Quali
sono i parametri di competenza della Polizia Stradale per i reati in materia
di inquinamento?
I
reati in materia ambientale sono, al pari di tutti gli altri reati inerenti
ad ogni altro settore, di competenza generica di tutta la polizia giudiziaria.
Non esiste, in altre parole, alcuna competenza selettiva specifica che
determini una esclusività operativa di un organo di P.G. verso
questi reati o addirittura verso alcuni di questi reati. La
riserva è inesistente a livello attivo e passivo; in altre parole,
nessun organo di P.G. può essere considerato competente in via
esclusiva per alcuni reati ambientali (con esclusione di altri organi)
né, al contrario, nessun organo di polizia può ritenersi
esonerato parzialmente o totalmente dalla competenza verso questi reati
(con rinvio ad altri organi). Indubbiamente
esiste una specializzazione di fatto che fa sì che alcuni organi
siano istituzionalmente preposti e preparati in particolare verso determinate
tipologie di illeciti ma questo non esime gli stessi organi dalla competenza
verso gli altri reati ed in particolare, per quanto attiene al settore
in esame, non li esime dal potere/dovere di intervento verso illeciti
di diversa tipologia nel campo ambientale. Tale
concetto peraltro bene evidenziato fin dalla prima edizione del presente
lavoro, è autorevolmente ripreso e ribadito dalla Suprema Corte
(Cass. pen., sez. III, 27 settembre 1991, n. 1872 - Pres. Gambino, Est.
Postiglione) la quale sancisce espressamente che "i reati in materia
ambientale sono di competenza di tutta la polizia giudiziaria, senza distinzione
di competenze selettive o esclusive per settori, anche se di fatto esistono
delle specializzazioni". La Suprema Corte, per ovviare a realistiche
problematiche derivanti da una mancata qualificazione professionale su
specifici e particolari punti tecnici da parte della P.G. in generale,
aggiunge che "naturalmente la P.G. potrà avvalersi di "persone
idonee" nella qualità di "ausiliari" e l’accertamento
tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della stessa P.G.".
Sulla stessa linea di principio, si sono poi registrate pronunce nei settori
più specifici (si veda, ad esempio, come la Cassazione ha precisato
che "in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, l’attività
di accertamento rientra nella competenza generale di tutta la P.G. senza
distinzioni selettive, anche se in concreto esistono specializzazioni,
inclusi tutti i soggetti che svolgono compiti amministrativi di vigilanza
e controllo" - Cass. pen., sez. III, 22 dicembre 1992, n. 12075,
Perrella). Va
peraltro precisato che anche le previsioni normative di principio che,
a livello di leggi e/o regolamenti, prevedono che alcune attività
di vigilanza o di investigazione vengono svolte da alcuni organi di polizia
specificamente indicati, devono essere considerate espressioni di principi
politici generali perché non esonerano, e non potrebbero esonerare,
altre forze di polizia ad operare in quel settore (specialmente in seguito
alla realizzazione di un reato). Dunque anche queste espressioni previsionali
non costituiscono deroga al principio-base in base al quale tutta la P.G.
è sempre e comunque competente per tutti i reati ambientali, ovunque
commessi. Trattasi,
infatti, di rafforzamenti a livello politico-istituzionale del ruolo di
organi di polizia specifici su certi temi e settori che tendono a proporre
il ruolo preminente e per certi versi significativamente visibile degli
stessi organi in quel determinato settore anche come punto di riferimento
primario per le altre istituzioni ed i cittadini. Ma nulla di più. In
conseguenza, non vi è dubbio che la Polizia Stradale ha piena competenza
trasversale su tutti i reati ambientali; in particolare, nel campo del
trasporto dei rifiuti solidi e liquidi si deve registrare una totale area
di pertinenza operativa senza alcun limite. I controlli su strada sono,
anzi, strategicamente fondamentali e prioritari in questo settore in quanto
tutti i rifiuti scompaiono durante il viaggio, nel senso che masse di
carichi di rifiuti partono ma non giungono a destinazione ufficiale; con
smaltimenti "ordinari" (e cioè destinati verso aree occulte)
o "in bianco" (e cioè con ripulitura giuridica basata
su artifizi giuridici che in modo strumentale a livello di documenti di
trasformano in viaggio in "materie prime"). La verifica dei
documenti su strada appare essenziale per intercettare i flussi di viaggi
illeciti e da qui risalire sia alle fonti che alle destinazioni, altrettanto
illegali.
