L’ALTRA
notte, sulla strada camionale denominata A1, nell’unica corsia percorribile
le automobili sfrecciavano intorno ai centosessanta all’ora. Una velocità
prepatente a punti che rafforzava l’impressione di un effetto mediatico
ormai sbiadito.
Fosse la paura di rimanere appiedati, fosse il gran parlare di incidenti,
di morti, di sanzioni finalmente severe, non c’è dubbio che nelle
settimane successive alla riforma del codice gli italiani si diedero
una regolata, allacciando molte cinture in più, rallentando,
infine accogliendo con sollievo la notizia che la strage sull’asfalto
era un po’ meno cruenta, gli incidenti meno esiziali (tranne che per
le lamiere, dicono gli assicuratori), il clima complessivo un po’ più
savio.
Ma ultimamente chi è spesso al volante deve prendere atto che
la velocità media sta nuovamente aumentando. L’andamento dell’allarmeguida
è tipicamente sussultorio. L’introduzione della patente a punti
segnò un picco di attenzione, forse anche di riflessione. Questo
picco sta declinando inesorabilmente, nonostante i punti in meno e l’esperienza
(preziosa) in più, quella che ha statisticamente collegato, senza
ombra di dubbio, la diminuzione della velocità, il rispetto delle
norme e il calo dei morti.
Poiché la psicologia degli automobilisti italiani è quella
che è, diciamo strutturalmente disinvolta, quasi incapace di
assorbire una volta per tutte la coscienza del pericolo, vorrei però
richiamare il lettore alla prima riga di questo articolo: là
dove ho parlato della più importante autostrada italiana come
di una camionale. Ciò che, di fatto, è. La più
evidente anomalia del traffico nazionale è la percentuale esorbitante
di mezzi pesanti. Guidare in Europa significa accorgersi che il numero
dei camion è infinitamente inferiore, con conseguente sensazione
di strade più grandi, rilassanti e sicure. Detto che la patente
a punti è stata un’ottima idea, forse vale la pena di ricordare
l’annosissima e grave disfunzione strutturale della circolazione stradale
italiana: troppi, troppissimi camion, e un gracile sistema di trasporto
ferroviario.
Sulle autostrade italiane pare spesso di sfilare a margine di una ferrovia
virtuale, sorpassando veri e propri convogli su gomma, non sempre rettilinei
nell’andamento, a volte barcollanti, minacciosi. Quanto questa presenza
esorbitante del trasporto pesante incida sull’insicurezza, sul cattivo
stato dell’asfalto, sulla complessiva tensione di chi guida (camionisti
per primi), non è facile da quantificare. Ma è certo che
guidare in Italia, al di là del deficit di sicurezza portato
dalla cattiva condotta al volante, è più difficile, più
rischioso che altrove anche per l’assurdo e perdurante utilizzo della
rete stradale per il trasporto di merci che altrove viaggiano su rotaia.
Della riforma del codice della strada attuata da Lunardi si è
parlato prevalentemente bene, anche sui giornali d’opposizione, a dimostrazione
che non sempre il pregiudizio ideologico fa velo al giudizio di fatto.
Ma è un giudizio di fatto, anche, notare sconsolatamente che
la dannosissima forbice tra asfalto e rotaia non accenna a diminuire,
men che meno sotto un governo (e un ministro) decisamente asfaltisti.
Qualunque governo, non solo questo, merita qualche punto in meno sulla
sua patente, finché non vorrà investire, e tanto, nel
sistema ferroviario per sollevare l’asfalto dal peso micidiale che lo
ingombra, giorno e notte, logorando i nervi di chi infila un’autostrada
e si ritrova spesso in un imbuto di rimorchi.
MICHELE
SERRA