Con
la recente sentenza n. 40121 del 27.11.2002, (che pubblichiamo per esteso a
seguire dalla pag. 25. NdR) la Corte di Cassazione (quarta sezione penale) ha
risolto in senso positivo la questione dell’ammissibilità dell’oblazione
per il reato di guida in stato di ebbrezza, dopo l’entrata in vigore delle
nuove disposizioni sulle competenze penali del giudice di pace. Il ragionamento
seguito dalla Corte muove innanzitutto dalla considerazione che il reato di
cui all’art. 186 c. 2 cds, ai sensi degli artt. 52 c. 2 e 58 c. 1 D.L.vo
274/2000, è ora punito con pena alternativa, in quanto l’obbligo
di permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano
come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria
"ad ogni effetto di legge", dettato che non lascia margini a nessun
diverso apprezzamento o distinzione. L’unico caso in cui l’oblazione
può essere negata, pertanto, ha affermato la Corte, è quella in
cui il giudice, sulla base del suo potere discrezionale, ritiene, ai sensi dell’art.
162 bis c. 4 del codice penale, che la gravità del fatto sia tale da
impedire l’ammissibilità al beneficio. Ha precisato la Corte che
questa valutazione va condotta sulla base dei criteri indicati dal primo comma
dell’art. 133 del codice penale.
Poiché
l’oblazione comporta l’estinzione del reato prima dell’irrogazione
della pena (principale) prevista, la Corte ha anche puntualizzato che quindi
non è più possibile per il giudice applicare la sanzione accessoria
della sospensione della patente di guida (la quale passa alla competenza del
prefetto, secondo le norme di cui agli artt. 218 e 219 cds). Nella sentenza
vengono fatte anche considerazioni sulla ratio legis che ispira la nuova normativa,
in particolare ove si afferma che, essendo questa "la deprocessualizzazione
attraverso una rapida uscita dal sistema penale di chi ha commesso violazioni
che comportino minor danno sociale, non vi sono ragioni preclusive né
ostacoli ermeneutici che impediscano l’ingresso dell’istituto dell’oblazione
nel settore penale speciale".
Questi, in estrema sintesi, i lineamenti
interpretativi che emergono dalla pronuncia in questione, sui quali, tuttavia,
occorre spendere alcune considerazioni. Qualche perplessità desta l’affermazione
secondo la quale la valutazione della gravità del fatto possa essere
condotta sulla sola base degli elementi indicati dal primo comma dell’art.
133 del codice penale (i cosiddetti "criteri oggettivi" di graduazione
della responsabilità, ossia natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, tempo
luogo e ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno
o del pericolo cagionato alla persona offesa, intensità del dolo o grado
della colpa) e non anche quelli indicati dal secondo comma dello stesso articolo
(i cosiddetti "criteri soggettivi", che riguardano i motivi a delinquere,
il carattere del reo, i precedenti penali e giudiziari, la condotta e la vita
del reo antecedenti al reato, la condotta contemporanea o susseguente al reato,
le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo). Invero, non
sembra trascurabile, ad esempio, il fatto che il reo annoveri precedenti specifici,
sia etilista cronico, non abbia mai voluto intraprendere terapie disintossicanti,
abbia tentato di fuggire in costanza dell’accertamento, o altro. Anche
perché la guida in stato di ebbrezza è un reato di pericolo e
non di danno, per cui, nella valutazione della sua gravità, occorre considerare
la gravità di tale pericolo in relazione alla persona che ne è
fonte, ed alle probabili recidive, fattori che, forse, impongono un intervento
repressivo (con quanto ne segue in punto di sospensione della patente). Né
pare del tutto condivisibile il fatto che la guida in stato di ebbrezza sia
sempre e comunque un reato che comporta "un minor danno sociale".
Al contrario, si tratta di un reato dal rilevantissimo disvalore giuridico e
sociale, in quanto pone a repentaglio la salute, l’incolumità e
la vita di una massa indeterminata di cittadini sulla strada (basti pensare
alle stragi del sabato sera, fenomeno tragicamente esponenziale dell’abitudine
allo "sballo" e alla guida in condizioni di alterazione psichica).
Non sembra davvero generalizzabile una valutazione aprioristica di questo tipo.
Anzi, se mai, pare proprio assumibile, in linea di massima, un apprezzamento
di grave pericolosità e rischio sociale per ogni serio caso di guida
in stato di ebbrezza, da intendere per "seria" la circostanza che
il conducente, per sue peculiari caratteristiche o per il tasso non trascurabile
di alcol riscontrato nel suo sangue, effettivamente sia tutt’altro che
sobrio. E qui s’inserisce, d’obbligo, anche una considerazione attinente
l’altra "riforma" attuata in tema di guida in stato di ebbrezza,
ossia l’abbassamento della soglia di illiceità da 0,8 a 0,5, la
quale sembra invece andare in segno contrario alla "deprocessualizzazione".
Né, per la sua più incisiva portata repressiva, appare in sintonia
con lo spirito di clemenza che contraddistingue la normativa istitutiva dei
giudici di pace, per la quale ora l’oblazione è ammessa (e quindi
si è aperta la porta a una "cancellazione" integrale del reato
attraverso la semplice monetizzazione del suo disvalore).
D’altro
canto, un abbassamento così drastico della soglia (tale da investire
anche casi in cui la persona, fisicamente, è comunque perfettamente compos
sui) potrebbe a sua volta legittimare l’archiviazione del procedimento
per particolare tenuità del fatto ("parvitas materiae"),
ai sensi dell’art. 34 del D.L.vo 274/2000. Infine, una ultima notazione.
Non potrebbe essere respinta la domanda di oblazione anche ai sensi dell’art.
162 bis terzo comma, quando permangono conseguenze dannose del reato eliminabili
da parte del contravventore? L’ipotesi è quella di incidente stradale
con danno a sole cose, allorché il reo non abbia risarcito il danno causato.
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G.I.P. presso il Tribunale di Forlì
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