Molto
spesso su strada viene notato il trasporto di liquami provenienti da case
o da aziende. Come sono classificati questi liquami? Sono acque di scarico
o rifiuti allo stato liquido? E dov’è il confine? Quali norme
si applicano agli scarichi "indiretti"?
Il
Dlgs 22/1997 rappresenta la legge-quadro in materia di inquinamento e
disciplina tutti i rifiuti solidi e liquidi, mentre sono estranei dal
suo campo di applicazione le acque di scarico (cfr. articolo 8, comma
1, lett. e). Poiché lo scarico delle acque reflue è disciplinato
dal Dlgs 152/1999 (e prima dalla "Legge Merli"), il "Decreto
Ronchi" troverà applicazione solo per la parte che il sistema
del Dlgs 152/1999 in materia di scarichi e tutela acque non regolamenta.
Quindi il D.L.vo n. 22/1997: rifiuti allo stato liquido mentre il D.L.vo
n. 152/1999 disciplina le acque di scarico. Il criterio interpretativo
fondamentale per l’applicazione della normativa sui rifiuti risiede
nel fatto che il Dlgs 22/1997 disciplina tutte le singole operazioni di
gestione (ad esempio: conferimento, raccolta, trasporto, ammasso, stoccaggio,
ecc.) dei rifiuti prodotti da terzi, siano essi solidi o liquidi, fangosi
o sotto forma di liquami. Restano escluse quelle fasi, concernenti rifiuti
liquidi (o assimilabili), relative allo scarico e riconducibili alla disciplina
stabilita dalla norma specifica sugli scarichi. Ne consegue che la disciplina
degli impianti di trattamento dei rifiuti liquidi in conto terzi e relative
ulteriori operazioni, che presuppongono il trasporto non canalizzato delle
acque di processo, ricade sotto la normativa del Dlgs 22/1997, mentre
le operazioni connesse allo scarico delle acque, cioè all’immissione
diretta, e al trattamento preventivo delle stesse, poste in essere dallo
stesso titolare dello scarico, sottostanno alla disciplina sulle acque.
Dunque i veicoli di aziende private che viaggiano su strada trasportando
(in proprio o conto terzi) liquami residuali devono essere controllati
dalla Polizia Stradale entro il contesto del decreto 22/97 come "rifiuti
liquidi" ordinari o "rifiuti liquidi di acque reflue" (ex
scarichi indiretti in vasca). Il trasporto deve essere accompagnato dal
formulario (salvo casi minimi di rifiuti prodotti in proprio per massimo
30 kg o litri al giorno).
Dunque
lo "scarico" diretto previsto dal decreto sulle acque appare come una
deroga al concetto generale di rifiuto liquido? E di conseguenza è
impossibile che su strada vengono oggi trasportati "liquami di scarico"?
La
nuova costruzione di geografia politica e giuridica del settore presenta
il rifiuto liquido del decreto Ronchi come categoria generale di base;
le acque di scarico, provenienti solo dallo "scarico" (diretto), costituiscono
una specie di sottocategoria particolare che esula dal campo regolamentativo
dello stesso decreto Ronchi e vengono disciplinate in deroga dal nuovo
decreto n. 152/99. Pur tuttavia ove tale scarico cessi di essere diretto
(e cioè venga spezzata la linea di riversamento immediato tra ciclo
produttivo e corpo ricettore) e venga di conseguenza realizzato uno scarico
in vasca o comunque con trasporto altrove dei liquami in via mediata ed
indiretta, tale interruzione funzionale del nesso di collegamento diretto
ciclo produttivo/corpo ricettore trasforma automaticamente il liquame
di scarico in un ordinario rifiuto liquido. Si azzera quindi la deroga
del decreto Ronchi, non avremmo più uno "scarico", non si avrà
dunque più di conseguenza la deroga sopra espressa e la disciplina
torna automaticamente nel contesto generale del decreto Ronchi sui rifiuti.
Dunque
uno scarico, essendo solo diretto tra fonte produttiva e corpo ricettore,
non è assolutamente mai compatibile con un trasporto su strada.
