unico è appunto il giudice di pace). Una procedura troppo articolata? No, è l’espressione di quella autonomia della pubblica amministrazione che, essendo improntata a criteri di legalità, organizza al proprio interno ed attraverso le proprie gerarchie il controllo sulla legittimità degli atti. Da questo, comunque, nessun guasto: al giudice, in caso di ricorso avverso la decisione prefettizia, pervenivano atti già passati per il setaccio dell’autorità territoriale di governo che non ha mai risparmiato nulla in termini di pignoleria. Gli organi accertatori, così, si allineavano agli orientamenti prefettizi per evitare argomentate archiviazioni che suonavano in guisa di vere e proprie tirate d’orecchie. Il terremoto è arrivato solo dopo, quando una ineccepibile sentenza della Corte Costituzionale, ha aperto la strada del ricorso al giudice di pace non più contro l’ordinanza ingiunzione, ma direttamente contro il verbale redatto dagli organi di polizia stradale (Cort. Cost. Sent. 255/94 e 311/94). Certo i segnali di questo cambiamento si erano avvertiti molto prima in materia di violazioni tributarie (Cort. Cost. 693/88 e 781 /88), ma aprire qui un approfondito discorso su questa interessante questione, ci porterebbe inevitabilmente fuori tema. Resta il fatto che attraverso questo dirompente processo, che i teorici del diritto hanno suggestivamente chiamato "erosione della giurisdizione condizionata", la prassi di ricorrere al giudice di pace è presto divenuta la regola. Del resto i vantaggi erano innegabili: nessuna spesa per il deposito, possibilità di chiedere la sospensiva delle sanzioni, pagamento in misura ridotta anche in caso di soccombenza e, soprattutto, gran manica larga al di là del fatto e del diritto. Nel giro di poco gli uffici del giudice di pace si sono inflazionati. I nuovi operatori della giustizia si sono trovati prevalentemente ad operare con modello processuale diverso da quello disciplinato dal codice di procedura civile, le cui regole sono invece contenute nella più grande legge di depenalizzazione varata in Italia. Così per le controversie tra privati una procedura, per il contenzioso stradale un’altra. Il problema è che, spesso, nelle sentenze dei giudici di pace, i diversi strumenti dati da queste distinte procedure si sono confusi tra loro. Il processo civile è un processo di parti: chi pretende di aver ragione deve provarlo. Nella procedura di opposizione stradale una delle parti è l’organo di polizia stradale il quale si presume (per legge) che agisca secondo criteri di legalità. Sarà quindi il ricorrente a dover provare le sue ragioni. Tuttavia abbiamo assistito a processi dove l’organo accertatore ha dovuto allegare prove e testimonianze per avvalorare atti pubblici che per l’art. 2700 del codice civile sono veri fino a querela di falso. Nel processo civile è ammesso il giudizio equitativo, attraverso il quale raggiungere un giusto equilibrio tra le pretese concorrenti (il famoso "colpo alla botte e colpo al cerchio"). Nel rito dell’opposizione tale strumento avrebbe dovuto escludersi poiché o il ricorrente ha violato la norma per cui ha torto, oppure l’ha osservata e perciò ha ragione: difficile trovare la via di mezzo tra queste due alternative antitetiche. Nonostante il divieto, però, il criterio equitativo è stato applicato a piene mani producendo paradossi giuridici, talvolta da baraccone. La dottrina si era sperticata per affermare che, quello in sede di opposizione, è un "giudizio bloccato" poiché, il quantum della sanzione è previsto espressamente dalla legge nel massimo e nel minimo. Nonostante questo, sistematicamente abbiamo visto sentenze di condanna con sanzione ridotta sotto il minimo edittale, con grande spregio dello stesso principio di legalità e di quella discrezionalità del legislatore il quale, proprio in forza di tale principio, può decidere i confini entro i quali il giudice è libero di muoversi nell’irrogare la pena. La tassatività delle norme sanzionatorie non avrebbe consentito di derubricare la fattispecie salvi i casi in cui fosse mutato il titolo dell’illecito. Eppure, in tema di inosservanza dei limiti di velocità parecchie decisioni hanno derubricato in maniera palesemente irrazionale. Si veda l’applicazione dell’art. 142 comma 9 cds e del precedente comma ottavo. Secondo quale logica il giudice, di fronte ad un accertamento tecnico che misura una velocità di oltre quaranta chilometri superiore al limite, non tiene conto della rilevazione ritenendo che l’eccesso c’è stato ma non così