«Il poliziotto Villa è un esempio per i giovani»
CREMONA - La prima fotografia ritrae Stefano orgoglioso nell’uniforme che indossa, la divisa di agente della Polizia stradale con lo scudetto distintivo della specialità in bella vista.
Nato il 9 maggio del 1970, maturità all’istituto Beltrami, casa a Castelvetro Piacentino, Stefano Villa oggi starebbe per compiere 52 anni. Ne aveva 25 quando il 27 settembre del 1995, al casello di Melegnano (all’epoca in provincia di Milano, oggi di Lodi), un rapinatore lo freddò con un solo colpo di pistola al cuore.
La seconda fotografia — scattata il 26 maggio del 1996 — ritrae papà Enrico che si stringe al petto il Tricolore, mentre riceve dal presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, la medaglia d’oro al valore civile alla memoria del suo unico figlio Stefano.
ALL'ISTITUTO GHISLERI IL RICORDO E' VIVO
Qui si continua a mantenere vivo il ricordo dell’ex studente Stefano Villa: la statua all’ingresso, l’aula magna a lui intitolata. La stessa dove la Polizia ha tenuto agli studenti incontri sulla cultura della legalità, sulla sicurezza stradale, sulla violenza di genere, sui pericoli in rete.
La stessa dove, stamane, Federica Deledda, comandante provinciale della Polizia Stradale e il questore Michele Sinigaglia raccontano a 120 studentesse e studenti delle terze, quarte e quinte classi, chi fosse Stefano Villa, affinché dalla sua storia di poliziotto germoglino riflessioni. Il grazie del questore della comandante alla professoressa Rossella Frigeri, anima degli incontri sostenuti dalla preside Simona Piperno.
L'aula magna del Ghisleri durante l'incontro
AULA MAGNA: SULLO SCHERMO DUE FOTOGRAFIE
La Polizia Stradale, spiega ai ragazzi il questore Sinigaglia, «è sempre stata il fiore all’occhiello», ma «è anche la specialità che, purtroppo, nel tempo ha espresso il maggior numero di vittime in servizio e che, ahimè, continua a versare un enorme tributo di sangue per ragioni che potete capire benissimo, perché operano in un contesto che di per sé è rischioso, sono morti in incidenti stradali mentre svolgevano le loro funzioni».
Stefano Villa
Il caso di Stefano Villa «va al di là dell’ordinario, anche per le modalità in cui si sono svolti i fatti». Perché «Stefano Villa era anche adibito all’attività investigativa di polizia giudiziaria».
Nel 1995 si registrano molti assalti ai caselli autostradali. Il rapinatore è sempre lo stesso, le modalità anche. «Erano stati organizzati servizi investigativi ad hoc per tentare di intercettarlo», spiega il questore. La sera del 27 settembre, un vice ispettore, capo pattuglia, e l’agente Villa intercettano il bandito solitario al casello di Melegnano. «Il vice ispettore ingaggia un conflitto a fuoco con il malvivente incappucciato e armato, che inizia a sparare. Colpisce il vice ispettore alla testa, il quale, però, fa in tempo a ferirlo in maniera grave. Stefano interviene, vede il collega a terra, ma non fa in tempo a reagire al fuoco». L’agente Villa viene colpito a morte. L’ispettore si salverà. Muore anche il rapinatore dopo un centinaio di metri in auto.
«Noi tutti siamo abituati a vedere i film — prosegue il questore — . La narrazione cinematografica propone i protagonisti delle fiction che non muoiono mai nonostante siano colpiti mille volte. La fiction è diversa, purtroppo, dalla realtà. Stiamo commemorando una persona che è morta in circostanze drammatiche, lasciando una famiglia nella disperazione. Potete immaginare che cosa significhi per una madre e per un padre perdere l’unico figlio in circostanze così drammatiche, a 25 anni, quando la vita è tutta davanti. Provate a calarvi in questa situazione, i vostri sogni le vostre aspettative. Stefano aveva anche una fidanzata: progetti di costituire una famiglia naufragati una sera di fine settembre. Questo cosa ci deve indurre a pensare?».