E di conseguenza è impossibile che viaggiano oggi su strada "liquami
di scarico" entro il decreto 152/99; vengono infatti trasportati
solo "rifiuti liquidi" ordinari o "rifiuti liquidi di acque
reflue" (ex scarichi indiretti in vasca) entro il contesto del decreto
22/97.
Il
confine tra le "acque reflue" e i "rifiuti liquidi"
ai fini della disciplina applicabile è individuabile anche nel
sistema che viene tracciato dall’articolo 36 del "Decreto acque".?
Certamente.
La chiave di lettura per capire quando applicare il "Decreto Ronchi"
sui rifiuti o il "decreto acque" risiede nella distinzione tra:
• "rifiuto liquido" che resta soggetto al Dlgs 22/1997
ai sensi del suo articolo 8 dalla fase di produzione alla fase di smaltimento
all’interno di un impianto di trattamento acque reflue;
•
"acque reflue"(cioè acque di processo o di scarico) che
restano escluse dal Dlgs 22/1997 ai sensi del medesimo articolo 8. Tali
acque reflue sono considerate "rifiuti liquidi" solo nel caso
in cui siano trasportate, mediante un vettore, dal produttore all’impianto.
Ciò in quanto, in questo caso, si interrompe il nesso funzionale
e diretto dell’acqua reflua con il corpo idrico ricettore e la conseguente
riferibilità dello scarico ("immissione diretta tramite condotta")
al medesimo soggetto. Le "acque reflue" arrivano in impianto
come "rifiuti liquidi" ma cessano di essere tali all’atto
della loro accettazione da parte dell’impianto di trattamento che
le riceve come "acque di scarico" escluse dalla vigenza del
"Decreto Ronchi". Quindi, l’impianto non dovrà essere
autorizzato ai sensi di tale normativa.
Infatti,
il "Decreto Ronchi" sui rifiuti:
•
disciplina tutte le singole operazioni di gestione (raccolta, trasporto,
recupero e smaltimento) dei rifiuti prodotti da terzi (solidi, liquidi,
fangosi, sotto forma di liquami);
•
non disciplina le fasi attinenti lo "scarico" di cui alla suindicata
definizione.
Dunque,
su strada è possibile classificare nel trasporto solo le categorie
di rifiuti liquidi e mai quelle delle acque reflue di scarico.
Quale
è attualmente la disciplina degli impianti di trattamento dei rifiuti
liquidi in conto terzi? I veicoli che trasportano rifiuti verso tali impianti
a quale norma sono soggetti?
La
disciplina giuridica degli impianti di trattamento di rifiuti liquidi
in conto terzi e delle relative ulteriori operazioni, che presuppongono
il trasporto non canalizzato delle acque di processo, ricade sotto la
normativa del Dlgs 22/1997, mentre le operazioni connesse allo scarico
delle acque, cioè all’immissione diretta, e al trattamento
preventivo delle stesse, poste in essere dallo stesso titolare dello scarico,
sottostanno alla disciplina sulle acque. Di conseguenza, tutti i veicoli
che viaggiando su strada trasportano (solo) "rifiuti liquidi"
ordinari o "rifiuti liquidi di acque reflue" e si dirigono verso
questi impianti devono viaggiare con il formulario e l’impianto è
il sito dedicato finale nel ciclo giuridico del rifiuto (liquido) previsto
dal decreto 22/97. Il titolare del sito in questione deve firmare la terza
e quarta copia del formulario ed il trasportatore nel viaggio di ritorno
(senza carico) deve avere con se le due ultime copie del formulario medesimo
controfirmate dal titolare del sito finale.
Il
trasportatore che trasferisce il rifiuto liquido costituito da acque reflue
dall’azienda all’impianto di trattamento finale è dunque soggetto
al formulario di identificazione?
Certamente
sì, in coerenza con il principio che lo vede trasportare puramente
e semplicemente un ordinario rifiuto liquido del decreto Ronchi n. 22/97,
classificabile come "rifiuto liquido costituito da acque reflue". Il formulario
è dunque elemento essenziale per il viaggio e la sua omissione
o alterazione fraudolenta costituisce illecito ed in caso di rifiuti pericolosi
grave reato con sequestro immediato del mezzo e confisca definitiva dello
stesso.
Possono
essere effettuati dei prelievi campioni dalla Polizia Stradale?
Pur
non esistendo una specifica riserva di legge, è verosimile ipotizzare
che l’attività di prelevamento campioni venga effettuato dalla
Polizia Stradale con la collaborazione di personale qualificato delle
ARPA.