esagerato? O l’accertamento è valido, per cui è provato che l’automobilista superava il limite per il quantum rilevato dallo strumento oppure non è ritenuto valido ed il verbale va archiviato. Il giudice di pace, invece (evitando al sanzionato la sospensione della patente) seraficamente derubricava sostituendo le sue luminose congetture alle prove scientifiche dell’autovelox. Insomma, nella prassi, salve le dovute eccezioni per quei magistrati onorari che hanno effettivamente prodotto un’ottima giurisprudenza, non si può dire che il giudice di pace si sia affermato come un "faro di civiltà giuridica" (ed in alcuni casi nemmeno come un "fanalino" di coda). Il prodotto di tutto questo nuovo sistema giudiziario è stato quello di rendere non tanto il giudizio (che è normale) ma la sanzione molto incerta. Di qui un disorientamento totale in una materia, come quella del codice della strada, che negli ultimi quarant’anni è passata dai rigori della sanzione penale, alla indefettibilità di quella depenalizzata, per degradare, infine, alla sanzione arbitrale, applicata più o meno in base ad una discrezionalità senza confini. Del resto nessun rimedio utile ha potuto arginare questa preoccupante tendenza: contro le decisioni del giudice di pace in sede civile e di opposizione non è ammesso appello. Al massimo il ricorso per Cassazione. Ovviamente il rimedio si prospetta alquanto costoso, tenuto conto peraltro dello scarso valore della causa e della circostanza che la parte soccombente, quando il ricorso viene accolto, è impersonata dalla pubblica amministrazione. Spendere soldi pubblici per intentare una causa nella Capitale spesso non è un operazione in linea con i criteri di economicità e di oculatezza nella spesa. Così, soprattutto le Amministrazioni Comunali piegavano la testa anche di fronte ad annullamenti con addebito delle spese di procedimento alle casse dell’ente. Morale: ad essere multato, in ultima analisi, era il cittadino onesto che quelle casse rimpingua annualmente pagando le tasse. Ora la legge 1°agosto 2003, n. 214 ha ricondotto il giudizio di opposizione nei binari del diritto, limitando le fughe in avanti di cui abbiamo fin qui detto. Resta ovviamente la possibilità di ricorrere direttamente contro il verbale (ed anche, per i più pazienti, contro l’ordinanza ingiunzione del prefetto). Comunque, chi si rivolge in prima istanza alla prefettura, non può contemporaneamente adire il giudice di pace poiché in tal caso il ricorso sarà dichiarato irricevibile. Con l’atto di opposizione, il ricorrente deve versare presso la cancelleria una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall’organo accertatore. Le modalità per il versamento sono state tempestivamente disciplinate dalla circolare del Dipartimento per gli Affari di Giustizia, emanata il 13 agosto scorso. In buona sostanza, il Ministero fa rimando alle disposizioni della R.D. 10 marzo 1910, n. 149, che prevede l’apertura di un libretto di deposito giudiziario presso l’ente Poste Italiane. Così, chi intende ricorrere si deve innanzitutto presentare all’Ufficio Postale, versare la cauzione e depositare insieme all’atto di opposizione il libretto in cancelleria. Il giudice, nell’ambito delle proprie preliminari valutazioni sull’ammissibilità del ricorso controllerà l’esattezza dell’importo e, in caso il versamento risultasse deficitario, decreterà l’inammissibilità restituendo la somma e lasciando che il verbale svolga il suo iter amministrativo. Ovviamente procederà alla restituzione anche in caso di accoglimento del ricorso ed in questa ipotesi il verbale verrà archiviato. Se invece il ricorrente ha torto il giudice deciderà l’entità della sanzione ed autorizzerà l’organo accertatore ad incassare fin da subito la cauzione. Fermo restando il principio del libero convincimento la sanzione irrogata non può mai scendere sotto il minimo edittale previsto. Certo il nuovo sistema non è risultato digeribile a tutti. C’è già chi ci vede addirittura una pericolosa restrizione delle possibilità del cittadino trasgressore di accedere alla giustizia, chi esagerando intravede una sperequazione tra gli abbienti capaci, di versare tante cauzioni, ed i meno facoltosi penalizzati dalla nuova procedura. C’è chi ha nostalgia per quei sotterfugi che in tanti casi hanno trasformato una giustizia per così dire minore in una giustizia "nana" alla quale, l’art. 204bis, ha finalmente restituito una meritata statura.
* Funzionario della Polizia di Stato Comandante della Polizia Municipale di Forlì |