Torna alla foto di Stefano Villa, all’uniforme indossata con orgoglio, «l’orgoglio di appartenenza che ci motiva». Prima riflessione. «Ognuno di voi — dice il questore ai ragazzi — credo che nella vita debba cercare un legame con qualche cosa, una organizzazione, con qualsiasi ambiente con le proprie radici anche culturali, sociali: sentirsi parte di qualche cosa che va oltre la propria individualità è importante». «Che cosa ci unisce a quell’esperienza di Stefano Villa?». rilancia il questore Sinigaglia. «Sicuramente la volontà di fare un lavoro che ti porta ad essere utile al prossimo. Possono sembrare parole un po’ generiche. Il nostro è un lavoro che rispetto ad altri, presuppone questa volontà di essere di aiuto, di essere presente quando la gente ha bisogno. Qual è la differenza tra un poliziotto che muore in servizio e un operaio che perde la vita in un cantiere edile, perché magari non sono state osservate le norme di sicurezza? Sono sempre lavoratori che hanno perso la vita, e in fondo è così. Però, con tutto il rispetto che dobbiamo avere per chiunque perda la vita mentre sta svolgendo un lavoro, la nostra è una attività che si sceglie con questa ferma convinzione: non si può fare il nostro lavoro semplicemente per ‘sbarcare il lunario’. Lo abbiamo scelto con questa volontà di essere di aiuto agli altri. Ed è una volontà che ci espone, perché i rischi sono dietro l’angolo. Stefano Villa e il suo capo pattuglia erano consapevoli del rischio che correvano. Erano stati preparati per affrontare questo rischio anche se non si è mai preparati fino in fondo. Nessuno di noi la mattina si sveglia dicendo: ‘Stasera riuscirò a tornare a casa?’ E’ un pensiero che magari ogni tanto puoi fare, ma non ti conviene farlo tutti i giorni. Lo tieni lì, in un angolino, nella tua mente».
Torna alla rapina, il questore. «Stefano Villa si è imbattuto nella violenza di un rapinatore che era un ex casellante, lavorava negli stessi caselli. E’ stato licenziato, non sappiamo per quale ragione e ha cominciato a rapinarli sistematicamente».
In quegli anni non c’era il Telepass. «Si pagava in contanti, i caselli erano piccole banche con enormi quantità di denaro. Si verifica questa sparatoria, Stefano muore. Io ho un ricordo. In quegli anni ero a Milano. Ricordo che la cosa suscitò un vero scalpore: il funerale con il cardinal Martini, le massime autorità, il ministro dell’Interno, il Capo della Polizia. Si era persa un po’ la memoria degli anni ‘70-‘80».
Il questore racconta quegli anni ai ragazzi di oggi. «L’Italia era un Paese che sembrava aver superato la fase più difficile della criminalità eversiva, del terrorismo, delle grandi bande criminali che avevano messo a ferro e fuoco le nostre città, il fenomeno de banditismo. Non so se avete mai sentito parlare di Vallanzasca, ad esempio, di personaggi che avevano fatto il bello ed il cattivo tempo, estremamente feroci, dediti a rapine, nelle quali prima si sparava e poi si intimava di consegnare il denaro. Era una criminalità efferata, che non si faceva scrupoli a sparare anche tra la gente. Quegli anni sembravano messi un po’ alle spalle non perché non ci fossero stati altri fatti o anche altre vicende complicate. Però, certo, non si viveva più in quel clima di violenza feroce. Questa però, evidentemente, è un po’ una illusione ed è una cosa su cui i poliziotti devono riflettere. Quando il clima sociale sembra un po’ riappacificato, quando le organizzazioni terroristiche sembrano disarticolate dalle forze di polizia, quando le grandi bande criminali avevano cambiato le loro strategie — la diffusione del traffico di sostanze stupefacenti aveva fatto sì che diventasse più facile fare i soldi con questo traffico, piuttosto che facendo rapine o sequestri di persona — questo poteva comportare e può darsi che in alcuni casi abbia comportato, una sorta di rilassamento. Il poliziotto vive nel contesto sociale in cui è inserito. In un clima abbastanza pacifico, magari si abbassa il livello di attenzione. Non credo sia successo questo in quella sparatoria. Lo dimostra il fatto che i nostri, in particolare il vice ispettore, sia riuscito a reagire al fuoco, a neutralizzare il rapinatore. Però, certo, è un fatto che creò molto scalpore. A distanza di tempo, essendo io diventato padre, avendo figli dell’età di Stefano Villa, mi metto nei panni dei suoi genitori».
