Incidenti
mortali:anche il defunto va risarcito
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Chi perde la vita in un incidente stradale deve essere direttamente risarcito. Sì, avete capito benissimo: non si tratta del risarcimento dovuto ai genitori, al coniuge o ai figli, insomma a coloro che rimangono a compiangere il proprio caro, ma di un indennizzo dovuto alla vittima medesima. Un paradosso? No, una sentenza di Tribunale, anzi per essere più precisi di tre Tribunali che all’unisono, disattendendo la posizione assunta sulla vexata questio dalla Cassazione, hanno riconosciuto agli eredi una quota di risarcimento spettante al defunto iure proprio per aver perso, nel modo più radicale, cioè rimettendoci la vita, la propria integrità fisica. Le tre storie, proprio in ragione di questa singolare presa di posizione dei giudici, tragicamente si intrecciano tra loro. La prima accade a Brindisi. Una Volkswagen Polo si butta in sorpasso, sbanda, ruota su se stessa e finisce per collidere con un autoarticolato proveniente dalla direzione opposta. Muoiono sia il conducente sia la persona trasportata. Nessuna colpa del camionista: dagli accertamenti tecnici risulta chiaro che non avrebbe potuto evitare l’evento. Al processo, a favore dei familiari del trasportato, viene riconosciuto il risarcimento per il danno morale, iure proprio: doveva essere loro ripagato il pregiudizio morale sofferto in conseguenza del reato (l’omicidio colposo del proprio caro); iure proprio viene risarcito anche il danno biologico, poiché a causa del sinistro e della prematura scomparsa del loro congiunto la serenità ed esistenza dei familiari era stata irrimediabilmente compromessa. Fino a qui niente di nuovo, ma il Tribunale sull’assegno di risarcimento aggiunge inaspettatamente (almeno per l’istituto delle assicurazioni) un’altra somma per il danno biologico iure hereditatis, riconoscendo cioè un diritto patrimoniale allo stesso defunto trasferito poi indirettamente agli eredi. La seconda vicenda è accaduta a Messina. Un ciclista attraversa un crocevia e viene falciato da un autocarro durante la manovra di svolta. La responsabilità esclusiva ricade sul camionista ed il Tribunale, anche qui, riconosce ai familiari una somma per il danno morale causa il dolore subito, quello biologico per lo stato di malattia in cui sono piombati dopo il tragico evento e quello biologico a titolo di eredità. Anche in questo caso il defunto riceve una somma che lo ripaga della vita perduta. Ovviamente, non essendo più in vita, non potrà assolutamente godersela e nemmeno avere il piacere di sapere che il denaro viene trasferito istantaneamente sul conto corrente degli eredi. Infine, il terzo caso di nuovo in Puglia. Ancora un tragico sorpasso: una Land Rover dell’ENEL cambia corsia per superare un altro veicolo e si schianta frontalmente contro una utilitaria che procedeva in senso opposto. Il fuoristrada resiste all’urto, ma il conducente dell’altra macchina viene ridotto in fin di vita. Trasportato all’ospedale lotta con la morte per venticinque giorni ma, alla fine, getta la spugna. Anche in questa circostanza, alle ordinarie voci di risarcimento si aggiunge quella del danno biologico risarcito ai familiari in linea ereditaria. Tre fatali incidenti, tre decisioni contro corrente. Nessun dubbio sul diritto al risarcimento del danno morale iure proprio. Essendo stato commesso un reato a danno di un proprio caro (nel caso di specie l’omicidio colposo), la somma costituisce il petitum doloris che deriva dalla scomparsa di uno stretto congiunto (Cass. 116/2001). Oltre al danno morale, poi, è normale che i familiari subiscano un vero e proprio danno alla salute (in diritto: danno biologico) perché è piuttosto normale che un fatto così grave produca un’alterazione della integrità psicofisica causa la forte pena sofferta per la rottura irreparabile di un vincolo familiare. In altre parole, chi era affettivamente legato alla vittima si ammala, cade in depressione, perde il sonno e la voglia di vivere, abbassa le difese immunitarie e si ammala sia nella mente che nel fisico. Unico onere nel processo, per ottenere il risarcimento della perduta integrità fisica, sarà quello di produrre la prova della malattia patita (Cass. 25 febbraio 2000, n. 2134 - Cass. 1 dicembre 1999, n. 13358 - App. Firenze 12 ottobre 1998). La questione sottesa al risarcimento iure hereditatis, invece, apre tutta una serie di ragionamenti di non facile soluzione. Innanzitutto, se si decide che i parenti ereditano la somma versata al defunto per ripagarlo della sua uccisione, nasce il problema di rivedere la stessa definizione di danno biologico. La Corte di Cassazione, affrontando il problema (Cass. 4783/2001) non ha escluso completamente la possibilità di configurare, anche a vantaggio di chi passi a miglior