L’opportunità
di affidarsi alla collaborazione di personale qualificato per il prelievo
campioni è determinata dal fatto che lo stesso rappresenta un punto
pregiudiziale e rilevante per tutto il successivo iter probatorio.
Su
questo specifico adempimento va tuttavia ricordato (sussistendo ancora
taluni contrari avvisi) che la giurisprudenza della Cassazione da tempo
ha stabilito che tutti gli organi di polizia giudiziaria, e non solo il
personale delle strutture sanitarie, possono eseguire i prelievi: "Con
riferimento alle competenze per il controllo tecnico l’articolo 15
sesto e settimo comma della legge 319/76 prevede funzioni tecniche di
vigilanza e controllo dei laboratori provinciali di igiene e profilassi
in attesa della costituzione di presidi e servizi multizonali di cui all’art.
21 legge 833/78 (legge sanitaria). Il testo di legge non specifica che
si tratta di una competenza "esclusiva" dei predetti organismi,
sicché é da ritenere legittimo il campionamento eseguito
da soggetti diversi (personale delle USL addetto all’igiene ambientale,
nucleo specializzato dei Carabinieri (NAS), Nucleo Ecologico dei Carabinieri
(NOE), vigili urbani, corpo provinciale di vigilanza dell’inquinamento
idrico, etc...) salva la facoltà del giudice di valutarne l’attendibilità,
tenendo conto delle modalità utilizzate nel prelievo nel caso concreto"
(Cass. pen. Sez. III - 27/9/91 - n. 1872 - Rel. Postiglione - Pres. Gambino);
e si precisa nella sentenza che "... non può sorprendere che
Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Corpi Forestali, Vigili
Urbani possano procedere, ove si evidenzia una necessità, ad operazioni
di campionamento di acque, rimanendo le operazioni di analisi affidate
agli organi tecnici competenti. Naturalmente la polizia giudiziaria potrà
avvalersi di "persone idonee" nella qualità di "ausiliari"
e l’accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della
stessa polizia giudiziaria (...)". Dunque riteniamo che sulla scorta
di tale pregressa ma ancor valida linea giurisprudenziale della Suprema
Corte, anche nel contesto del combinato disposto degli artt. 28 e 50 del
nuovo decreto sugli scarichi 152/99 estendibile come concetto sinergico
ai principi paralleli del decreto 22/97 sui rifiuti, ogni organo di P.G.
può essere considerato destinatario di funzioni di controllo in
questo specifico settore e può eseguire detti prelievi; ove il
personale non sia professionalmente idoneo e/o non disponga delle attrezzature)
necessarie, può ricorrere ad un ausiliario (art. 348/4° comma
C.P.P.) nominato tra soggetti dotati di specifiche competenze tecniche
nel settore per la fase materiale delle operazioni.
Questo
principio è conseguente ad concetto preliminare sopra espresso
nella stessa sentenza in base al quale "l’art. 55 C.P.P. consente
di ritenere che i reati in materia ambientale sono di competenza di tutta
la polizia giudiziaria, senza distinzione di competenze selettive o esclusive
per settori, anche se in punto di fatto esistono delle specializzazioni."
(concetto poi ulteriormente specificato in relazione ai reati di inquinamento
con Cass. pen., sez. III. 22 dicembre 1992, n. 12075, Perrella: "In
tema di tutela delle acque dall’inquinamento, l’attività
di accertamento rientra nella competenza generale di tutta la P.G. senza
distinzioni selettive anche se in concreto esistono specializzazioni)".
Successivamente il principio è rimasto costante (si veda, ad esempio,
Cass. pen., sez. III. 23 luglio 1993, n. 7173, Giani ed altre).
Dunque,
un organo della Polizia Stradale in caso di controllo su strada e sussistendo
motivi di urgenza può, ai fini della procedura penale, eseguire
direttamente prelievi anche con mezzi non specifici al fine di una immediata
assicurazione della fonte di prova e/o per procedere ad una veloce identificazione
della natura dei rifiuti. Naturalmente eventuali vizi tecnici saranno
poi valutati ai fini procedurali in sede giurisdizionale. Va sottolineato
che ai fini della procedura penale (con prova libera) l’organo di
PG non è vincolato alle modalità tecniche previste dalle
tabelle allegate al decreto 152/99 che è riservato ai prelievi
per fini di gestione amministrativa degli scarichi.