Il 9 maggio prossimo, al Ghisleri si terrà un commemorazione di Stefano Villa. «Spero di incontrare il papà Enrico (la mamma è morta anni fa) — prosegue il questore — , di poterlo abbracciare, di potergli rappresentare e rinnovare quella la riconoscenza da parte della Polizia di Stato che io rappresento in questa provincia per il sacrificio di suo figlio. Non so se gli possa servire, perché poi, alla fine, il dolore si piega all’interno delle famiglie e questa è un’altra cosa sulla quale noi spesso dovremmo fare ammenda. Ci si dimentica spesso dei familiari delle vittime. C’è un modo di raccontare i fatti che tende sempre a portare agli onori della cronaca gli autori, i responsabili, i malfattori, i criminali. Di coloro che hanno patito le conseguenze di questa azione criminale spesso ci si dimentica». Ma «perché il nostro è un ordinamento giuridico che mira ad accertare la responsabilità di chi ha posto in essere una azione delittuosa». Delle conseguenze, lo Stato a volte si dimentica. «Alle volte, capita anche a noi di non essere sempre così solleciti nel ricordare - sottolinea il questore - . Per questo ringrazio l’istituto Ghisleri che non fa perdere la memoria del nostro collega. ma non per un fatto di commemorazione. Perché dobbiamo tenere presente Stefano come modello?».
Ogni ragazzo ha i suoi idoli. «Voi avete i vostri punti di riferimento, i vostri miti. Mi auguro che li abbiate, in qualsiasi campo, sportivo, artistico, musicale, nel grande calciatore, nel cantante o in quei personaggi che oggi alimentano la comunicazione sulla rete: le influencer. Perché ricordare Stefano Villa oggi a distanza di 27 anni? Abbiamo bisogno di un eroe a cui ispirarci? Per noi poliziotti la risposta potrebbe essere sì. Per noi poliziotti è uno spunto, un motivo che ci fa capire che quello che siamo, lo siamo al suo sacrificio. Ma a voi una figura del genere cosa può dire?».
«ONORE», LA PAROLA CHIAVE
«Stefano Villa - continua il questore - ha svolto la sua funzione, mettendo a repentaglio, sul piatto della bilancia, quanto di più prezioso aveva. la propria vita. Evidentemente, questo non lo si può chiedere sempre e a tutti: non siamo dei kamikaze. Poter fare il proprio lavoro in maniera rispettabile, in maniera trasparente, avendo stima di sé e guadagnandosi tutti i giorni la stima dei propri concittadini: questo credo significhi svolgere il proprio lavoro con onore». Il questore considera un «enorme privilegio» guardare in faccia i ragazzi, i «futuri adulti».
«Nonostante gli scenari foschi che stiamo vivendo, i due anni di la pandemia, il conflitto in Ucraina, guardandovi non posso che essere orgoglioso. Senza arrivare a sacrifici estremi come il vostro compagno di istituto ha fatto, sono convinto che su di voi si potrà costruire sicuramente un Paese migliore».
Per ricordare sempre l’Agente Stefano Villa Medaglia d’Oro al Valor Civile, caduto in un conflitto a fuoco con un rapinatore al casello autostradale dei Melegnano il 27 settembre 1995. (ASAPS)