vita, questo tipo di danno, ritenendo però che spetti solo quando, tra l’incidente ed il decesso, sia decorso un apprezzabile lasso di tempo. Niente soldi, dunque, in caso di morte immediata. E’ sottile, il ragionamento dell’Alta Corte: una cosa è la salute, altra cosa è la vita di una persona. Il decesso istantaneo non è configurabile come danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul bene giuridico, per sua natura diverso, della vita. Ergo, se ti tolgono la vita, paradossalmente non ti compromettono la salute il cui godimento presuppone almeno un minimo di vitalità. Cosa diversa, quando dopo l’incidente trascorre un intervallo di tempo tra le lesioni e la morte. Qui il soggetto, prima di perdere la vita attraversa un periodo di malattia, una ridotta qualità della vita, patisce un dolore, una diminuzione al bene salute che gli deve essere ripagata. Ma quando la morte è istantanea, si potrà parlare di deterioramento della qualità della vita? E, soprattutto, si potrà attribuire un risarcimento a chi è già stato sepolto? Per i Tribunali, favorevoli al nuovo orientamento, non è vero che la salute e la vita costituiscono due beni ontologicamente diversi. La distinzione — per le Corti territoriali - è troppo sottile. La salute costituisce una condizione essenziale perché un soggetto possa godere appieno di tutte le potenzialità della vita: niente vita, dunque, niente salute. Secondo questa logica, la protezione della salute si circoscrive nella più ampia tutela della vita stessa. Del resto, l’intima connessione tra i due valori si enuclea proprio portando agli estremi il meccanismo di tutela: la soppressione totale del bene salute coincide con la soppressione totale del bene vita. Così, se viene ormai riconosciuta piena tutela al bene salute, imponendone il risarcimento in caso di lesione (danno-evento), ne dovrebbe conseguire la risarcibilità del danno derivante da perdita della vita (inteso anch’esso come danno evento), poiché si tratta di lesione di un valore in sé considerato e, in quanto tale, meritevole di risarcimento ai sensi dell’art. 2043 c.c. Si tratta di una previsione, infatti, che secondo l’interpretazione notoriamente fornita dalla Consulta (Corte cost. 184/86 id., 1986, I, 2053) costituisce una norma in bianco idonea a ricomprendere la tutela di tutti i diritti costituzionalmente garantiti. Se l’art. 2043 cod. civ. trova applicazione in relazione all’art. 32 Cost. (lesione del diritto alla salute) sembra logico che debba trovarla anche in relazione all’art. 2 Cost. che riconosce, come valori fondamentali, i diritti inviolabili dell’uomo e quindi, in primis, il diritto alla vita. Il ragionamento, per quanto complicato, è interessante e soprattutto efficace sul piano dell’allargamento dei titoli di responsabilità. Tutto si orienta verso una maggiore attenzione, in campo civilistico, per la vittima nei casi di omicidio colposo. In buona sostanza, si introduce una sanzione ancora più rigorosa, per quanto concerne la sfera del risarcimento danni, nei casi in cui, nell’incidente stradale, si cagiona la morte di altri. Va bene la tutela della vittima, ma c’è un ostacolo piuttosto significativo rispetto ad una soluzione così magnanima. La domanda è: come può divenire titolare di un risarcimento una persona che perde la vita e quindi la capacità giuridica? Si può versare una somma ad una persona scomparsa?. La verità è che non è possibile - dal punto di vista naturalistico - attribuire diritti o doveri ad una persona non più in vita. Nascono perciò tante altre domande cui, i giudici di merito, oramai fortemente orientati alla soluzione della risarcibilità del defunto, rispondono attraverso vere e proprie acrobazie intellettuali, apprezzabili nelle finalità, ma poco giustificabili secondo la teoria generale del diritto. La Cassazione, cautamente, resta invece ferma all’idea che chi muore sul colpo non può acquisire un diritto al risarcimento, fermi restando danno morale e danno biologico da riconoscersi direttamente a chi resta. Temi scontanti, come si vede. Nuove tendenze della giurisprudenza per una tutela sempre più ampia della vittima. Tutto apprezzabile, s’intende, ma altrettanto pericoloso. Se la vittima avesse in qualche modo avuto una parte di responsabilità nell’incidente, nonostante la propria morte, potrà essere chiamata a risarcire la controparte? Così come gli eredi incassano il risarcimento per la perdita, insieme, di salute e vita del proprio caro, risponderanno col proprio patrimonio dei danni concorrenti prodotti dallo scomparso? Non a caso è stato inventato l’istituto del beneficio d’inventario. Con lo stesso beneficio d’inventario però vanno considerate queste apprezzabili sentenze dei giudici di merito. Ogni medaglia, non dimentichiamolo, ha il suo rovescio. *
Funzionario della Polizia di Stato |