L’attività
di prelievo campioni è un attività di polizia amministrativa
o giudiziaria?
Qualora
l’autore del trasporto (ad es. rifiuti liquidi) non risulti ancora
indagato, l’attività di prelievo di campioni è da considerarsi
svolta nell’ambito dei poteri di polizia amministrativa. Tale attività,
per sua natura, non è di per se stessa finalizzata all’accertamento
di un reato, e, di conseguenza, deve essere effettuata secondo le regole
previste per un controllo di natura amministrativa. Pertanto deve essere
solo sollecitata la presenza del titolare della ditta o di un suo delegato,
non essendo prevista la necessità di alcun preavviso. Ovviamente,
qualora si sia in presenza di un’attività di polizia giudiziaria
con soggetto indagato, il prelievo deve essere effettuato con il preavviso
connesso alle garanzie difensive di rito.
Quali
sono i parametri di disciplina specifica per i prelievi effettuati dall’
ARPA o da un organo di Polizia Stradale in via diretta che operano ancora
in una fase preventiva amministrativa senza che sussistano a carico del
titolare del trasporto elementi di carattere penale?
Appare
piuttosto frequente il caso in cui l’organo di controllo (ARPA o organo
di PG, inclusa la Polizia Stradale) effettui i prelievi ancora in una
fase preventiva amministrativa senza che sussistano a carico del titolare
dello scarico elementi di carattere penale. A nostro avviso i principi
delineati dalla Cassazione in materia, vigente la pregressa normativa,
restano fermi ed immutati anche nel contesto dei nuovi decreti vigenti
perché trattasi di temi di ordine generale dell’ordinamento giuridico. Si
veda, ad esempio, che già dal 1991 la Suprema Corte stabiliva che
"in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, l’attività
di prelievo dei campioni delle acque reflue ha carattere esclusivamente
amministrativo, rimessa alla discrezionalità degli organi amministrativi
nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali, previste allo scopo
di accertare i reati nonché di controllo dello stato effettivo
dell’inquinamento e della qualità dei corpi ricettori. Ne
consegue che all’attività di campionamento non si applicano
le garanzie di difesa prescritte per le analisi per effetto della sentenza
n. 248/83 della Corte Costituzionale" (Cass. Pen. Sez. III - 26/3/91 -
n. 3331 - D’Ambrosio). Un orientamento poi costante nel tempo: "In
materia di tutela delle acque dall’inquinamento, l’attività
di prelievo dei campioni ha natura amministrativa e sussiste una discrezionalità
tecnica nella scelta del metodo, sempre che essa non venga eseguita su
disposizione del magistrato o non esista già un soggetto determinato,
indiziabile di reati: solo in tal caso trovano applicazione le garanzie
difensive previste dall’art. 220 att. C.p.p., mentre, vertendosi
in attività amministrativa, è applicabile l’art. 223
att. Cit." (Cass. Pen. Sez. III Sent. del 26 novembre 1998 n. 12390
- Fecchio). E successivamente é stato sempre ribadito che "
In materia di tutela delle acque dall’inquinamento, l’attività
di prelievo di campioni ha natura amministrativa e non richiede il preavviso
degli interessati, mentre l’avviso della data e luogo delle analisi è
prescritto a pena di nullità". (Cassazione Penale - Sezione III
- Sentenza del 19 aprile 1999 n. 4993 - Pres. Avitabile - Rel. Postiglione).
Va ancora sottolineato che sulla utilizzabilità in dibattimento
l’orientamento é stato poi costante (si veda ad es. "(...)
l’atto di campionamento può essere utilizzato nel processo penale
(...)": Cass. Pen. Sezione III, sentenza 22 febbraio-3 aprile 1995
n. 3481 - Pres. Corsaro; Rel. DeMaio; ed altre). Appare dunque pacifico
che tutta la documentazione inerente l’iter del campionamento e delle
successive analisi, seppur incardinata in una fase amministrativa (in
caso di titolare non indagato), si evolve poi in una diretta vitalità
processuale in quanto i referti sono classificati dalla Cassazione come
"atti irripetibili" in sede processuale. Ed ecco che il quadro
assume un carattere di coerenza concettuale: i prelievi sono attività
amministrativa, possono essere eseguiti da qualunque organo di P.G. (ancorché
assistito da ausiliario tecnico), é sufficiente l’avviso contestuale
in loco, i risultati successivi delle analisi possono essere utilizzati
in dibattimento come atti irripetibili purché all’interessato
sia stato dato opportuno e tempestivo preavviso dell’ora e giorno
(e luogo) delle analisi. Questi concetti elaborati specificamente nel
contesto della pregressa legge 319/76 sono da considerarsi tuttora validi
anche per le due nuove normative sulle acque e sui rifiuti.
Gli esami dei campioni in laboratorio presuppongono sempre necessariamente
il preavviso al soggetto interessato in entrambe le procedure (prelievo
soggetto a garanzie difensive e prelievo amministrativo)?
Si. In ambedue le procedure citate (prelievo eseguito con le
formalità di garanzie difensive e prelievo eseguito in via amministrativa)
i risultati successivi delle analisi possono essere utilizzati in dibattimento
come atti irripetibili purché all’interessato sia stato dato
opportuno e tempestivo preavviso dell’ora e giorno (e luogo) delle
analisi. Le formalità connesse sono riconducibili al preavviso
della data e del luogo di inizio delle operazioni ed alla possibilità
di presenza con un tecnico di fiducia.
La
mancata iscrizione all’albo di colui che trasporta rifiuti conto terzi
è sempre reato?
Sì.
Trattasi di violazione penale basilare ed assorbente. Infatti detta iscrizione
è propedeutica per esercitare detta attività e riveste carattere
assolutamente pregiudiziale per la legittimità di tutto l’operato
in questione. Il reato base è previsto dall’art. 51 primo
comma del decreto legislativo. Sono previste due ipotesi sanzionatorie
diversificate ma entrambe di natura penale.
In
caso di trasporto illecito di rifiuti pericolosi è sempre previsto
il sequestro e la confisca definitiva del veicolo?
Sì.
è infatti previsto che in tutti i reati relativi al trasporto irregolare
di rifiuti pericolosi in caso di sentenza di condanna o anche in caso
di sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.c. (per il cosiddetto
"patteggiamento") è obbligatoria la confisca del mezzo
di trasporto. Si
deve inoltre considerare che nel campo penale non è possibile la
confisca di un bene se detto bene non giunge in fase di giudizio in stato
di sequestro. Il che significa che in via logica la norma va interpretata
nel senso che la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto in caso
di condanna o di patteggiamento presuppone che il mezzo stesso giunga
in fase processuale sequestrato e quindi ancora di conseguenza che il
sequestro del mezzo nella flagranza del reato o comunque in sede di primo
accertamento sia obbligatorio e non meramente facoltativo e discrezionale
da parte degli organi di Polizia Giudiziaria. Un’autorevole
conferma del presente principio si registra in un documento ufficiale
della Commissione "Ecomafia" del Ministero dell’Ambiente
presieduta dal Ministro Sen. Edo Ronchi. La "Sottocommissione strategico-operativa"
(coordinatore Cons. Maurizio Santoloci) nel documento finale elaborato
durante la riunione del 22 ottobre 1997 sviluppa il tema della valorizzazione
del sequestro operato dalla p.g. e della successiva confisca obbligatoria
in sede dibattimentale dei veicoli utilizzati per il trasporto/traffico
illecito di rifiuti in caso di condanna ma anche in caso di patteggiamento
nel contesto del D.Lgs. n. 22/1997). Si legge nel documento: "...
viene resa di fatto obbligatoria la procedura di sequestro da parte della
polizia giudiziaria dei veicoli utilizzati per il trasporto/traffico illecito
già nella primissima fase degli accertamenti (e cioè nella
flagranza del reato)... Tale fase procedurale è importantissima,
in quanto fornisce in mano all’operatore di polizia uno strumento
agile di intervento sia per assicurare la fonte di prova del reato sia,
soprattutto, per impedire che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze.
La successiva confisca (e quindi sottrazione definitiva del veicolo dal
patrimonio del soggetto responsabile) costituisce epilogo finale di tale
procedura e rappresenta, al di là della qualità/quantità
della sanzione irrogata o patteggiata, un formidabile strumento di intervento
sia repressivo che nel contempo deterrente per tutti coloro che operano
illegalmente nel settore in questione ...". |